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SCRITTO DI CRISTIANO GODANO PER ROCKSTAR

Post n°75 pubblicato il 08 Marzo 2006 da Darkthrone85
 
Foto di Darkthrone85

Buon pomeriggio a tutti, oggi vi trasrvio un nuovo articolo, scritto da Cristiano Godano, per il mensile Rockstar, leggetelo, saluti ;)


MK S-LOW

 
Di una esibizione fiera della propria libertà. Della voglia di fare ciò che più piace quantunque non sia l’unica eventualità possibile, perché molte sono le cose che piacciono e non una soltanto. Ma scegliere quella e scartare le altre, colei che popola il cervello da tempo con le sue immagini e i suoi suoni, e che con garbo e gentilezza discreta ne regala grammi misurati, volta dopo volta, ammonticchiandoli nel recesso dei desideri arditi e difficili da realizzare. Proprio lei, che altro non è se non la conseguenza riassuntiva ed emblematica di un percorso speciale, dispiegato nel susseguirsi dei lavori portati a termine, delle agognate collezioni di canzoni, delle opere ostinate della creatività, dei cd. Un tracciato limpido e concreto che i sordi non hanno visto nel suo dipanarsi coerente e lineare e che i ciechi non hanno sentito nel suo contrappunto alla circostante boscaglia dalle gravide e ingarbugliate fronde. Una collezione nelle collezioni, per così dire, un disco estraibile a mo’ di best s-low del repertorio, l’idea consapevole e fiera di una Marlene dolce e poetica, intrisa di sfaccettato lirismo, maculata di malizia e velluto. Capace di comporre una lunga sequenza di canzoni ad ogni occasione più lente e più intime, pudiche, gentilmente inquiete; e arrese sì, a tutta prima, al trambusto dell’arrembaggio distorto, ma non vinte e respinte, né imprigionate o uccise, poiché emerse, infine e a ingannevole fatica, dal magma effuso di una fastidiosa opinione, trasformandosi in impavidi fiori dal gambo ostinato e dal petalo bello, intenso, ardimentoso. Come ginestre su declivi di vulcani.

Ed esibirli fieramente, questi fiori, con la fierezza della già detta libertà di fare quel che più piace, portando in scena l’ardito desiderio di potersi sdoppiare in altro, tanto scientemente quanto pericolosamente: ad esempio in esseri che cerchino il calore rinfrancante della delicatezza. E costellarne il palco, di quei gambi e di quei petali, disponendone il tremolio veemente e i tenui colori coraggiosi come in potenziale schieramento da battaglia, per fronteggiare gli sparuti brontolii, chetare i malcelati disappunti, sedare le maldestre irrequietudini. E per rilucere, in verità, di impressioni condivise con il folto resto del pubblico - il respiro ingolfato e rallentato dalle emozioni pervasive - lasciandole scorazzare e moltiplicarsi in un via vai di impalpabili vettori, il cui addensamento cortocircuitato le ispessisca e le renda fronte compatto e visibile aleggiante sulle teste, serpeggiante fra i corpi. Come un elemento benefico e inebriante allo stato gassoso, da inalare con più che logica fiducia.

Ardito è il desiderio di quietare una frangia rockettara dandogli in pasto un’infilzata di crude carni tenere, ancora recanti in sé, nelle nervature a vista, i palpiti e le eccitazioni dei palpiti più introversi (la tenerezza degli intimi ingarbugliamenti dell’animo fattisi carne, con le turbe delle sue angosce, con il rammarico delle sue sconfitte, con la pena dei suoi impacci); e portando in scena un’infiorata sfumata e delicata di piccole o grandi oppressioni e di fragili vagiti del cuore, orchestrati non sui toni forti e facili dei timbri ruggenti, ma sulle difficili esilità dei suoni nudi e sospesi e delle note sfiorate in punta di piedi, cercando la soave culla del loro calore ovunque i musicisti lo producano per sé, innanzi tutto e se mai vi riusciranno. E in quella culla capiente invitare i molti a prendervi posto, e a rimirare, per così dire e farneticare, il vorticoso turbine di galassie conturbanti che dal Perché ultimo e insolvibile porti ai dubbi meschini e gloriosi delle nostre meschine e gloriose quotidianità. Ardito dunque il desiderio di progettare un trattenimento all’apparenza estremo, quantunque il tragitto già sopra segnalato ne legittimi l’essenza intima del significato: dar voce a un talento kuntzico, la dimostrata capacità di comporre gran canzoni, lente, contenute, sussurrate. E rock.

E performarle, queste canzoni, in presa elettrica diretta, addosso davanti dietro di fianco a chi presenzierà, senza stratagemmi che le inseriscano in ambiti di effetto mirato (il fiato che si dà alla scaletta quando serve uno stacco d’atmosfera…); e il solo blasone della loro credibilità e del loro mito - perdio! quanto si voglia circoscritto - si incaricherà di portarsi sulle spalle il peso della detta arditezza.

Di una esibizione, in fine, fiera della propria libertà e del repertorio proposto. E di un desiderio ardito di dargli gloria equidiffusa, celebrandolo il più possibile nella sua estesa dimensione senza gli intervalli del pratico ammiccamento, involvendo gli spettatori in un contesto di silenzio imprescindibile imposto dalla delicatezza rinfrancante; per la gioia equidiffusa di coloro che da tempo si aspettano ciò al fine di godere di una Marlene che non fomenti i furiosi danzatori dal gomito alto e appuntito e dalle manate in faccia; per la gioia di coloro che sono parte integrante, vitale, essenziale, genuina, toccante, amorevole, silenziosa, raffinata, consapevole e gratificante di chi segue da tempo il suo percorso con le fitte boscaglie intorno.

Non era ben tutto chiaro, immagino, ma ho sin qui parlato del nostro tour, che abbiamo chiamato “Marlene Kuntz s-low” e che sta facendo tappa nei soliti posti della nostra piccola Italia, da febbraio fino a metà marzo. Chi ci conosce bene ha intuito il tipo di scaletta che faremo: chi bene non ci conosce venga a farsi un giro. La novità è garantita. I buoni risultati forsemagarichissà. I cattivi forsemagari chissà.

Cristiano Godano

(da Rockstar n.306, Febbraio 2006)

 
 
 
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