Arriva anche l’Epifania, che tutti i lividi si porta via, e con loro il buonsenso. Torniamo in quattro, oltre ai soliti Paolo, Guido e Andrea abbiamo guadagnato Cristina. L’altopiano è in pieno stile invernale, neve e gelo. Il programma è quanto mai ambizioso, almeno nel trasporto dei materiali, visto che con o senza fuoristrada abbiamo deciso di trasportare con noi addirittura un generatore. Gli fanno compagnia, alcuni rotoli di cavo gommato grande come una gomena, un allegro trapano demolitore, cibo per passare l’inverno, l’immancabile sacco di corde. La strada è tutta nostra, quasi come i sacchi, quattro maggiorati, più il classico bambino in rapidissima rotazione. Partiamo a mattina, arriviamo a sera; campo fisso nella Fossa della morte, il luogo dove non batte mai il sole.
Una battutina serale a spasso verso monte Alto ci regala i primi buchi interessanti, non è freddissimo, ma la notte qualsiasi cosa funzioni deve soffiare, quindi l’effetto buco nella neve è perfetto per trovare l’introvabile. Sulla cima compaiono due chiazze di prato senza foro, ma basta scavare il prato, è compare qualcosa. Le condizioni sono ottime per trovare i non-buchi, più è larga la chiazza più è importante il non-buco, al centro di ogni non-buco c’è la porta da aprire. Il gioco si fa interessante. Sabato si perlustra tutta la zona fino al Malaina, il sistema è la soluzione finale, in fondo in inverno siamo venuti, ma non così spesso e non con queste condizioni. Dove non ci son chiazze oggi, abbiamo la sicurezza che non ci sia nulla. Ed infatti tra Ciammatura e Malaina, non c’è nulla, bene un posto in meno, però tra colli e collinette, la cresta del 5° elemento diventa sempre più intrigante e misteriosa. Ai buchi già trovati si aggiungono, due, tre, quattro, pozzetti, salette, buchi soffianti, pezzi di meandro, e quanto di più strano si possa immaginare concentrato in pochi metri. C’è un buco che soffia perfino sotto il fuoco che abbiamo fatto la volta precedente. Ovviamente tutto questo non lo avevamo visto. Apriamo tutto l’apribile, l’aria passa, noi no. Si scende a Wolf, stendiamo cavo e disostruttori. I disostruttori non disostruiscono, sono in sciopero, dopo una rapida riunione desistono senza battere colpo. Il generatore sputacchia e ride, il meandro lo ricambia, bestemmiando minaccio di dare fuoco al primo, in quanto al secondo gli prometto di seppellirci dentro almeno uno dei demolitori. La situazione sembra precipitare, la collina soffiante sta diventando la collina maledetta, viene la sera e lei beffarda comincia a soffiare. Portiamo il generatore a calci per un’altra stazione del Golgota: ultima fermata il 5° Elemento, tutto è cominciato qui, tutto finirà qui. Se non si apre con le buone, ci buttiamo dentro generatore, taniche di benzina e facciamo un unico grande botto soffiante. Il campo avanzato si sposta davanti all’ingresso, ed iniziamo le danze. Uno spigolo dopo l’altro il meandro comincia a farsi scuro in volto, gli si legge paura. Attacchiamo il trapano in versione demolitore, un chilowatt di cattiveria si scarica sulla montagna. Il fondo appare tre metri sotto i nostri piedi, siamo dentro e siamo ancora fuori, sotto sembra allargare, almeno i sassi ci vanno e scompaiono, e soffia maledettamente. I botti hanno fatto il loro mestiere, ma adesso senza un trucco ci toccherà disostruire a testa in giù, calati di piedi, posizione scomoda. Si sente puzza di barbatrucco, si avverte che la grotta sta bluffando, non è tutta roccia quella che si vede. Scendo nel meandro ho i piedi ben saldi sul pavimento da eliminare, abbiano cambiato strato, quella cosa simile al marmo che abbiamo sbriciolato fino ad ora, sembra aver ceduto il passo a qualcosa a metà strada tra la pasta frolla ed il pane secco. Forse tre metri di torrone…
“Trapano, in versione demolitore, devo controllare una cosa…”
Dall’imbocco cominciano ad uscire lapidi e monoliti, altrettanti ne scendono per andare ad esplorano prima di noi, l’idea è semplice ed eccitante: scendiamo con tutto il pavimento. Il procedimento si divide in: spacca sotto i tuoi piedi, togli il blocco, e risistemati dieci centimetri più in basso, quindi ripeti come sopra. Sono le sei di sera, scatta la frase volitiva:
“Controllate l’orologio, alle sei è un quarto siamo dentro…”
Ai primi che cazzo dici, segue perplessità nel vedere cavo e trapano che scendono al ritmo della cavalcata delle valchirie, fino a tentativi di sabotaggio del generatore e taglio della corrente per prendere il posto da disostruttore folle e vivere i quindici minuti di gloria. La simbiosi uomo-macchina ha creato una cyber talpa mostruosa. Alle sei e un quarto, minuto più minuto meno, siamo dentro, c’è grotta.
Rattoppati alla peggio ci tuffiamo nel meandro che ha preso dimensioni più che decenti; scende convinto, sfonda e saltella, finché salta più di noi e ci lascia con il naso lungo a guardare dall’alto al basso. Al campo base Polo 1 è festa fino ad esaurimento cibo e legna, considerato che non ci sono altre cose con cui fare la rima, andiamo tutti a dormire esplorando.
Domenica, giorno di conquibus e ritorno, di battere e levare, toccata e fuga. Dovremo riportare a valle generatore varie ed eventuali, sarà lunga e dolorosa, ma ora si esplora. Si riprende a scendere saltini da armare nel vecchio modo, sasso, chiodo, avemaria. Compare un camino alto che puzza di pozzo esterno, siamo sulla via giusta, c’è tracce di acqua quando piove, ed infatti il meandro alto sembra essere un posto molto simile a quello lasciato a Wolf, la direzione è giusta, la quota anche, l’acqua che abbiamo sentito scorreva qui, c’era da aspettarselo, era in piena anche la grotta di Lourd, troppo presto per il collettore, ma la via è giusta. Comincia il latte di monte, certi tratti sembrano proprio firmati Due Bocche, meandro, finestra, laghetto, via buona e via cattiva. Un ringiovanimento con tanto di retroversione a 170° sputa fuori un getto d’aria, ma le dimensioni sono deprimenti, bisogna trovare il trucco. Una finestra più in alto ci porta nel corridoio, c’è aria anche qui, a passare alti sopra lo stretto, forse si trova il modo di riscendere, quasi si passa, una costola o mia o della grotta non è d’accordo, è tardi, si prova di mazzetta, ma senza scalpello e come prenderla a parolacce. Facciamo finta che vinca il buon senso e ci ritiriamo soddisfatti, siamo scesi oltre cinquanta metri, c’è di che ritenersi soddisfatti. Due conti al bar ci dicono che dal nuovo ingresso di quota 1335 la confluenza di -190 si sposta a -250, quindi se togliamo il risalito, almeno 40-50 metri, e lo sceso 50-55, dovrebbero esserci meno di 150 metri, ma se contiamo la distanza e l’idea che abbiamo di dover incontrare il collettore che viene da monte, almeno dal torrente colorato, dovremmo aspettarci qualche sorpresa tra venti trenta metri… La follia è ormai un inquilino stabile delle nostre teste, eppure anche questa volta, mentre parlavo con la costola riottosa, mi è sembrato di sentire un rumore, un rumore di acqua lontana. La congiunzione è solo rinviata.
Inviato da: a.benassi
il 21/09/2010 alle 17:18
Inviato da: Scintilena
il 20/09/2010 alle 16:23
Inviato da: Scintilena
il 20/09/2010 alle 12:36
Inviato da: Cescosauro
il 28/05/2009 alle 00:50
Inviato da: Anonimo
il 23/11/2008 alle 09:01