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Tre sale

Post n°17 pubblicato il 08 Settembre 2006 da a.benassi
 




(19-27 luglio 2002: Andrea Benassi, Paolo Turrini, Simone Re, gruppo speleologico FSTK (Budapest). Campo interno di 4 giorni a -500 nell’area della Lemuria)


Era tardi quando cominciammo a pensare. Forse sarebbe stato difficile farlo prima, e probabilmente non vi saremmo riusciti. Negli angoli bui si affollavano incerti i resti delle cinque lune. Erano frammenti di orge e tracce di lividi bluastri; tutto questo dormiva con noi, e dentro di noi. Il giorno precedente era stato duro: i Glochi dell’est avevano picchiato, e neanche tutta l’armata degli Ussari con la corte della principessa Sissi erano riusciti ad averne ragione. Durante l’ultima luna avevamo fatto troppo rumore, il guardiano era sveglio ed attento, i nostri movimenti sulla sua pelle lo rendevano tremendamente nervoso. Maga Magò e tutta la banda del buco, ci avevano previsto infauste calamità, e così avevamo fatto la gimkana tra pozzi e pozze per evitarle. Con la Maga si scherza meno che col guardiano. E proprio di Ginkana si era trattato, tanto che seguendo una parete finimmo lungo un muro e ci ritrovammo a Santa Cruz della Sierra. Al Fuerte passammo alcune ore masticando coca. I bradipi quando ci si mettono sono lenti a passare, a guardarla da lassu’ la fila pareva non dovesse finire. Guardai il rosso, dormiva della fonda tra le braccia di un dasiuro dalle strie, un dasiuro delle regioni profonde, uno dei peggiori, non lo sapeva, ma rischiava grosso. Non potevo fare nulla per lui. Cominciai a contare i bradipi, qualcuno da dietro un sacco mi passò una collana fatta di denti di demone, i piu’ rumorosi, appena li tocchi stridono come un unghia sulla lavagna. E così ne contai le prime sette dozzine, e poi altre sette gruppi di sette, ammucchiati, a grappoli, appesi dal soffitto, calati negli angoli, erano proprio tanti i bradipi quella notte. Il prato è molto lontano dal Fuerte, finii i denti di demone, prima dei bradipi… fu allora che lungo la via incontrai Elisea, il vento caldo del sud, contammo insieme, abbracciati come il rosso con il dasiuro, finché non si mise a piovere. Il vento del sud non sopporta la pioggia fredda del nord. Il guardiano ne ebbe compassione, non poteva proteggerla dalla brina, allora la prese con se, la strinse e decise di elevarla, alta sopra la pioggia, altissima sopra il nord, la dove non esisteva ne luogo ne luce, ne spazio. Quando pensò di essere abbastanza in alto, si accorse di stringere solo le sue braccia. Elisea, il vento caldo, era scivolato dalla sua presa, riempiendo ogni angolo del nuovo luogo, diluendosi nel suo stesso nome, il nome di se stessa, l’eco di una fuga. E’ così, inseguendo il vento del sud, nacque Borea, il vento freddo del nord, figlia delle gocce pesanti, figlia dell’acqua che ti scivola addosso. Anche lei scomparve inseguendo il suo eco: “ti lascio solo le gocce pesanti, le acque oscure, senza volto, curale, da esse nascerà Anthinea”. Rimasi solo, sempre piu’ stretto tra i bradipi che continuavano ad entrare da ogni direzione.

 
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