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La letteratura è la confessione che la vita da sola non basta. F.Pessoa

Creato da Michaelibri il 11/03/2012
 

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Bukowski - Tutta una vita per morire

Post n°4 pubblicato il 11 Marzo 2012 da Michaelibri
 
Foto di Michaelibri

Lui non ha bisogno di presentazioni, tante cose sono state scritte del vecchio Charles e se ancora i critici continuano a parlarne è perchè semplicemente fa bene parlarne, tira su il morale, Charles, ci fa rendere conto che tutti i difetti che abbiamo possiamo tramutarli in pregio se li mescoliamo all'arte. Non è solo lui a insegnarcelo, per carità di Dio, ma lui è quello che ce lo dice con più schiettezza e sincerità.

Nasce in germania da padre di origini polacche e da madre tedesca, eppure è più americano di Roosvelt. Il padre lo picchiava, gli amici lo prendevano in giro per le sue origini, soffriva di solitudine e depressione: tutto questo era il mezzo per diventare Bukowski.

A tredici-quattordici anni bevve per la prima volta il vino, grazie al suo amico William “Baldy” Mullinax, figlio di un chirurgo alcolizzato. “Questo mi aiuterà per tanto tempo”, scrisse in seguito, descrivendo l'inizio del suo amore a vita con l'alcol.

 

« Al L.A. City College, poco prima che cominciasse la seconda guerra mondiale, mi atteggiavo a nazista. Distinguevo a fatica Hitler da Ercole e non poteva importarmene di meno. Era soltanto lo stare seduti a lezione e sentire tutte le prediche patriottiche su come dovremmo andar lì e fare del nostro meglio, mi vennero a noia. Decisi di diventare l'opposizione. Non mi prendevo il tempo neppure per informarmi su Adolf, semplicemente sputavo qualsiasi cosa che pensavo fosse malvagia o bestiale. »

 

A 24 anni (1944), il racconto Aftermath of a Lengthy Rejection Slip fu pubblicato sulla rivista Story. Due anni dopo, un altro racconto, 20 Tanks From Kasseldown uscì su una raccolta di Portfolio III. Non riuscendo però a sfondare nel mondo letterario, Bukowski si rassegnò e smise di scrivere per un decennio, un periodo che lui ha chiamato “una sbronza di dieci anni”. Questi “anni buttati” formarono però le basi di tutto quello che scrisse in seguito, che è largamente autobiografico, sebbene la verità dei suoi resoconti sia stata frequentemente messa in discussione (lui stesso ammette di mescolare realtà e immaginazione).

Nel 1955, fu ricoverato in ospedale per un'ulcera perforante che gli fu quasi fatale. Quando lasciò l'ospedale, cominciò a scrivere poesie. Nel 1957 decise di sposare una poetessa di una città della provincia texana, Barbara Frye, senza averla mai vista, ma divorziarono nel 1959. Barbara dirigeva la rivista Harlequin, sulla quale erano state pubblicate delle poesie di Bukowski. Lei disse che la loro separazione non ebbe niente a che fare con la letteratura, però lei dubitò spesso della sua abilità di poeta. In seguito al divorzio, Bukowski ricominciò a bere e a scrivere poesie.

Nel 1960 era ritornato all'ufficio postale a Los Angeles, dove continuò a lavorare come impiegato archivista per oltre dieci anni. Nel 1962 fu traumatizzato dalla morte di Jane Cooney Baker. Lei era il suo primo vero amore. Bukowski sfogò il suo lutto e la sua devastazione in una potente serie di poesie e racconti che piangevano la sua morte. Jane è considerata il più grande amore della sua vita e la più importante tra le Muse che ispirarono la sua scrittura: ne sono convinti i biografi Jory Sherman, Souness, Brewer e Harrison.

Nel 1964 Frances Smith, la sua nuova convivente, partorì l'unica figlia di Bukowski, Marina Louise. Lui però screditava Frances con frasi pesanti: hippy dai capelli bianchi (white-haired hippy), lavoro malfatto (shack-job) e vecchia sdentata (old snaggle-tooth).

Jon e Louise Webb, adesso riconosciuti come giganti del movimento della piccola editoria del dopoguerra, pubblicavano The Outsider literary magazine. Sotto il marchio Loujon Press, fecero uscire It Catches My Heart In Its Hands (1963) e Crucifix in a Deathhand (1965). La prima raccolta di racconti di Bukowski fu un libretto stampato in cinquecento copie nel 1965 intitolato Confessions of a Man Insane Enough to Live with Beasts (Confessioni di un uomo folle abbastanza per vivere con le Bestie), seguito nel 1966 da All the Assholes in the World and Mine (Tutti gli stronzi del mondo e me).

All'inizio del 1967, cominciò a scrivere Notes of A Dirty Old Man (Taccuino di un vecchio porco), pubblicandolo a puntate sull'Open City di Los Angeles, un giornale underground. Quando fu chiuso nel 1969, i racconti continuarono a uscire sul Los Angeles Free Press, e sul NOLA Express di New Orleans, Louisiana. Sempre nel 1969 lo stesso Bukowski si dedicò ad una propria rivista letteraria (intitolata Laugh Literary and Man the Humping Guns), ma senza successo.

Gli anni Black Sparrow [modifica]

Nel 1969 accettò un'offerta dall'editore della Black Sparrow, John Martin: 100 $ a settimana per tutta la vita. Decise perciò di lasciare il lavoro alle poste per dedicarsi alla scrittura a tempo pieno. Aveva quarantanove anni. Come spiegò in una lettera di quel periodo: “Avevo solo due alternative – restare all'ufficio postale e impazzire... o andarmene e giocare a fare lo scrittore e morire di fame. Decisi di morire di fame.” Meno di un mese dopo finì il suo primo romanzo autobiografico, Post Office, che lo rese celebre. Come forma di rispetto per la fiducia in uno scrittore relativamente sconosciuto, Bukowski pubblicò quasi tutti i suoi lavori successivi con la Black Sparrow.

Grazie alla fama crescente cominciò a imbarcarsi in una serie di storie di una notte e di relazioni. Quelle più importanti furono con Linda King, poetessa e scultrice, Liza Willams, manager degli studi di registrazione, e “Tammie”, madre single dai capelli rossi. Tutte queste storie fornirono materiale per i suoi racconti e le poesie. Un'altra importante relazione fu con “Tanya”, descritta in Donne (Women) come un'amica di penna.

Nel 1976 incontrò Linda Lee Beighle, proprietaria di un ristorante di cibo salutare, aspirante attrice e devota di Meher Baba, leader di una setta indiana. Due anni dopo si trasferì dalla zona dell'Est Hollywood, dove aveva vissuto per la maggior parte della vita, alla comunità rurale di San Pedro, il distretto più a sud di Los Angeles. Linda lo seguì e vissero insieme a intermittenza per più di due anni, perché lui a volte si stancava della relazione e la metteva alla porta. Dopo una serie di scioperi della fame e preghiere disperate ci ripensò e la riprese con sé. Linda è chiamata Sara nei romanzi Donne e Hollywood! Hollywood! (Hollywood). Bukowski, scrivendo di lei, dice che gli ha regalato altri dieci anni di vita (perché l'ha obbligato a bere un po' meno e solo vino). In seguito furono sposati da Manly Palmer Hall, autore e mistico canadese, nel 1985.

Nel 1988 si ammala di tubercolosi, ma continua a scrivere e pubblicare libri fino a quando, il 9 marzo 1994, all’età di 73 anni, muore stroncato da una leucemia fulminante, a San Pedro, poco dopo aver completato il suo ultimo romanzo, Pulp. I funerali furono officiati da monaci buddisti. Un resoconto della cerimonia può essere trovato nel libro di Gerald Locklin, Charles Bukowski: A Sure Bet.

La sua vita non è delle migliori, insomma chi vuole mai vivere la vita di un ubriacone violento e acciaccato, brutto e puttaniere, eppure da generazioni non possiamo far altro che interessarci a lui, non possiamo far altro che amarlo, odiarlo, ma non possiamo liberarcene perchè senza di lui la letteratura sarebbe più leggera, troppo, rischierebbe di volare alla prima folata di vento. Ci piace, mi piace e sono convinto che un giorno qualcosa della sua poesia la studieranno i ragazzini a scuola perchè, come credo sostenesse anche lui e come spiega in molte delle sue opere, bisogna allevare alla cattiveria del mondo, mostrando il lato buono delle cose che c'è dietro ogni angolo: ogni cosa cattiva ha un'ombra buona, basta lasciarla alla luce.

Mike La Volpe

 
 
 

Chuck Palahniuk - Soffocare

Post n°3 pubblicato il 11 Marzo 2012 da Michaelibri
 
Foto di Michaelibri

E' l'ottava meraviglia del mondo, ha reinventato la scrittura negli anni in cui questa rischiava di scadere nel banale con una sfilza di noir e gialli senza scorza. Lo hanno paragonato a De Lillo, ma io ho sempre dubitato di questo paragone, De Lillo ti stanca, De Lillo è pesante, De Lillo non ti stupisce come sa fare Chuck. Se lo avete conosciuto con Fight Club, siete di certo andati avanti e sono sicuro che sarete arrivati alla grande follia di "Soffocare". Anche da questo romanzo è stato tratto un film, non di successo, ma splendido per gli amanti dello scrittore.

Victor Mancini, studente di medicina fallito, ha architettato un fantasioso sistema per pagare le spese ospedaliere della vecchia madre: ogni giorno va a cena in un ristorante diverso e, nel bel mezzo della serata, finge di soffocare per colpa di un boccone andato di traverso. Immancabilmente qualcuno si lancia a salvarlo, e altrettanto immancabilmente diventa una sorta di padre adottivo del protagonista e in occasione dell'anniversario dell'incidente gli invia dei soldi. Dopo anni di questa attività il nostro eroe si trova a ricevere quasi quotidianamente un gruzzolo da persone di cui ormai non ricorda nulla ma che gli sono grate per aver dato un senso alle loro vite. Dopo il grande successo di "Fight Club", Chuck Palahniuk ci offre ancora una volta un ritratto geniale, sulfureo e divertentissimo della vita, dell'amore, del sesso e della morte nel mondo di oggi.

Mike La Volpe

 
 
 

Frey - Buongiorno Los Angeles

Post n°2 pubblicato il 11 Marzo 2012 da Michaelibri
 
Foto di Michaelibri

Uno dei motivi per i quali amo mettere le foto degli scrittori è che credo non si possa scindere lo scritto dal personaggio, perchè chi ama davvero questa cosa chiamata letteratura, deve amare prima di tutto la faccia di chi la fa, i suoi movimenti, dev'essere morboso al punto da volerselo anche scopare, lo scrittore. E credo che allo scrittore faccia davvero piacere, in linea di massima.

Scrittore tra i più acclamati, controversi e originali dell’America di oggi, James Frey non ha scelto soltanto un personaggio o una storia per il suo primo romanzo, ha scelto un’intera città: El Pueblo de Nuestra Señora la Reina de Los Angeles de Porciúncula.
Oggi, semplicemente, Los Angeles.
Immane distesa di auto e individui, serbatoio infinito di illusioni e sogni infranti, immagine esplosa di una società, miraggio che si accende ogni giorno come un’insegna al neon, Los Angeles lancia il suo richiamo a tutte le anime perdute, perché vengano a consumare le loro storie nel suo abbraccio capiente. Come Amberton, il grande attore viziato, la cui passione segreta per ciò che non può avere potrebbe distruggergli la carriera; oppure Joe, il vecchio homeless alcolista e filosofo di Venice Beach, che per salvare una drogata rischia di morire nel gabinetto pubblico dove si è installato; o la coppia di giovani scappati da un buco di provincia dell’Ohio con duemila dollari e troppe cicatrici; o ancora Esperanza, che è americana perché sua madre l’ha partorita quindici metri dopo aver oltrepassato il confine messicano, e che per un solo momento di umiliazione rischia di perdere tutto. Frey li segue, ce li fa vedere da vicino e intanto allarga la nostra visuale ad altri personaggi e alla città, a perdita d’occhio, fino a che improvvisamente ci rendiamo conto di essere davanti a un Paese intero, a una cultura, a un momento storico.

 
 
 
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