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NIETZSCHE - ANTICRISTO (19° PARTE)

Post n°50 pubblicato il 30 Gennaio 2006 da Darkthrone85
 

LIII :
È così poco vero che un martire stia a dimostrare la verità di una cosa, che vorrei affermare che un martire non ha mai avuto nien­te a che fare con la verità. Nel tono con cui un martire proclama la propria convinzione di verità in faccia al mondo è espresso un livello talmente basso di onestà intellettuale, una tale ottusità riguardo alla questione della «verità» che non è mai necessario confutare un martire. La verità non è qualcosa che alcuni possie­dono e altri no: solo i contadini o gli apostoli dei contadini della specie di Lutero possono pensare alla verità in questi termini. Si può star certi che, secondo il grado di coscienziosità nelle que­stioni dello spirito, la modestia, la moderazione su questo punto, cresceranno sempre. Sapere cinque cose e rifiutare con mano leg­gera di sapere le altre... La «verità», come la intende ogni profe­ta, ogni settario, ogni libero pensatore, ogni socialista, ogni uomo di Chiesa, è una prova assoluta che non s'è ancora dato inizio a quella disciplina dello spirito e a quel superamento di sé indi­spensabili a trovare una qualsiasi verità, sia pure la più piccola. La morte dei martiri, detto tra parentesi, è stata una grande sciagu­ra nel corso della storia: ha sedotto... La conclusione di tutti gli idioti, donne e nazioni incluse, che una causa per la quale qual­cuno è disposto a morire (ovvero che, come il cristianesimo pri­mitivo, genera addirittura un'epidemia di desiderio di morte) abbia un qualche valore, è divenuta un indicibile ostacolo per la ricerca, per lo spirito di ricerca e di prudenza. I martiri hanno nuociuto alla verità... E ancora oggi basta una crudeltà della persecuzione per dare una reputazione onorevole a un settarismo in sé ancora insignificante. Come? Il valore di una causa aumenta se qualcuno rinuncia alla propria vita per essa? Un errore che è diventato rispettabile è un errore dotato di un ulteriore fascino seduttivo. Signori teologi, credete che vi concederemmo l'occa­sione di fare i martiri per le vostre menzogne? Si confuta una cosa mettendola rispettosamente da parte: proprio in questo modo si confutano anche i teologi... Fu proprio questa la stupidità di tutti i persecutori della storia del mondo: concedere alla causa avver­sa le apparenze dell'onorabilità, donarle il fascino del martirio.... Ancora oggi la donna si inginocchia davanti a un errore perché le è stato detto che qualcuno morì sulla croce per esso. E dunque la croce un argomento? Ma riguardo a tutte queste cose un solo uomo ha pronunziato la parola di cui si sarebbe avuto bisogno da millenni: Zarathustra.
Scrissero lettere di sangue sul sentiero che percorsero, e la loro stoltezza insegnava che la verità si attesta col sangue. Ma il sangue è il peggiore testimone della verità; il sangue avvele­na la dottrina più pura e la trasforma in illusione e odio dei cuori. E anche se qualcuno si getta nel fuoco per la sua dottrina, che dimostra ciò? In verità è più significativo se la dottrina di qualcu­no emerge dal suo stesso rogo!

LIV:
Non  lasciamoci  ingannare:   i  grandi  spiriti  sono  scettici. Zarathustra è uno scettico. La forza, la libertà, dovute al vigore e a un eccesso di forza dello spirito, si dimostrano con scetticismo. Gli uomini di convinzione non arrivano affatto a considerare il principio di valore e di disvalore. Le convinzioni sono prigioni. Costoro non vedono sufficientemente lontano, non guardano sotto di sé: invece, perché si possa parlare di valore e di disvalore, bisogna vedere cinquecento convinzioni sotto di sé, dietro di sé... Uno spirito che vuole fare grandi cose, che vuole anche i mezzi per realizzarle, è necessariamente uno scettico. La libertà da ogni sorta di convinzioni è parte integrante della forza, come il saper guardare liberamente... La grande passione dello scettico, fonda­mento e potenza del proprio essere, ancora più illuminata, più dispotica di quanto sia egli stesso, prende al proprio servizio tutto il suo intelletto; lo rende intrepido; gli dà persino il coraggio di usare mezzi empi e, all'occorrenza, gli concede delle convinzioni. La convinzione come mezzo: si può raggiungere molto soltanto per mezzo di una convinzione. La grande passione necessita e si serve delle convinzioni, ma non si sottomette a esse, si riconosce sovrana. Viceversa, il bisogno di fede, di qualcosa non condizio­nato da un sì o da un no, il carlylismo, se mi è concesso usare l'espressione, è un'esigenza della debolezza. L'uomo di fede, qualsivoglia tipo di «credente» è necessariamente una persona dipen­dente, uno che non si considera un fine, che non può determi­nare alcun fine da sé. il «credente» non appartiene a se stesso, può solo costituire un mezzo, deve essere usato, necessita di qualcuno che si serva di lui. Il suo istinto conferisce il massimo onore a una morale di autorinuncia: tutto lo persuade in questo senso, la sua intelligenza, la sua esperienza, la sua vanità. Qualsiasi forma di fede è per se stessa espressione di autorinuncia, di autoalienazio­ne... Se si considera quale bisogno abbia la maggior parte della gente di una regola che la vincoli e la costringa dall'esterno, e come la coercizione o, nel significato più alto, la schiavitù, sia la sola ed estrema condizione in cui le persone dalla volontà debo­le, specialmente le donne, possano prosperare, allora si comprenderà anche la convinzione, la «fede». L'uomo di convinzio­ne ha in essa la sua spina dorsale. Non vedere certe cose, non essere indipendente in alcun punto, essere sempre parziale, avere in tutti i valori un'ottica severa e necessaria: tutto questo spiega perché esista, in genere, una tale specie di uomini. Ma questo fa sì che sia il contrario, l'antagonista di ciò che è veritiero, della verità... Il credente non è libero di possedere una coscienza per la questione del «vero» e del «falso»: essere onesti su questo punto significherebbe il suo crollo immediato. La limpidezza patologica della sua prospettiva rende l'uomo convinto un fana­tico: Savonarola, Lutero, Rousseau, Robespierre, Saint-Simon, il tipo opposto agli spiriti forti ed emancipati. Ma le grandi attitu­dini di questi spiriti malati, di questi epilettici concettuali, impres­sionano le grandi masse: i fanatici sono pittoreschi e l'umanità preferisce vedere atteggiamenti che ascoltare ragioni...

LV:
Un passo ulteriore nella psicologia della convinzione, della «fede». Molto tempo fa sottolineai che le convinzioni sono per la verità nemiche più pericolose di quanto lo siano le bugie (Umano, troppo umano, I, af. 483). Questa volta vorrei porre la domanda decisiva: esiste, in generale un'opposizione tra la menzogna e la convinzio­ne? Il mondo intero ritiene che vi sia, ma che cosa non crede il mondo intero? Ogni convinzione ha la sua storia, le sue forme ori­ginarie, i suoi tentativi, i suoi errori: diviene convinzione dopo che non è stata tale per lungo tempo e dopo che per un periodo anco­ra più lungo è stata tale a stento. Come? La menzogna non potreb­be trovarsi sotto tale forma embrionale di convinzione? Talvolta è necessario solo un cambiamento di persone: pet il figlio diventa convinzione ciò che per il padre era ancora menzogna. Io defini­sco menzogna il non voler vedere certe cose che si vedono, il non voler vedere qualcosa così come si vede: se la menzogna abbia luogo davanti a dei testimoni o meno è del tutto irrilevante. La forma più comune di menzogna è quella che si fa a sé stessi: men­tire agli altri è relativamente eccezionale. Ora questo non voler vedere ciò che si vede, questo non voler vedere qualcosa così come si vede, costituisce la condizione primaria di tutti coloro che appartengono in qualche modo a questo o quel partito: l'uomo di partito è necessariamente un bugiardo. La storiografia tedesca, per esempio, è convinta che Roma incarnasse il dispotismo e che i tedeschi abbiano portato lo spirito di libertà nel mondo: che differenza c'è tra questa convinzione e una menzogna? Ci si può ancora stupire del fatto che, se tutti i partiti, inclusi gli storici tede­schi, per istinto hanno in bocca le grandi parole della morale, que­sta continui a essere la morale, quasi solamente perché qualsiasi tipo di uomo di partito necessita di essa in ogni momento? «Questa è la nostra convinzione: lo riconosciamo dinanzi a tutto il mondo; per essa viviamo o moriamo. Rispettiamo tutti coloro che hanno delle convinzioni!» Ho udito discorsi simili uscire persino dalle labbra di antisemiti. Al contrario, signori, un antisemita non diventa certo più rispettabile mentendo per principio... I sacerdo­ti, che in questioni simili sono più astuti e comprendono assai bene l'obiezione che si potrebbe sollevare riguardo al concetto di convinzione, ossia alla falsità per principio, perché asservita a uno scopo, hanno ereditato dagli ebrei la prudenza di introdurre a questo punto il concetto di «Dio», di «volontà divina», di «rivela­zione di Dio». Anche Kant, col suo imperativo categorico, si trovò sulla stessa strada: allora la sua ragione divenne pratica. Vi sono questioni in cui non spetta all'uomo decidere del vero e del falso: tutte le questioni supreme, tutti i sommi problemi di valore sono al di là della ragione umana... Comprendere i limiti della ragione: soltanto questa è autentica filosofia... A che scopo Dio diede all'uomo la rivelazione? Dio avrebbe fatto qualcosa di superfluo? L'uomo non è in grado di sapere da sé cosa è buono o cattivo e per questo Dio gli insegnò la sua volontà... Morale: il sacerdote non mente. La questione del «vero» o del «falso» non si pone nei ter­mini in cui ne parlano i sacerdoti; non permette affatto di menti­re. Giacché, per mentire, bisognerebbe poter stabilire che cosa in questo caso sia vero. Ma questo è proprio ciò che l'uomo non può fare: il sacerdote è così il solo portavoce di Dio. Un simile sillogi­smo da sacerdote non è affatto soltanto ebraico e cristiano; il dirit­to alla menzogna e l'astuzia di una «rivelazione» appartiene al tipo del sacerdote, ai sacerdoti della décadence quanto a quelli del paga­nesimo (pagani sono tutti quelli che dicono sì alla vita, per i quali «Dio» è la parola del grande sì a tutte le cose). La «legge», la «volontà di Dio», il «libro sacro», 1'«ispirazione»: tutte parole che definiscono soltanto le condizioni sotto le quali il sacerdote giunge al potere e attraverso le quali lo mantiene; tali concetti si trovano alla base di tutte le organizzazioni sacerdotali, di tutte le forme di potere sacerdotale o filosofico-sacerdotale. La «sacra menzogna», comune a Confucio, al codice di Manu, a Maometto, alla Chiesa cristiana, non è assente in Platone. «La verità esiste»: ciò significa, ovunque lo si affermi, che il sacerdote mente...

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