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Due parole sul liberalismo e la solita ipocrisia italiota

Post n°12 pubblicato il 08 Luglio 2012 da iskra1974
 

 

L'ultimo primo ministro prima della marea neraIl liberalismo è un processo che è storicamente ancora giovane. Solo ieri un ottimo documentario della RAI riproponeva la figura controversa del politico e primo ministro Luigi Facta, l'ultimo esponente di una fase giolittiana, che fu travolto da Mussolini con la coreografica marcia su Roma.

 

La storiografia ufficiale non ha mai trattato con giustizia questo misconosciuto politico di Pinerolo, addebitandogli tutte le colpe politiche per il crollo della democrazia liberale, accusando il Facta di debolezza e di viltà. Oggi si scopre, ma si dovrebbe dire, con maggior onestà, si conferma una tesi scomoda. Molti esponenenti del governo, addirittura le figure militari più vicine alla corona, come il generale Cittadini, forze trasversali quali la massoneria, e, ovviamente, certe istanze del capitalismo industriale metropolitano più avanzato, miravano al sovvertimento del governo liberale.

 

Non è quindi giusto attribuire le colpe interamente a Facta e al governo da lui presieduto. Si pensi altresì che l'allora ministro dell'interno Amato aveva proposto lo stato d'assedio (che rimase in vigore per meno di un giorno) e l'arresto di Mussolini. Ma, in certe fasi supreme della sotoria, è come se gli interessi ancentrali delle classi, e tra queste inserisco anche la classe dei contadini e degli operai, nonchè gli interessi che ho indicato sopra, in primo luogo quelli di un certo capitalismo, e del blocco militare, si fondano, a danno della espressione formale liberalistico - parlamentare.

 

Il capitalismo e il mondo degli agrari, che all'epoca era indubbiamente l'espressione più reazionaria, all'interno del contesto sociale, vedevano, nel sovvertimento della democrazia liberale, la possibilità di ricevere aiuti di stato, nell'ottica di un protezionismo di ritorno, e il contrasto alle istanze dei socialisti e del rivendicazionismo sindacali, soprattutto nella lotta per la mezzadria e l'abolizione dei grandi soprusi commessi dai latifondisti.

 

Nemmeno i ceti proletari avevano a cuore la democrazia, in quanto, spinti dai massimalisti di serrati, avevano provato la spallata rivoluzionaria, nel biennio rosso, ignorando che le condizioni economiche, storiche e sociali dell'Italia post-bellica non erano minimamente paragonabili alla Russia zarista. Sotto l'incubo del fascismo incombente, i socialisti si trovarono nella terra di nessuno, non sapendo se difendere le istituzioni o spingere per la lotta di classe che vedeva, nello squadrismo fascista, la rappresentazione simbolica del padronato.

 

E' da notare che questo errore sarebbe stato commesso, più avanti, negli anni trenta, dai socialdemocratici e dai comunisti tedeschi, che spianarono la strada al nazismo, con la differenza che, in Germania, non era presente l'influenzamento di una componente monarchica, che qui produsse danni incalcolabili, in prima istanza nella revoca dello stato d'assedio. Vittorio Emanuele temeva di essere scavalcato da altri rami della dinastia (il duca d'Aosta) e, alla promessa di Mussolini di rispettare l'impianto manarchico, fece volentieri il salto della quaglia.

 

La storia dimostra quanto sia debole e profondamente instabile il processo di acquisizione di una sociatà liberale e come dal caos, dall'instabilità sia molto più probabile una svolta autoritaria, perchè il vero volto del capitalismo è chiaramente il volto bestiale dello sfruttamento di classe.

 

In uno scenario complesso come quello attuale chi professa radicalismo dovrebbe ricordarsi dell'insegnamento della storia, e assumere le giuste responabilità politiche e sociali.

 

 

Luca Pastura


 

 
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