Creato da Darkthrone85 il 10/05/2005

La Legione Nera

Esoterismo, Musica, Attualità

AREA PERSONALE

 

TAG

 

ARCHIVIO MESSAGGI

 
 << Giugno 2024 >> 
 
LuMaMeGiVeSaDo
 
          1 2
3 4 5 6 7 8 9
10 11 12 13 14 15 16
17 18 19 20 21 22 23
24 25 26 27 28 29 30
 
 

CERCA IN QUESTO BLOG

  Trova
 

FACEBOOK

 
 

ULTIME VISITE AL BLOG

matsim88jeli_Mglb72contilombardiaAngioletta888alonziroberto_1989s.gaetano80niko.sywclaudia.giolCome.Di.pioggiapezzutodavidsilvia.agostofabrizio.cellettiluigisettannifranceguevara
 
RSS (Really simple syndication) Feed Atom
 

 

« NIETZSCHE - ANTICRISTO (...NIETZSCHE - ANTICRISTO (... »

NIETZSCHE - ANTICRISTO (20° PARTE)

Post n°54 pubblicato il 01 Febbraio 2006 da Darkthrone85
 
Foto di Darkthrone85

Buon pomeriggio a tutti, continuo gli aggiornamenti sull'opera dell'Anticristo di Nietzsche, leggete attentamente e se volete commentate

 

 

LVI :
In conclusione, il punto è a quale scopo si dice una bugia. La mia obiezione contro i mezzi del cristianesimo è che manca di fini «santi». In esso esistono solo fini malvagi: avvelenamento, calunnia e negazione della vita, disprezzo per il corpo, denigra­zione e autoprofanazione dell'uomo per mezzo del concetto di peccato, ne consegue che anche i suoi fini sono malvagi. È con sen­timento opposto che leggo il codice di Manu, un'opera incomparabilmente spirituale e superiore, al punto che il solo nomi­narla assieme alla Bibbia sarebbe un peccato contro lo spirito. S'indovina subito che ha una vera filosofia dietro di sé, in sé, non soltanto un ebraismo maleodorante intriso di rabbinismo e superstizione. Offre qualcosa persino agli psicologi più esigenti. Senza dimenticare la cosa principale, ciò che lo distingue da ogni Bibbia: è lo strumento tramite il quale le classi nobili, i filosofi e i guerrieri, mantengono il controllo sulla moltitudine; valori nobi­li ovunque, un senso di perfezione, un'affermazione della vita, un piacere trionfante di sé e della vita; il sole risplende su tutto il libro. Tutti i temi sui quali il cristianesimo riversa la sua inesauri­bile volgarità, per esempio la procreazione, la donna, il matri­monio, in esso vengono trattati con serietà, rispetto, amore e fiducia. Come si può porre in mano a fanciulli e a donne un libro che contiene queste spregevoli affermazioni: «Per evitare la for­nicazione che ogni uomo abbia la propria moglie, e che ogni donna abbia il proprio marito... Poiché è meglio sposarsi che pro­vare libidine»? Ed è lecito essere cristiani finché la nascita del­l'uomo viene cristianizzata, ovvero macchiata, con il concetto della immaculata conceptio?... Non conosco alcun libro nel quale si dicono alle donne tante cose tenere e buone come nel codice di Manu; questi vecchi e santi dalla barba grigia possiedono un modo di essere gentili nei confronti delle donne che forse è insu­perato. «La bocca di una donna - è scritto in esso, - il seno di una fanciulla, la preghiera di un bambino, il fumo del sacrificio sono sempre puri». In un altro passo: «Non v'è alcunché di più puro della luce del sole, dell'ombra di una giovenca, dell'aria, dell'acqua, del fuoco e del respiro di una fanciulla». Un ultimo passo, forse pure una santa menzogna: «Tutti gli orifizi del corpo al di sopra dell'ombelico sono puri, tutti quelli al di sotto impuri. Solo nella fanciulla tutto il corpo è puro».

LVII :
Si coglie in flagrante l'empietà dei mezzi cristiani, se si paragonano i fini cristiani con quelli del codice di Manu, se si illumina con luce viva questo grandissimo contrasto di fini. Il critico del cri­stianesimo non può esimersi dal compito di rendere disprezzabile il cristianesimo. Un codice come quello di Manu nasce come tutti i buoni codici: riassume l'esperienza, la prudenza e la morale spe­rimentale di lunghi secoli, conclude, non crea nulla di più. Il pre­supposto per una codificazione di questo genere è la convinzio­ne che i mezzi per dare autorità a una verità acquisita lentamen­te e a caro prezzo siano fondamentalmente diversi da quelli con cui la si dimostra. Un codice non racconta mai l'utilità, le ragio­ni, la casistica nella preistoria di una legge: giacché così facendo perderebbe il tono imperativo, il «tu devi», la condizione per essere ascoltato. Il problema sta proprio in questo. A un certo punto dell'evoluzione di un popolo, la sua classe più illuminata, ovvero più riflessiva e lungimirante, dichiara conclusa l'esperien­za secondo la quale si deve vivere, cioè si può vivere. Il suo obiet­tivo è di incamerare il raccolto più ricco e completo possibile, proveniente dai tempi della sperimentazione e delle esperienze negative. Quindi innanzi tutto va evitata la continuazione dell'esperimento, il perpetrarsi dello stato fluido dei valori, dello stu­dio, dell'analisi, della scelta, della critica in infinitum dei valori. Contro tutto ciò viene eretto un doppio muro: da un lato la rive­lazione, ossia l'affermazione che la ragione di quella legge non è di origine umana, non è stata cercata e trovata lentamente, dopo molti errori, ma che essa, in quanto di origine divina, è intera­mente e assolutamente senza storia, un dono, un miracolo, sem­plicemente riferita... Dall'altro la tradizione, cioè l'assunto che la legge esiste già da tempo immemorabile e che sarebbe impieto­so, un crimine contro gli antenati metterla in dubbio. L'autorità della legge si fonda su queste tesi: Dio l'ha data, gli antenati l'han­no vissuta. La ragione più alta di questo procedimento risiede nell'intento di allontanare gradualmente la coscienza dalla vita, riconosciuta come giusta (cioè dimostrata attraverso un'enorme esperienza, minuziosamente vagliata): così da ottenere il completo automatismo dell'istinto, presupposto di ogni genere di abilità, di ogni forma di perfezione nell'arte di vivere. Redigere un codice come quello di Manu significa concedere a un popolo il diritto di divenire maestro, di divenire perfetto, di ambire alla somma arte della vita. A tale fine è necessario renderlo incosciente: questo è lo scopo di ogni sacra menzogna. L'ordine per caste, la legge suprema e dominante, è solo la sanzione di un ordine natu­rale, di una legge naturale primaria sulla quale nessun volere arbi­trario, nessuna «idea moderna» ha potere alcuno. In ogni società sana si distinguono tre tipi di gravitazione in senso fisiologico, che si condizionano l'un l'altro, ognuno con la sua propria igie­ne, il suo proprio àmbito di lavoro, il suo proprio sentimento di maestria e di perfezione. La natura, non Manu, separa le persone di natura prevalentemente spirituale da quelle in cui domina la forza muscolare e un temperamento forte e da quelle del terzo tipo, che non si distinguono né per l'una né per l'altra, i mediocri, le ultime come maggioranza, le prime come élite. La casta superiore, che definisco la minoranza, possiede, essendo la più perfetta, anche i privilegi della minoranza: tra questi vi è pure quello di rappresentare sulla Terra la felicità, la bellezza e la bontà. Solo agli uomini più spirituali sono concesse la bellezza, il bello: soltanto nel loro caso la bontà non è debolezza. Pulchrum est paucorum hominum: il bene è un privilegio. Nulla è loro vieta­to più severamente delle cattive maniere o di uno sguardo pessi­mistico, di un occhio che imbruttisca, per non dire dell'indigna­zione sull'aspetto generale delle cose. L'indignazione è privilegio dei Ciandala, come pure il pessimismo. «Il mondo è perfetto - così s'esprime l'istinto dei più spirituali, l'istinto che dice di sì, - l'im­perfezione, tutto ciò che è al di sotto di noi, la distanza, il pathos di tale distanza, lo stesso Ciandala fanno parte di tale perfezione». Gli uomini più spirituali, essendo i più forti, trovano la loro feli­cità dove gli altri troverebbero la loro distruzione: nel labirinto, nella severità verso sé stessi e gli altri, nell'esperimento; la loro gioia sta nel dominio di sé: tra essi l'ascetismo diviene natura, bisogno, istinto. Il compito duro è per essi un privilegio, trastul­larsi con i pesi che schiacciano gli altri uno svago... La conoscen­za: una forma di ascetismo. Essi rappresentano la razza più onorevole di uomini: il che non esclude che sia la più allegra e la più amabile. Comandano non perché lo vogliono, ma perché è nella loro essenza; non sono liberi di essere secondi. I secondi sono i custodi della legge, i tutori dell'ordine e della sicurezza; i nobili guerrieri; soprattutto il re in quanto formula suprema del guer­riero, del giudice e del tutore della legge. I secondi sono gli ese­cutivi dei più spirituali, quello che è a essi più vicino, che fa parte di loro, che li libera da ogni onerosità nel compito di governare; il loro seguito, il loro braccio destro, i loro migliori discepoli. In tutto ciò, ripetiamolo ancora, non v'è alcunché di arbitrario, nulla di «artificiale»; ciò che è diverso è artificiale; in questo caso si è violata la natura... L'ordine, l'ordine gerarchico delle caste, for­mula soltanto le leggi supreme della vita stessa; la separazione dei tre tipi umani è necessaria per conservare la società, per rendere possibili i tipi superiori e supremi; la disuguaglianza dei diritti è la condizione prima dell'esistenza dei diritti stessi. Un diritto è un privilegio. Nel suo modo di essere ognuno ha anche il suo privi­legio. Non sottovalutiamo i privilegi dei mediocri. La vita diviene sempre più dura man mano che si eleva, aumenta il freddo e aumentano le responsabilità. Una cultura elevata è una piramide: può erigersi soltanto su una base larga, essa presuppone come condizione primaria una parte di mezzo sana e fortemente con­solidata. L'artigianato, il commercio, l'agricoltura, la scienza, gran parte dell'arte: in una parola tutte le attività professionali, non sono assolutamente compatibili che con una misura media nel potere e nel volere; tali cose sarebbero fuori luogo tra coloro che rappresentano l'elite, l'istinto che appartiene loro si oppone tanto all'aristocraticismo quanto all'anarchismo. Per essere una pub­blica utilità, una ruota, una funzione, è necessario essere prede­stinati per natura: non è la società, ma quella sola specie di felicità di cui è capace la grande maggioranza, a rendere questa una macchina intelligente. Per la mediocrità la felicità consiste nel­l'essere mediocri: l'abilità in una sola cosa, la specializzazione, sono un istinto naturale. Sarebbe totalmente indegno per uno spirito profondo vedere un'obiezione già nella stessa mediocrità. La mediocrità è addirittura il primo requisito per l'esistenza delle eccezioni: una cultura elevata trova in essa la sua condizione. Quando l'uomo eccezionale tratta i mediocri con più gentilezza di quanto non faccia con se stesso e con i suoi pari, non si tratta solo di gentilezza del cuore, ma semplicemente di un suo dovere... Chi odio maggiormente tra la plebaglia dei nostri giorni? La gen­taglia socialista, gli apostoli dei Ciandala che nell'operaio corro­dono l'istinto, il piacere, il sentimento di gratificazione per il suo piccolo essere, che lo rendono invidioso, che gli insegnano la vendetta... L'ingiustizia non si trova mai nella disuguaglianza dei diritti, ma nella pretesa di diritti uguali... Che cosa è cattivo"? In verità ho già risposto a questa domanda: tutto ciò che è figlio della debolezza, dell'invidia, della vendetta. L'anarchico e il cri­stiano hanno un'origine comune...

LVIII :
In effetti fa differenza a quale scopo si mente: se lo si fa per con­servare oppure per distruggere. Si può stabilire una perfetta equa­zione tra il cristiano e l'anarchico: i loro fini e i loro istinti sono rivolti solo alla distruzione. La prova di tale affermazione si può ricavare dalla storia, che lo dimostra con spaventosa precisione. Abbiamo appena considerato una legislazione religiosa che ha come scopo quello di «eternare» una grandiosa organizzazione sociale, condizione suprema perché la vita prosperi. Il cristianesi­mo invece ha trovato la propria missione nell'annientamento di un'organizzazione siffatta, giacché in essa la vita prosperava. In quel sistema, il risultato della ragione, di lunghi periodi di sperimen­tazione e incertezza, doveva essere seminato a vantaggio del più lontano futuro e si doveva portare a casa il raccolto più abbon­dante, ricco e completo possibile: invece venne avvelenato duran­te la notte... Ciò che esisteva aere perennius, l'imperium romanum, la forma più grandiosa d'organizzazione raggiunta in condizioni avverse fino a quel momento, di fronte alla quale tutto ciò che è venuto prima e tutto ciò che è venuto dopo è stato solo imper­fetto, grossolano, dilettantismo; questi santi anarchici hanno preso per «atto pio» il distruggere «il mondo», vale a dire l'impe­rium romanum, finché non rimase eretta una sola pietra, finché anche i germani e altri bruti non poterono divenire i padroni di esso... Il cristiano e l'anarchico: ambedue décadents, ambedue incapaci di operare in altro modo che non sia dissolvente, vele­noso, debilitante, come sanguisuga; ambedue istinto di odio mor­tale verso tutto ciò che esiste, che è grande, che ha durata, tutto ciò che promette futuro alla vita... Il cristianesimo è stato il vam­piro dell' imperium romanum, l'enorme impresa dei romani di pre­parare il terreno per una grande cultura che aveva un futuro venne disfatta in una sola notte dal cristianesimo. Non si è ancora capi­to? L'imperium romanum che conosciamo, che la storia della pro­vincia di Roma ci insegna a conoscere sempre meglio, questa che fu la più ammirevole tra tutte le opere d'arte in grande stile, costi­tuiva un inizio: la sua struttura era programmata per misurarsi con i millenni. Fino a oggi non si è mai costruito in questa manie­ra, non si è neppure sognato di costruire in tal modo sub specie aeterni! Questa organizzazione era salda abbastanza da sopporta­re i cattivi imperatori: l'accidentalità delle persone non deve influenzare simili imprese: primo principio di ogni grande archi­tettura. Eppure non fu sufficientemente forte contro la forma più corrotta di tutte le corruzioni: contro il cristiano... Questi furtivi parassiti che, nel cuore della notte, nella nebbia e nell'ambiguità strisciavano accanto a ogni individuo e ne risucchiavano il senso di serietà responsabile verso le cose vere, l'istinto per le realtà; questa vile marmaglia, effeminata e lusingatrice, gradualmente ha alienato le «anime» da questo enorme edificio, quelle nature preziose, virilmente nobili che consideravano la causa di Roma la propria causa, la propria dignità, il proprio orgoglio. Quello stri­sciare dei bigotti, quella segretezza da conventicola, quei tetri concetti come l'inferno, il sacrificio degli innocenti, l’unio myst­ca nel bere il sangue e soprattutto il fuoco della vendetta lenta­mente ravvivato, della vendetta dei Cianciala, questo fece padrona di Roma la stessa specie di religione già combattuta nella sua forma precedente da Epicuro. Bisogna leggere Lucrezio per capi­re a che cosa fece guerra Epicuro: non al paganesimo, ma al «cristianesimo», intendo dire alla corruzione dell'anima per mezzo dei concetti di peccato, penitenza e immortalità. Osteggiò i culti sotterranei, l'intero cristianesimo latente; già in quel tempo nega­re l'immortalità era una vera redenzione. Ed Epicuro avrebbe vinto: ogni spirito rispettabile dell'impero romano era epicureo: a quel punto apparve Paolo... Paolo, l'odio dei dandola contro Roma, contro «il mondo», l'odio diventato carne, genio, l'ebreo, l'ebreo eterno par excellence... Ciò che egli intuì fu il modo di accendere un «incendio universale» con l'aiuto del piccolo movi­mento settario dei cristiani al di fuori del giudaismo, e come, con il simbolo di «Dio sulla croce», poter raccogliere sotto un potere enorme tutto ciò che veniva calpestato, nascosto, che era ribelle, l'intera eredità degli intrighi anarchici dell'impero. «La salvezza viene dagli ebrei». Il cristianesimo come formula per superare tutti i culti sotterranei, per esempio quello di Osiride, della gran­de Madre o di Mitra, e per riassumerli: il genio di Paolo consiste in questa intuizione. Il suo istinto in merito era talmente sicuro che, con una spietata violenza sulla verità, pose le idee, con le quali quelle religioni dei Cianciala esercitavano il loro fascino, in bocca al «Salvatore» da lui inventato (e non solo in bocca), cosic­ché fece di lui qualcosa che persino un sacerdote di Mitra poteva comprendere... Questa fu la sua visione sulla via di Damasco: comprese che per disprezzare «il mondo» aveva bisogno della fede nell'immortalità, che il concetto di «inferno» avrebbe assoggetta­to anche Roma, che con l'«aldilà» si uccide la vita... Nichilista e cri­stiano: fanno rima, e non soltanto...

 
 
 
Vai alla Home Page del blog

DARKTHRONE85.ORG - BLACK METAL WEBZINE

Caricamento...
 
 
 

© Italiaonline S.p.A. 2024Direzione e coordinamento di Libero Acquisition S.á r.l.P. IVA 03970540963