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Vecchie storie a Campo di Caccia

Post n°15 pubblicato il 07 Settembre 2006 da a.benassi
 

25-6-2000 Da -80 a -230

I° Ballata delle Acque Bianche

Il pavimento manca, scompare; per magia lo rivediamo sonnecchiante almeno trenta metri piu’ in basso: tra ombre nere e limacciose. Nessun problema, pensano i due piccoli esploratori vichinghi; che da quando sono entrati nel grande souffles si sono abituati a viaggiare nella notte senza luna, ed a veder scomparire la terra sotto i piedi.
Cinque anni di lievitazione, tanto ha preteso il gran cuoco degli abissi; ma ne è valsa la pena, è venuto proprio bene.
Pensare che in molti lo volevano ormai scaduto, andato a male, marcito dalla troppa acqua…ed invece era solo questione di tempo e pazienza. Di acqua c’è né e c’è né venuta; il mare a queste latitudini dev’essere molto mosso. Se dovesse venire a burrasca non ci rimarrebbe che metterci alla cappa su qualche scoglio ed aspettare…
Ma per ora c’è calma piatta, quindi cazza la randa e molla la drizza, che bisogna ammainare tutto fino al fondo.
“Qui c’è da fare un bel lavoretto mi raccomando, lo dobbiamo legare proprio per le feste” mi sussurra Erik il Rosso. Annuisco sicuro e svuoto il mio cestino per il pranzo. Ne guadagno un mozzicone di candela, una manciata di chiodini, qualcosa di simile ad un picchetto per tenda, un filo a piombo, qualche bacarozzo rinsecchito un pugno di briciole ed un martello da odontotecnico. Niente panico, ce la possiamo fare. Alcuni minuti dopo il paletto mi guarda preoccupato da una fessura, farfuglia qualcosa a proposito di vertigini, paura di cadere. Provo a rassicurarlo, inutile, mi risponde con una pernacchia metallica. Ingrato chi ha bisogno di te, penso mentre avvito in fretta una placchetta sbilenca: “io al fondo ci arrivo anche da solo…” il chiodo mi guarda e mi dà ragione.
Sto per scendere, quando mi appare Sir Ernest Shecklenton in una fiammata bianca di acetilene: galleggia sopra il pozzo.
“Salve ragazzi, io sto accampato qua sotto con i miei uomini, a Campo Oceanico, se ci volete raggiungere per uno spezzatino di foca ci farebbe piacere”
Non siamo proprio convinti, però rifiutare pare brutto, e poi è tanto tempo che non hanno ospiti.
“Siamo onorati, giusto il tempo di scendere” rispondo.
“Benissimo, ed adesso vorreste magari che vi facessi il trucco della corda fantasma?” riprende il boss.
Annuisco pensando che forse almeno di una corda ne ho proprio bisogno. Lui mette la mano nella tasca e ne tira fuori una cordina, con un nodino, piccolo piccolo, me la passa e comincia a filarla. Sembra non finire piu’, e piu’ tira e piu’ la corda diventa sottile, sempre piu’ sottile; quando arriva al nodo ormai è una bava di gnomo. Me la porge tutta nel palmo di una mano, quindi senza salutare precipita nel pozzo con un boato misto a rumori di risacca e versi di pinguino. Non lo trovo di buon auspicio; anche questa volta il chiodo annuisce dandomi ragione.
Il pozzo è bello, la roccia bianca e pulita, tutta istoriata con denti fossili di Velociraptor, la corda tocca appena appena; in fin dei conti non riesco proprio a giustificare quel fastidioso rivoletto di sudore che mi cola lungo la schiena fino nelle mutande.
“Che te la reggo io la corda…” mi fa con voce rauca un Coboldo seduto a cavalcioni di un grande dente di squalo.
“Si, grazie, mi faresti un favore”
“Ma figurati, se non ci aiutiamo tra noi…” risponde amichevole e si mette la corda al collo creando un comodo frazionamento.
Atterro pensando con riconoscenza alla pazienza del Coboldo.
“Sei arrivato tardi, è finito” mi fa un mozzo araucano da sotto un telo termico.
“Mi spiace, lo spezzatino è finito, gli uomini avevano fame, ma se vuoi ti possiamo regalare un otre di pelle di foca, ti potrebbe essere molto utile”
Si intromette il Capitano.
“Lo sai che un recipiente, ogni recipiente, è matrice di spazio, generatore potenziale di universi?”
Mi guarda con due occhietti spiritati e mi passa un grosso oggetto nero… lo prendo poco convinto, una targhetta con le istruzioni svolazza attaccata:
“Otre alchemico. Spazio in espansione, maneggiare con cura. Firmato Arné Sacknussemm”
Accosto un occhio all’imboccatura del recipiente, guardo, e rimango in silenzio.
“Allora cosa c’è dopo il Campo Oceanico?”
La voce del Rosso cadendo dall’alto interrompe la scena, il suo tono tradisce attesa.
“Niente” rispondo calmo. “Qui è pieno di stelle”.

 
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