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In ricordo di Carlo Bianchetti

Post n°113 pubblicato il 06 Dicembre 2013 da greppjo
 

Nato a Teverina nel 1920, espressione genuina della gente che all’epoca viveva nelle campagne che rivestono la dorsale appenninica nel tratto umbro-cortonese,  Carlo Bianchetti ha attraversato con la sua vita le varie fasi del secolo scorso in Italia.

Dal faticoso lavoro della famiglia contadina, alla guerra in Africa con la perigliosa avventura di El Alamein, alla guerra civile italiana 1943/45 nelle proprie contrade; dalla dura povertà del dopoguerra all’impegno della ricostruzione, al fenomeno dell’urbanesimo e delle migrazioni interne, con il trasferimento a Roma ed  il passaggio dal mondo contadino a quello dei servizi, con il lavoro in banca; dalla costruzione di un nuovo e più sicuro avvenire allo sviluppo della famiglia, con figli, nipoti e bisnipoti.

Morto a novembre 2013 ad oltre 93 anni di età, quasi un sopravissuto (come vedremo oltre), Carlo lascia in chi l’ha conosciuto il ricordo e l’immagine di un uomo forte, libero, fiero e combattivo, generoso.

Forte fisicamente, fin da quando, giovane, trasportava a spalle “su per i greppi “ traversine da 1 quintale l’una. Ma con un riverbero di forza d’animo, sul piano morale e psicologico, testimoniata all’apice quando, dopo una decina d’anni di matrimonio, ha dovuto far fronte a situazioni familiari di grave difficoltà come il ricovero ospedaliero della moglie per lungo tempo, conciliando ciò con l’impegno lavorativo e familiare.

Libero, con quella libertà della cultura contadina, fatta di cocciutaggine, di “scarpe grosse e cervello fino”, di indipendenza istintiva nel prendere decisioni, ma anche di capacità di rapportarsi con i superiori, o con persone di diverso rango o di più alto livello culturale, con rispetto ed  umiltà.

Fiero fin da quando, giovane, girava per i boschi con il fucile da caccia a tracolla e quando, partendo per la guerra, ha posto le basi per una famiglia nell’incontro con la ragazza di Seano, tre anni più giovane di lui, alla S. Messa domenicale nella chiesetta del borgo, in cui lo zio prete celebrava e lei cantava nel coretto. Quella Carmela Stoppini, con cui ha vissuto 72 anni di matrimonio, e di cui su questo giornale abbiamo ricordato la morte a novembre 2012.

Fierezza nella caccia, che è stata per lui una passione per la vita, quasi un gioco od uno sport, particolarmente nella caccia al cinghiale praticata in squadra nella sua terra, fino alla fine, anche quando ormai potevano essergli affidati soltanto ruoli marginali. Lo stesso spirito combattivo e di gusto della sfida che lo ha animato nel gioco delle bocce, a Roma, presso la Parrocchia Regina Pacis, vincendo tornei e molte coppe. Così come nell’amato gioco delle carte.

Ma forza d’animo, libertà, fierezza, spirito combattivo gli sono stati necessari per affrontare le sfide più importanti che lo aspettavano nella vita.

Una 30 anni fa, quando alla sua prima figlia, Adriana, è morto il marito lasciandola con tre figli in età tra i 16 ed 13 anni. Quello che già era stato in precedenza, insieme alla moglie Carmela, un forte impegno di aiuto familiare tipico dei nonni, è diventato un lavoro più impegnativo, quasi di supplenza. Per i tre nipoti, in quegli anni dell’età evolutiva, ha rappresentato infatti il vero e sicuro riferimento paterno.

Un’altra 6 anni fa, quando è morto il suo secondo figlio, Romano, lasciando moglie e due figlie di 24 e 10 anni. La premorienza di un figlio è sempre un’esperienza durissima, perché appare quasi come contro natura. Ed insieme, lui e Carmela, hanno dovuto elaborare un lutto che, soprattutto per lei ha segnato l’inizio di una parabola discendente di grande impatto psicologico e fisico.

D’altra parte l’esperienza della morte diciamo “fuori regola” lui l’aveva vissuta anche nell’ambito della sua famiglia di origine. Primo di quattro figli, aveva visto morire nell’ordine il fratello più piccolo, Cesare, e la sorella più giovane, Ines. L’unica rimasta in vita è ormai la sorella Anna, teverinese patocca come lui. 

Ma la sfida ultima, un anno fa, appunto la morte della sua Carmela, con cui lo vediamo nella foto sulla panchina davanti a S. Pancrazio, dove li accompagnavamo alla S. Messa domenicale negli ultimi anni, ravvivando l’antica fede. Esperienza dolorosa che lo ha portato in questo lasso di tempo a concludere, nella sua casa di  Roma la sua vita terrena. Una vita dipanata tra Teverina, luogo di nascita ed amato rifugio nei periodi feriali ed estivi, e Roma, luogo del lavoro e dello sviluppo della famiglia, con cui amava gli incontri conviviali in grandi tavolate “tutti insieme”. Ma Teverina è rimasta nel suo cuore come “la terra promessa”, quella in cui avrebbe voluto tornare a vivere ed infine esservi sepolto.

In tutti questi passaggi della sua vita è stato, come già detto, un uomo forte e libero, fiero e combattivo, ma soprattutto grandemente generoso, con grande spirito di accoglienza, così come l’ha manifestata anche a me vent’anni fa, quando diventavo il secondo marito della sua amata figlia Adriana.

Pensando a Carlo Bianchetti proviamo oggi sintonia con le sensazioni mirabilmente evocate da Giovanni Pascoli nella sua poesia “La quercia caduta”. Così vive nel ricordo che custodiamo nel nostro cuore e nella nostra mente. E in più, per noi credenti, c’è la sicura speranza che lui sia stato accolto tra le braccia di Dio Padre e ricongiunto a Carmela, Romano, Cesare, Ines e tutti gli altri suoi cari.

Nino Incani

 

 

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pgmma
pgmma il 08/12/13 alle 08:54 via WEB
Deve essere un continuo e grande dilemma per il romano pontefice a scegliere le espressioni per comunicare Un mondo grigio, confuso, e ribelle, senza dimenticare la gradualità necessaria nei cambiamenti di una lunga tradizione pesante ed anacronistica. Ogni parola rischia di compromettere l'insieme. Per gli omosessuali che se solamente detti sodomiti, come li chiamano le scritture o recchioni come si dice oggi, e che i credenti pure reputano tali, se non vengono considerati sani come gli altri uomini si rischia lo sconvolgimento sociale. E gli islamici immigrati che dissimulano l'avversione che hanno per gli europei da convertire con le buone o le cattive appena possibile, tanto è vero che ovunque evitano l'integrazione, ecc , richiede una prudenza e un equilibrio di cui io non sarei capace. Eppure sembra che anche questo non basti .... Futuro ??? I giovani ? Gli ientellettuali ? I politici? Il popolo bue ?
 
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