Creato da: a.benassi il 10/08/2006
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« Suonala ancora Sifonotto...Messaggio #55 »

Amarcord...

Post n°54 pubblicato il 25 Luglio 2007 da a.benassi

Tra una esplorazione e l’altra c’è sempre il tempo per
ricordare i tempi andati, i rilievi mai finiti, i frammenti di spedizione
rimasti appesi e tutto l’armamentario di varie ed eventuali che per pigrizia
non diventeranno mai articoli ma resteranno ricordi spersi e frammenti di
memoria. Per dare un po’ di vita a questo mucchio in ordine sparso, inauguro
quindi una sezione d’intermezzi dove dare spazio ai brandelli…



 



 



Wuaraska
Honduras - gennaio 2004

E’ notte, c’è acqua, c’è fango, non manca nulla. Don
Cipriani l’ha vista lunga a fermarsi a Tilopo. Non che l’unica casa del paese
sia proprio un paradiso, ma almeno lui e Candida questa notte avranno un pavimento dove dormire. Avremmo dovuto dare
retta a lui invece che a Jorge. Sessant’anni, tanti di quei figli che dopo i trenta
ha smesso di contarli, una cataratta che lo rende cieco come un talpone, tanto
che s’è portato una figlia al posto del bastone, un’autonomia di dieci
chilometri con una bottiglia di rhum, ma la nostra guida Pech la sa lunga,
molto più lunga di Jorge.  Quando siamo
partiti da Catacama per una versione Olanchiana del classico on the road, non
avevamo molto chiaro dove saremmo andati a sbattere. Dopo aver gironzolato tra
acqua e fango per la Sierra di Agalta come due scemi, dopo aver sceso la dolina
di Cielo di Pietra dalla parte verticale, tanto per farla più complicata, con Ramon appeso alle liane preoccupato più
che cadesse la sua pistola che noi, ormai pensavamo di averle viste tutte. Ma
ci mancava ancora la caccia alla Ciudad blanca, un classico, la versione locale
dell’Eldorado. Qualcuno aveva detto a Jorge, che qualcun altro aveva visto dei
ruderi sparsi, lungo l’alto corso del rio Platano. A lui era bastato questo. A
noi aveva detto ci fossero grotte. A noi era bastato questo. Forse avremmo
fatto tutti meglio ad informarci un po’ di più. Tra San Pedro di Pisjire e La
Colonia avevamo fatto il pieno di ogni
fantasia. Nell’ordine stavamo cercando: un posto chiamato Wuarasca, la cueva
del Rio Aner, el cementerio e la Casa blanca. Nessuno ci voleva accompagnare,
ma in compenso c’indicavano la direzione, aggiungendo anche il tempo
necessario, due, forse tre giorni di cammino. Considerato che ci stavamo
muovendo attorno alla grande foresta del Rio Platano le cose si complicavano un
po’. Poi era scappato fuori Don Cipriani, l’avevamo pescato già ubriaco ad una
festa, ovviamente confermò ogni nostra fantasia, ma questa volta si offri di
portarci alla Casa blanca, e di mostrarci una cueva ad un giorno di cammino.
Occasione ghiotta, e così la mattina seguente siamo in sei nella macchina che
arranca nelle pozze di fango verso Tilopo. Jorge è vestito come Indiana Jones,
con tanto di daga alla cintura, e tanto per fare più cavaliere s’è portato
anche Carlito un ragazzo di dodici anni come scudiero, Don Cipriani è cieco
come una talpa e quindi per farci da guida nella foresta s’è portato Candida
una delle sue ultime figlie, noi ci siamo portati dietro tanto di quel
materiale da caricare una carovana di muli. Tra una pozza e l’altra la strada
finisce per mancanza di ponti, la mancanza anche di muli spinge a riconsiderare
l’utilità di mute e canotto. Alla fine salta fuori Luiss con un mulo ed un
cavallo. Il primo, il mulo,  ci farà da
guida, il secondo, il cavallo,  lo occupa
Giovanni in vena western, che  raggiunge il top quando riesce a farsi una foto con altri due tizi a cavallo
armati di M16 e pistoloni in pieno stile guerriglia nella selva. Intorno alle quattro Don Cipriani decide di
fermarsi, dice che non arriveremmo mai alla baracca sul rio wuaraska prima di
notte, il mulattiere dice che manca
mezz’ora, o almeno così Jorge ci fa credere. Partiamo convinti che il vecchio
abbia esagerato. Dopo quattro ore siamo convinti che avesse ragione. L’unica
cosa certa è il mulo davanti, lui la strada la conosce, il cavallo dietro è
molto meno sicuro come ha scoperto Giovanni dopo che gli è cascato addosso
scivolando nelle pozze di fango che arrivano oltre il ginocchio. Il resto è
incerto. Dire che è buoi pesto non rende, con il fango al ginocchio scivoliamo
da ore su e giù in tunnel tagliati nella foresta, per le bestie speriamo che
siamo tutte a letto, per le zecche e le sanguisughe ci penseremo domani. Jorge
è entusiasta di giocare all’esploratore, Carlito tace, Giovanni maledice Jorge,
il mulattiere cerca di non perdersi le bestie, io cerco di non perdere lui.
Alla fine una radura, il cielo stellato e la vecchia capanna sulla riva del
Wuaraska, giusto alla confluenza con il Rio Blanco, le sorgenti del
Rio Platano. La mattina dopo di buon ora Don Cipriani e Candida si presentano
tranquilli tranquilli in tempo per la colazione. La casa blanca è ancora
lontana, forse un giorno di cammino, forse più, ma la cueva è vicina, lungo la
riva del fiume. Sacchi in spalla ci ributtiamo in foresta, poi dopo poco
affiora roccia, poi un torrentello limpido, qualche colpo di machete e siamo
difronte all’imbocco della nostra risorgenza. La grotta purtroppo dura poco,
centocinquanta, duecento metri e decide di sifonare,  i primi coloni che girarono in queste zone nei
tempi recenti hanno lasciato le loro tracce, mischiate a quelle dei cercatori
di tesori. Girando per foresta Jorge trova un paio di tombe e un campo di
ananas inselvatichiti. Don Cipriani da buona guida ci procura il piatto forte
pescando a fiocinate un wapote. Il pesce più spinoso che esista in natura. Intanto
le scimmie ci guardano beffarde dall’alto. La via per la cueva del rio Aner
sarebbe lunga, molto lunga, ancora due giorni, a noi da qui ne servono già due
per tornare a Catacamas. Il Rio Platano vuole tempi lunghi. Sulla via del
ritorno Luiss ci fa intravedere un pizzico del mistero di questi luoghi. Una
via pietrata attraversa la foresta, viene dal nulla e va nel nulla. La seguiamo
lavorando di machete, mezz’ora, un’ora, finché finiamo su una spianata, due
strani cucuzzoli a cono. Altro giro di machete ed i cucuzzoli si scoprono monticoli
costruiti, con muri alla base, dietro una sorta di piazza con tanto di
scalinata, basamenti di edifici, sparsi ovunque resti di metates, troni
cerimoniali su tre piedi, pietre per molare il mais, palle di pietra lavorate.
Una piccola città persa nella foresta. Nella zona ce ne sono decine, forse
centinaia, ancora tutte da scavare, le prime furono posizionate negli anni ’80
lungo il basso corso del Rio Platano, ma attorno per centinaia di chilometri
quadrati è pieno. La guerra dei contras è finita da pochi anni è qui siamo
sulla frontiera in tutti i sensi. Questa non sappiamo neanche se sia
conosciuta, Jorge che è il responsabile archeologico per la regione non sa
nulla. Di sicuro ci sono passati i coloni a caccia di tesori, ma d’altronde da
queste parti tutti hanno almeno una statua antica in giardino. Prendiamo le
coordinate del posto, un rapido rilevamento e siamo di nuovo sul sentiero. A
notte arriviamo alla macchina, una rapida discussione con un paio di ragazzi
armati di mitra che si sono innamorati del coltello di Jorge e siamo in viaggio per S. Pedro, il primo
posto dove trovare un birra. Stiamo tornando in Italia, ma con la testa siamo
già a Pian Bonito, tra i pozzi di Cielo di Pietra.

 
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