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Traduttore cerebrale

Post n°270 pubblicato il 02 Febbraio 2012 da BROWSERIK
 

uioRicercatori Usa sono riusciti a tradurre in suoni artificiali i segnali cerebrali innescati quando percepiamo la voce umana. Ma non chiamatela lettura nel pensiero 01 febbraio 2012 di Lorenzo Mannella Non sarà certo questa la scoperta che ci permetterà di leggere i pensieri degli altri esseri umani, ma di sicuro è un grande passo in avanti verso la comprensione del linguaggio. Il merito va al team di ricerca guidato da Brian Pasley,neurologo dell' Helen Wills Neuroscience Institute di Berkeley, che ha decodificato alcuni stimoli cerebrali alla base dell'ascolto. In questo modo, un giorno forse sarà possibile riprodurre in modo artificiale le parole percepite nella testa delle persone.

Tuttavia, come spiega Scientific American, questo non significa che saremo in grado di leggere anche i pensieri elaborati dal cervello stesso. Per l'esattezza, lo studio pubblicato su PLoS Biology dall'equipe di Pasley riguarda un algoritmo capace di tradurre in suoni gli stimoli cerebrali innescati dalle parole percepite da 15 volontari. Il test prevedeva di sottoporli all'ascolto di brevi parole – a volte inventate – come “ jazz”, “ cause” e “ fook” e vedere quali parti del loro cervello si attivassero.

Per registrare l'attività cerebrale, Pasley ha sfruttato elettrodi connessi direttamente alla superficie della corteccia uditiva. Si tratta di una procedura molto sofisticata resa possibile dal fatto che tutti i partecipanti dovevano comunque sottoporsi a interventi neurochirurgici per il trattamento di epilessia o tumori. Ogni volta che un volontario percepiva una parola, il computer registrava i segnali percepiti dal cervello e li elaborava nel tentativo di convertirli in un suono simile.

Ebbene, dai ripetuti esperimenti è emerso che esistono zone cerebrali deputate all'ascolto esclusivo di alcune frequenze sonore. Una sorta di mosaico neurale sensibile a uno spettro sonoro che va da 200 a 7.000 Hertz. Inoltre, sembra che per adesso l'algoritmo del team di Pasley sia in grado di riprodurre con più facilità suoni vocalici molto semplici. Così, prima di arrivare a sviluppare uno strumento di ascolto più sofisticato, i ricercatori dovranno valutare quali sono i contributi di altre aree che entrano in gioco nel momento in cui il cervello percepisce le parole.

Infatti, nonostante i volontari fossero perfettamente in grado di comprendere i suoni uditi durante i test, i dati estrapolati dalla corteccia uditiva non sono stati sufficienti a crearne una copia perfetta. Dopo tutto, come hanno dimostrato diversi studi condotti durante il coma farmacologico indotto dall' anestesia, le zone del cervello che percepiscono e codificano il significato delle parole agiscono in modo indipendente tra loro. In una prospettiva futura, studi simili a quelli di Pasley potrebbero riuscire a completare il mosaico e stabilire qual è la soglia di coscienza nelle persone che hanno subito danni cerebrali.

 
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TUNUR 2014

Post n°269 pubblicato il 01 Febbraio 2012 da BROWSERIK
 

Il più ambizioso progetto di energia solare al mondo prenderà vita nel 2014 nel deserto del Sahara tunisino e potrà soddisfare la futura richiesta energetica dopo la dismissione degli impianti nucleari in Germania. La NUR Energy Ltd – azienda specializzata nelle energie rinnovabili e già presente in Italia, Francia e Grecia – ha infatti raggiunto un’intesa con la Top Oilfield Services e grazie al benestare della Desertec Foundation, presto prenderà vita il progetto TuNur che mira a rifornire di energia solare l’intera Europa.

La Tunisia sarà collegata al vecchio continente tramite un HVDC ( High Voltage Direct Current) ovvero mediante un sistema di trasmissione di energia elettrica in corrente continua che fornirà 2,000 Mega Watt di energia elettrica continua, immettendoli direttamente nella rete italiana, a partire dal 2016. Un’ulteriore curiosità: piuttosto che risalire lo stivale, il cavo attraverserà il mar Mediterraneo per approdare sul suolo italiano a nord di Roma e da lì, si diramerà in Europa ma anche nel meridione.

Un progetto imponente che porterà circa ventimila posti di lavoro in Tunisia – dove la potenza delle radiazioni solari è quasi tripla rispetto all’Europa centrale - ma soprattutto innovativo perché ridurrà davvero al minimo persino il consumo di acqua. Ciò sarà possibile grazie ad un processo di riciclo del vapore prodotto in un sistema chiuso di specchi che rifletteranno la luce in un’unità-torre di stoccaggio energetico, capace di soddisfare giorno e notte oltre 700 mila abitazioni europee. Per riuscire a rendere la portata di tale progetto basti pensare saranno ben 825 mila gli eliostati che seguiranno l’orbita del sole tunisino necessari per soddisfare una produzione energetica costante di 2,000 MW ovvero circa il doppio della media degli impianti nucleari.

Ma non si tratterà “solo” di produrre ed esportare energia rinnovabile difatti la Desertec Foundation ha avallato il progetto poiché permetterà di sviluppare un nuovo settore industriale locale e con esso investimenti e nuove progettualità che dovranno correre pari passo con la crescente richiesta energetica mondiale, ovviamente ad impatto zero. Ciò dovrebbe dare vita anche ad un nuovo comparto manufatturiero che permetterebbe di produrre direttamente in loco l’enorme numero di specchi solari necessari senza ricorrere ad imprese straniere. Non resta che aspettare fiduciosi con il naso all’insù.

 

 
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La dominazione robotica

Post n°268 pubblicato il 21 Gennaio 2012 da BROWSERIK
 

Da ragazzini eravamo tutti convinti che dal 2000 in poi il mondo, così come lo conoscevamo, avrebbe subito trasformazioni sostanziali e inimmaginabili. Ci aspettavano cose fantascientifiche, ma andavamo anche incontro a un grosso rischio: finire soggiogati dai robot. Eravamo sicuri che il nostro destino fosse segnato. Prima avremmo sostituito gli operai con gli androidi, mortificando e riducendo sul lastrico intere classi sociali, poi saremmo stati testimoni dell’evoluzione autonoma dei robot: da schiavi a sofisticate intelligenze in grado di prendere il sopravvento su tutto, perfino la cosa pubblica. La previsione era confermata da esimi scienziati, ma soprattutto da un uomo: Alberto Sordi.

kioIo e Caterina fu così realistico nel descrivere questa inversione dei ruoli, così sottile nel raccontarci quanta malvagità potesse nascondersi in quell’insieme di microchip che non c’era dubbio: i robot erano nostri nemici. Per questo ancora oggi mi tengo aggiornata su tutti gli sviluppi della robotica. Mi rassicura il fatto che a 11 anni dalla presentazione di Asimo, il robottino abbia imparato solo ad aprire una bottiglia. Mi preoccupa di più iCub, l’androide che assimila informazioni come un bambino. Ma solo davanti a Jules e Actroid DR2 mi tremano le vene dei polsi. Sono così uguali a noi che potrebbero nascondersi nella folla e passare inosservati. Per fortuna sono tanto belli quanto inutili, mentre i robot destinati a ospedali, carceri e ricerca scientifica ancora somigliano a Numero 5 (quello di Corto Circuito).

E se un giorno tutta questa conoscenza dovesse confluire in un unico androide, cosa ne verrebbe fuori? E perché la maggior parte di loro ha fattezze femminili? Non sarà che la classe operaia non fa più gola a nessuno e l’obiettivo è una nuova genia di donne? Vorranno mica lasciarci in balia di milioni di Caterina con gli occhi a mandorla che da cameriere e badanti diventeranno padrone assolute della casa e quindi del mondo? E quei visi da adolescenti e quelle voci suadenti e cadenzate riusciranno a incantare gli uomini di mezzo pianeta soggiogandoli al loro volere? Il processo è già iniziato e sembra irreversibile! Dicono i bene informati che nel giro di 40 anni avremo un fiorente mercato di prostitute meccaniche.

Sana, indifferente al concetto di sfruttamento del corpo, incapace di affezionarsi al cliente: una donna perfetta. Siccome la realtà supera la fantasia sul mercato c’è già Roxxxy. Espressiva come una bambola gonfiabile è tutta ricoperta di sensori di tatto che la fanno gemere al volume che più piace. Non è in grado di muoversi è vero, ma ha l’opzione della personalità. Roxxxy èsboccata, romantica o dominatrice. Il problema di Rox, oltre ai lineamenti non proprio delicati, è che pesa tanto quanto costa. Conviene comprarla in società con uno o più amici. La dominazione delle Caterina sembra per ora rimandata, ne riparliamo nel 2050.

 

 
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12 atomi per un bit

Post n°267 pubblicato il 14 Gennaio 2012 da BROWSERIK
 

Da un milione di atomi utilizzati nei dispositivi tradizionali agli appena 12 usati nella più piccola memoria magnetica mai realizzata.

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Tanti (pochi) servono per contenere un singolo bit, l’unità fondamentale dell’informazione, mentre ne bastano appena 96 per andare allo stato successivo, il byte (8 bit). A realizzare la nano-memoria sono stati i ricercatori guidati da Andreas Heinrichdell’ IBM Research Almaden di San Jose (California) in collaborazione con il German Center for Free-Electron Laser Science (CFEL), in Germania, che presentano i risultati del loro studio su Science.

Il segreto, come riporta il New Scientist, sta nella natura del materiale impiegato per costruire la memoria: invece di atomi ferromagnetici, come quelli utilizzati nei dispositivi tradizionali, dove ne servono circa un milione per memorizzare un singolo bit, si usano quelli antiferromagnetici.

Nel primo caso il bit corrisponde all’orientamento degli spin (magnetico) degli atomi di un supporto metallico, che sotto l’impulso di un campo magnetico, si allineano tutti nella stessa direzione. Acquisendo a loro volta un campo magnetico netto. Questo però limita la grandezza dei dispositivi di data storage, a causa delle interferenze che si creano nel momento in cui più bit (circa 1 milioni di atomi appunto) vengono impacchettai insieme. La soluzione sarebbe quella di disporre di unità di informazioni non solo più piccole, ma al tempo stesso anche non ingombranti dal punto di vista magnetico, proprio come accade nei materiali scelti dai ricercatori statunitensi .

In questo caso, infatti, i diversi spin degli atomi si allineano in direzioni opposte l’uno rispetto all’altro, e come risultato il materiale esternamente risulta neutro dal punto di vista magnetico, azzerando le interferenze. Per costruire la loro memoria i ricercatori hanno utilizzato un microscopio a effetto tunnel (Stm), con il quale hanno posizionato due file di sei atomi di ferro su un supporto di nitrato rameico. Questi dodici atomi sono sufficienti a contenere uno stato di informazione minima.

Per dimostrarlo, i ricercatori hanno stimolato gli atomi con degli impulsi elettrici attraverso la punta del microscopio. A seconda di come si orientano gli spin (sempre alternati, ma due sono le possibili configurazioni per ogni singolo atomo) la nano-memoria ha due possibili stati magnetici, approssimabili all’ “1” e allo “0” del codice binario. Che possono essere utilizzati quindi per scrivere qualsiasi tipo di informazione. Questa a sua volta potrebbe poi essere letta usando un tipo di impulso più debole di quello usato per scrivere, come spiega Physorg.

Ed è quello che hanno fatto i ricercatori. Prima hanno creato un byte di memoria (accostando 8 sequenze da 12 atomi, per un totale di 96, come mostrato nel video) e quindi lo hanno utilizzato per scrivere una parola in codice ASCII II (THINK, cambiando di volta in volta lo stato magnetico dei bit).

Tutto utilizzando una superficie di data storage di appena 4 per 16 nanometri: “Questo corrisponde a una densità di immagazzinamento che è centinaia di volte più grande di quella di un moderno hard drive” ha spiegato Sebastian Loth del Cfel, uno degli autori. Sebbene, come riporta Technology Review, i risultati siano stati raggiunti lavorando a temperature prossime allo zero assoluto (solo così infatti, e per un tempo limitato gli atomi possono mantenere lo stato magnetico loro assegnato), è possibile immaginare per il futuro un sistema che utilizzi materiali antiferromagnetici anche a temperatura ambiente, con circa 150 atomi invece di 12. Guarda il video:

                                           

 
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L'elettrostimolazione cura la depressione

Post n°266 pubblicato il 06 Gennaio 2012 da BROWSERIK
 

                     Stimolare il cervello per combattere la depressione

                                                  ___________

Usare elettrodi impiantanti per attivare alcuni circuiti neuronali può avere potenti effetti antidepressivi a lungo termine. Ma non si può parlar ancora di una cura 05 gennaio 2012 di Anna Lisa Bonfranceschi Un elettrodo impiantato nel cervello, capace di stimolare i circuiti neuronali e limitare i sintomi della depressione.

Fino a due anni dopo l’inizio della terapia. Sono questi i risultati raggiunti da Helen Mayberg della

 

 

 

Emory  University in Atlanta (Georgia) e del suo team di ricerca pubblicati su Archives of General Psychiatry. I primi a mostrare come la stimolazione elettrica del cervello riesce, a lungo termine, là dove le terapie tradizionali - farmacologiche e cognitive - contro la depressione profonda spesso falliscono. Anche se non si tratta ancora di una cura, precisano gli scienziati. “Uno dei maggiori traguardi raggiunti negli ultimi dieci anni è stato capire che la depressione è una malattia che colpisce i circuiti cerebrali”, ha spiegato a Nature News Thomas Schlaepfer, psichiatria dell’ Uni

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versità di Bonn, in Germania, che ha condotto ricerche simili a quelle svolte dai ricercatori statunitensi. Ma senza ottenere gli stessi risultati a lungo termine.

La differenza tra i due team riguarda i siti di stimolazione del cervello: i ricercatori tedeschi hanno impiantato degli elettrodi a livello del nucleus accumbens, mentre il gruppo di Atlanta li ha inseriti a livello dell’ area subcallosa del giro del cingolo. Entrambi però fanno parte dello stesso circuito cerebrale.

L’idea alla base dello studio dei ricercatori statunitensi era quindi quella di agire su un target diverso da quello del team di Shlaepfer, ma che colpisse comunque lo stesso bersaglio, analizzando gli effetti su un lungo periodo di tempo. Per farlo gli scienziati hanno reclutato 17 pazienti: 10 con disturbi depressivi maggiori, 7 affetti da disturbi bipolari, ai quali sono stati installati degli elettrodi nell’area subcallosa del cingolo (per effettuare una stimolazione profonda del cervello). Per escludere quindi un possibile effetto placebo gli scienziati hanno fatto credere ai partecipanti che solo metà di loro avrebbe ricevuto la stimolazione immediatamente dopo l’intervento, gli altri invece avrebbero dovuto aspettare 4 settimane. In realtà nessuno di loro ha ricevuto la stimolazione e i ricercatori, osservando i risultati, hanno potuto escludere eventuali effetti placebo dovuti all’inserimento degli elettrodi. Nessuno aveva infatti ottenuto miglioramenti.

Quando invece è iniziata la sperimentazione vera e propria, i ricercatori hanno osservato che dopo due anni di stimolazione continua, in undici dei dodici pazienti arrivati alla fine dell'intero ciclo, la terapia aveva eliminato o limitato a sintomi lievi i comportamenti depressivi. Sia nei pazienti con disturbi depressivi maggiori che quelli con disturbi bipolari. Non in tutti i casi comunque gli effetti del trattamento hanno cominciato a manifestarsi immediatamente dopo la stimolazione, a volte sono comparsi solo dopo un anno.

Tuttavia, prima dello sviluppo di una terapia antidepressiva basata sull’utilizzo degli elettrodi bisognerà aspettare ancora del tempo. In primo luogo infatti, precisano i ricercatori, malgrado i risultati positivi ottenuti sul lungo termine dal team di Atlanta, non si può parlare ancora di una cura: i sintomi compaiono di nuovo se la stimolazione è interrotta. E poi, come spiega Schlaepfer bisogna ancora capire dove è meglio colpire: “Stiamo ancora cercando il bersaglio ottimale all’interno del circuito neuronale, così che il recupero possa essere più veloce per i pazienti”.

 
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