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NIETZSCHE - ANTICRISTO (10° PARTE)

Post n°40 pubblicato il 25 Gennaio 2006 da Darkthrone85

XXVIII :
Tutt'altra questione è se Gesù fosse stato davvero cosciente di una tale contraddizione o se egli non fosse solo concepito come questa stessa contraddizione. E qui per la prima volta sfioro il problema della psicologia del Redentore. Confesso che leggo pochi libri con tanta difficoltà come i Vangeli. Tali difficoltà differiscono molto da quelle rilevate dalla curiosità sapiente dello spirito tedesco e celebrate come uno dei suoi più memorabili trionfi. È già lonta­no il tempo in cui anch'io, come ogni giovane letterato e con l'in­telligente lentezza di un raffinato filologo, assaporavo il lavoro dell'incomparabile Strauss. Allora avevo vent'anni: ora sono troppo serio per questo. Che m'importa delle contraddizioni della «tradizione»? Come si possono definire le leggende dei santi «tradizione»? Le storie dei santi sono la letteratura più ambi­gua che esista: applicare il metodo scientifico a esse, quando non esiste più alcun'altra testimonianza, mi sembra un'operazione con­dannata dall'inizio, una pura vanità da erudito...

XXIX :
Ciò che mi interessa è il tipo psicologico del Redentore. Infatti potrebbe trovarsi nei Vangeli a dispetto dei Vangeli, anche se mutila­to e sovrastrutturato con tratti estranei: come quello di Francesco d'Assisi è conservato nelle leggende che lo riguardano, a dispet­to delle sue leggende. Non la verità in merito a ciò che ha fatto, di ciò che ha detto, o di come è morto, ma la questione se il suo tipo sia ancora concepibile, se è «tramandato». I tentativi da me conosciuti di dedurre addirittura la storia di un'«anima» dai Vangeli mi sembrano testimoniare una deprecabile leggerezza psi­cologica. Il signor Renan, questo buffone in psychologicis, ha for­nito per l'interpretazione del tipo del Gesù i due concetti più ina­deguati che si possono dare: il concetto di genio e quello di eroe (heros). Ma se esiste qualcosa che non è evangelico è proprio il concetto di eroe! Esattamente l'opposto di ogni lotta, di ogni coinvolgimento nella lotta qui è diventato istinto: l'incapacità di resistere diviene morale («Non opporti al male!» è la massima più profonda del Vangelo, in un certo senso la sua chiave), la bea­titudine nella pace, nella dolcezza, nell'incapacità all'inimicizia. Che cosa significa «buona novella»? Si scopre la vita vera, la vita eterna: questa non è promessa, è qui, è dentro di voi: in quanto vissuta nell'amore, nell'amore senza sottrazione o esclusioni, senza distanza. Tutti sono figli di Dio, Gesù non reclama assolu­tamente nulla solo per sé e in quanto è figlio di Dio: ciascuno è uguale all'altro... Fare di Gesù un eroe! E che malinteso peggiore ancora il termine «genio»! Ogni nostra nozione, ogni nostro concetto culturale di «spirito» non aveva alcun significato nel mondo in cui visse Gesù. Detto con il rigore del fisiologo, una parola totalmente diversa sarebbe qui al suo posto più idonea: la parola idiota. Conosciamo uno stato di eccitazione patologica del senso tattile, che indietreggia spaventato dinanzi a ogni con­tatto, nel vedersi toccare oggetti solidi. Si riduca un tale habitus fisiologico alla sua logica estrema, come odio istintivo per ogni realtà; come fuga nell’«incomprensibile», nell'«inconcepibile»; come avversione verso ogni formula, verso ogni concetto tempo­rale e spaziale, verso tutto ciò che è solido, consuetudine, istitu­zione, Chiesa; come essere di casa in un mondo in cui non si tocca più alcuna specie di realtà, in un mondo ormai solamente «interiore», in un mondo «vero», in un mondo «eterno»... «Il regno di Dio è in voi»...

XXX :
L'odio istintivo per la realtà: conseguenza di una estrema capacità di soffrire, di un'estrema irritabilità che in genere non vuole più essere «toccata» poiché avverte ogni contatto con troppa intensità. L'esclusione istintiva di ogni avversione, di ogni inimicizia, di ogni limi­te e distanza nel sentimento: conseguenza di una estrema capacità di soffrire, di un'estrema irritabilità che, in ogni resistenza, in ogni necessità di resistenza, provoca come un dispiacere insopportabile (cioè come qualcosa di dannoso, come qualcosa che l'istinto di conservazione disapprova) e che conosce la beatitudine (il piace­re) soltanto nel non resistere più a niente, a nessuno, né al male, né al cattivo: l'amore come sola e ultima possibilità di vita... Queste sono le due realtà fisiologiche sulle quali e a partire dalle quali si è sviluppata la dottrina della redenzione. Io la intendo come una sublime evoluzione dell'edonismo su basi assoluta­mente patologiche. Il suo parente più prossimo, anche se con una considerevole aggiunta di vitalità greca e di energia nervosa, è l'epicureismo, la dottrina della redenzione del paganesimo. Epicuro è un tipico décadent: io per primo l'ho giudicato tale. La paura del dolore, persino di quello che è infinitamente piccolo, non può sfociare in niente altro che in una religione dell'amore...

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