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NIETZSCHE -  ANTICRISTO (4° PARTE)

Post n°34 pubblicato il 20 Gennaio 2006 da Darkthrone85
 
Foto di Darkthrone85

Buonasera a tutti, io sto per andare a dormire, ma voglio lasciarvi altre parti dell'opera del sommo filosofo tedesco, a domani, saluti (e mi raccomando, commentate ;)

 

X :
I tedeschi mi capiranno immediatamente se affermo che la filo­sofia è stata corrotta dal sangue dei teologi. Il pastore protestante è l'avo della filosofia tedesca, il protestantesimo stesso ne è il peccatum originale. Definizione del protestantesimo: semiparalisi del cristianesimo e della ragione... Basta solo pronunciare le paro­le «Scuola di Tubinga» per capire cosa sia la filosofia tedesca in realtà: una scaltra teologia... Gli svevi sono i migliori mentitori della Germania, mentono con innocenza... Perché nel mondo accademico tedesco, costituito per tre quarti da figli di pastori e insegnanti, si esultò tanto all'apparire di Kant? Donde proveniva la convinzione dei tedeschi, che trova eco ancora oggi, secondo cui con Kant inizia un cambiamento verso il meglio ? L'istinto teo­logico nel tedesco erudito presagiva quello che era nuovamente possibile per l'avvenire... Si disvelava un sentiero segreto verso il vecchio ideale; il concetto di «mondo vero» e il concetto di mora­le come essenza del mondo (i due errori più scellerati che esista­no!), grazie a uno scetticismo malizioso e scaltro, riapparivano, se non dimostrabili, per lo meno non più confutabili... La ragione, il diritto della ragione non arriva tanto lontano... Si era fatto della realtà una «apparenza»; un mondo completamente falsificato, quello dell'essere, era trasformato in realtà... Il successo di Kant è semplicemente il successo del teologico: Kant, come Lutero e Leibniz, fu una costrizione ulteriore alla integrità tedesca, di per sé poco salda...

XI :
Ancora una parola contro Kant moralista. Una virtù deve essere una nostra creazione, la nostra più personale difesa e necessità: in qualsiasi altro senso è solo un pericolo. Ciò che non rappresenta una condizione vitale le è nocivo: una virtù dettata semplicemen­te da un senso di rispetto per l'idea di «virtù», come auspicava Kant, è dannosa. «Virtù», «dovere», «bene in sé», il bene con il carattere dell'impersonalità e dell'universalità: fantasmi, espres­sioni di declino, dell'estremo indebolimento della vita, di cinese­rie di Kònigsberg. Le leggi più profonde della conservazione e della crescita richiedono l'opposto: che ognuno di noi escogiti la sua virtù per sé, il suo imperativo categorico. Un popolo perisce quando confonde il dovere personale con il concetto di dovere in generale. Niente guasta tanto in profondità e intimamente quanto qualsiasi dovere «impersonale», qualsiasi sacrificio al Moloch dell'astrazione. L'imperativo categorico di Kant avrebbe dovuto essere percepito come mortalmente pericoloso!... L'istinto teologico fu il solo a prenderlo sotto la sua protezione! Un'azione determinata dall'istinto della vita si dimostra retta per la gioia della sua attuazione: invece quel nichilista, dalle viscere cristiano-dogmatiche, intende la gioia come un'obiezione... Che cosa è più deleterio del lavorare, del pensare, del sentire senza una neces­sità interiore, senza una profonda scelta personale, senza gioia, come un automa del «dovere»? Addirittura è la ricetta per la décadence, per l'idiozia... e Kant divenne idiota. Ed era contempora­neo di Goethe!. Questo ragno fatale era reputato il filosofo tede­sco, e lo è ancora! Mi guardo bene dall'esprimere ciò che penso dei tedeschi...Kant non vedeva forse nella rivoluzione francese la transizione da una forma inorganica dello Stato a una organica? Non si era chiesto se esistesse un evento altrimenti inspiegabile se non con una predisposizione morale dell'umanità, così che la «tendenza dell'umanità a cercare il bene» si dimostrasse una volta per tutte? La risposta di Kant: «È la rivoluzione». L'istinto erroneo in tutto e per tutto, la contro natura come istinto, la décadence tedesca fatta filosofia: questo è Kant!

XII :
Escludo pochi scettici che rappresentano il tipo onesto nella storia della filosofia: ma il resto ignora i primi requisiti dell'integrità intel­lettuale. Questi grandi visionali ed esseri prodigiosi si comportano tutti come donnicciole: prendono «i buoni sentimenti» già per argomenti, il «petto in fuori» per mantice della divinità, la convin­zione per un criterio di verità. Alla fine Kant, nella sua innocenza «tedesca», tentò di conferire a questa forma di corruzione, a que­sta mancanza di coscienza intellettuale, una facciata scientifica sotto il concetto della «ragion pratica»: inventò una ragione specifica per cui non si dovrebbe badare alla ragione quando la morale, la subli­me pretesa «tu devi», si fa sentire. Se si considera che, presso quasi tutti i popoli, il filosofo è solo un ulteriore sviluppo del tipo sacer­dotale, non sorprenderà più scoprire questa eredità del sacerdote, questa falsificazione davanti a sé stessi. Quando si hanno compiti sacri, come quello di migliorare, salvare e redimere gli uomini, quando si portarla divinità nel petto, quando si è i portavoce dell'imperati­vo ultraterreno, si è già, con tale missione, al di sopra di ogni valutazione puramente razionale, si è già santificati da un compito simi­le, sì è già modelli di un ordine superiore!... Che importa a un sacerdote della scienza! È troppo al di sopra di essa! E il sacerdote ha dominato fino a oggi! Ha fissato i concetti di «vero» e di «falso»!...

 
 
 
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