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« SCRITTO DI CRISTIANO GOD...MARLENE KUNTZ - SONICA »

SCRITTO DI CRISTIANO GODANO PER ROCKSTAR

Post n°76 pubblicato il 11 Marzo 2006 da Darkthrone85
 

Buonanotte a tutti, prima di andare a dormire, vi ho trascritto il nuovo articolo di marzo che Cristiano Godano ha scritto per il mensile Rock Star
Saluti!


Hey Dj!

Nella mia giovinezza fui anche un pò dj. Successe a Le Macabre, club rock di culto rimasto in piedi negli anni con le sue sembianze di grotta, nella cittadina di Bra. Ci vissi un buon sessanta per cento dei miei venerdì sera, escluse le settimane estive  tra la fine di giugno e la fine di settembre, in un arco temporale fra i miei 17 e i miei 23 anni e con punte ben più alte in certe fervide stagioni, vicine all'ottanta per cento. E ci vissi un buon quaranta per cento dei sabati nella stessa fascia annuale moltiplicato sei. I concerti che si tennero legittimano lo status di luogo mitici: un sacco di new wave italiana (solo i Litfiba non passarono di lì) e un sacco di roba straniera tipo i Thin With Rope (che sono il mio terzo miglior concerto di sempre); poi Nico, all’epoca del bellissimo Camera Obscura, Steve Wynn, Fleshtones, Camper Van Beethoven, Das Damen, White Zombie, Brian Ritchie (bassista di Violent Femmes), tanti altri. Per la provincia di Cuneo, quella che alcune bands del luogo avrebbero poi chiamato intitolando una compilation che li vedeva protagonisti “Provincia In Grata”, erano letteralmente eventi, e un gruppo di persone del mio stampo, ossia entusiasti appassionati, ne godeva con adesione magnifica e batticuore irrefrenabile. E dunque fui anche un po’ dj: ero infatti una figura con la sua definita personalità nell’ambito del gruppo che contava e che faceva capo alla famiglia stessa dei gestori, e non fu difficile accedere alla cabina del mixer ogni tanto, senza la pretesa di trasformare quella attività in una occupazione fissa e metodicamente impostata. D’altronde non erano i tempi delle cifre strabilianti e incredibili che al giorno d’oggi prende uno che sappia riempire il popolo notturno un locale facendolo ballare… Per me si trattava più che altro di aver la soddisfazione di vedere gente che si divertiva con ciò per cui io impazzivo: e ricordo tuttora con gioia di esser stato colui che impose il sound dei Gun Club al, per così dire, mood precipuo del locale. E non erano poche le volte in cui chiedevo a qualche amico di mettere per me il disco successivo a “Run Through The Jingle”, la qual canzone, coi mugolii sexy e stonati del cantante Jeffrey Lee Pierce, andavo a godere in pista commuovendomi in maniera vigorosa con convulsioni ballerine e guitar air…
Quando infine due mesetti fa un mail di un amico addetto ai lavori mi ha chiesto se mi andava di fare il dj per una sera in un locale di Torino che aveva in corso una specie di rassegna con, in qualità di ospiti dj’s, cantanti o musicisti del nostro ambito, il mai del tutto sopito strascico, latente in me da quella lontana esperienza, mi ha suggerito di non dire di no in modo impulsivo e di prendermi qualche giorno di tempo per rifletterci. Nell’arco di quella vaga riflessione ho cominciato a immaginare cosa avrei potuto selezionare, io che sono totalmente fuori dal giro del nightclubbing, che non sono aggiornato coi dischi “giusti” e che dell’attitudine del dj che fa ballare non so più nulla e nulla mi interessa; e da quei pensieri la prima cosa che ho ricavato è stata che avrei accettato se in termini comunicativo/promozionali si fosse fatto capire al pubblico che con me non si veniva esattamente a ballare ma ad ascoltare. Ecco la risposta dell’amico: “No problem: ciascuno viene a mettere ciò che più gli piace. La gente sa che le cose stanno così…”. Allora ho dato un impulso deciso ai miei pensementi per renderli sicuri e spavaldi e ho incominciato a impostare nel mio cervello un’atmosfera, sperando di poter arrivare a un magico connubio tra ciò che sarebbe piaciuto a me sentire in un locale in qualità di avventore e quanto di esso sarebbe stato piacevole anche per la gente, che vieppiù assumeva al mio fantasticare le caratteristiche assai sfumate di un mucchio benevolo, ben disposto, volenteroso, attento, facilmente (!) catturabile dalla sola malìa di sonorità affascinanti e inconsuete… L’idea di un dance-floor si è a sua volta persa piuttosto velocemente nei meandri di note inappropriate ad essa, e da lì in poi nemmeno ho più postulato o tenuto in considerazione la sua effettiva esistenza: chissà come ho potuto, ma ho incominciato a intravedere tavolini e gente seduta a chiacchierare con l’orecchio vigile potenzialmente attratto da ciò che le casse avrebbero diffuso.. Un’atmosfera cool, non c’è che dire, alla quale mancava solo il fumo grazie a un raziocinante rimasuglio di adeguamento alle contingenze della realtà… Ed ecco che mi sono poco per volta ritrovato a spulciare innanzitutto fra i vecchi vinili, con l’idea, super specifica degli intrippati in queste cose, di voler trovare le musiche che avrebbero saputo imporsi per la loro intramontabilità o per il loro essere in linea con ciò che si sente al giorno d’oggi (concetti – ed esiti nei confronti di chicchessia – che al me ascoltatore casalingo fanno sostanzialmente un baffo tornito e ben lisciato). Scartando ipotesi estreme di composizioni classiche o di musica cosiddetta contemporanea (Berio… Feldman… dischi del catalogo ECM… quant’altro… un azzardo che ho faticato a impedirmi del tutto), ho però pensato che non avrei voluto escludere certa new wave degli anni ottanta, soprattutto i pezzi di provenienza dell’ambito dell’elettronica. Non che io sia mai stato un buon acquirente di quele cose, ma alla fin fine, tra Cabaret Voltaire, Throbbing Gristle, Nitzer Ebb, Tuzedomoon, 23 Skidoo, Severed Heads, Nocturnal Emissions, Pankow, Psychic tv, 400 Blows, Pink Industry, eccetera, c’era di che scegliere, e ho scelto i secondi, i quarti e quinti (con mia somma sorpresa i Cabaret Voltaire, che all’epoca apprezzavo molto, li ho lasciati dov’erano). Poi ho accoppiato ad essi due tre cose dell’elettronica di adesso, tipo i Matmos, lo sperimentatore svizzero Luigi archetti, Pan America, e ho ritenuto conclusa la parte dei suoni elettronici. Felice di quanto ho selezionato ho mantenuto contatto con le atmosfere sperimentali e mi sono idealmente collegato con progetti quali Einsturzende Neunbauten, i francesi Bastard, i This Heat, i Current 93 (!), gli Swans, i lavori dell’etichetta di John Zorn, gli Art Ensemle of Chicago, i Nurse With Wound, scegliendone alcuni; e per cocciutaggine sono ritornato ad almeno un disco dell’ambito contemporaneo individuando un movimento di un lavoro per archi di Gorecki. Poi ho mescolato il tutto con il rock e ho fatto sforzi sovraumani per trovare la selezione giusta (una sola!) dei miei beniamini: un pezzo dall’ultimo di Nick Cave, uno da New York City Ghosts & Flowers dei Sonic Youth, uno da On The Beach di Neil Young, uno dall’ultimo di Leonard Cohen, uno da Oh Mercy di Bob Dylan. Infine ho condito con scelte  ciascuna per un suo preciso motivo anomale: Latin Playboysm Scott Walzer (dal magnifico e insostenibile Tilt), Alexander Hacke, Low, Bonnie “Prince” Billie, Radiohead, Barry Adamson, Bjork, Johnny Cash. In due giorni divertenti ho tentato successioni alternative dei pezzi e sono arrivato a goderne di una in modo esaustivo, convinto delle mie mosse. Per sicurezza ho scritto la scaletta, preferendo la certezza delle prove alla impulsività del momento: il primo pezzo era di Luidi Archetti, l’ultimo di Throbbing Gristle…
Volete sorridere? Arrivato il gran giorno sono arrivato in anticipo al mixer per riprendere confidenza con un oggetto da tempo dimenticato, con la crescente, circoscritta ansia a causa del pubblico sopraggiungente e giudicante, e con la montante preoccupazione di aver portato con me dischi dalle atmosfere fighe ma imballabili (eccome se c’era il dance floor! Eccome se c’era…) E… beh, quella sera, dal mio arrivo in poi, sono a loro volta intervenute una quindicina di persone (forse venti) a sprazzi, a sparuti grappoli, a gruppuscoli disorientati e straniti da un posto deserto e probabilmente desolante. Squagliandosela alla chetichella…
Fine della storiella.

(Post Scriptum: ben difficilmente sarò uno dei quei musicisti che ben sanno come integrare il cachet magretto dei concerti. E per più di un motivo.)
Cristiano Godano

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