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Poveri e soli

Post n°71 pubblicato il 03 Novembre 2010 da ilmondocheiovorrei

Meno male che ha smesso di piovere, qui a Milano. In coda si aspetta, la fila è lunga. C'è lo straniero e c'è l'italiano in questa mensa dei poveri gestita dai frati cappuccini e da una pattuglia di volontari: sono più di 300, molti sono giovani, come due fratelli, di 21 e 24 anni, figli di un caro amico. Studiano medicina, sognano di girare il mondo a curare il prossimo, intanto vengono qui, appena possono, quando possono. Mi presentano Daniele: 52 anni, due figli, "ma lasciamo perdere" mi dice. Una moglie, "ma lasciamo perdere, ci siamo separati" continua. "Ho lavorato nella costruzione di impianti petroliferi. Ho girato il mondo" precisa "ora non ne trovo un altro, non me lo danno. Capo, sei vecchio, mi dicono". Finisce di mangiare, si alza dal tavolo. "Scappo". E dove vai? "Nei dormitori" mi risponde. "Bisogna arrivarci presto. Mica c'è sempre posto, come qui in mensa". La mensa è al piano terra. Guardaroba, docce e bagni sono al meno 1. Un ragazzo si fa la barba. Un anziano si lava i piedi, anzi no: li massaggia, li accarezza, quasi si sentisse in colpa per come li sfrutta. Alla volontaria che gestisce il guardaroba c'è chi chiede una felpa, una sciarpa e magari anche un berretto, che fuori piove. Entra con gli stracci, questa gente che non ha più nulla, ed esce firmata. Veste capi di qualità, ancora in buone condizioni, forse erano troppo vecchi, fuori stagione, fuori moda per le sciure e i sciuri che se ne sono sbarazzati. Non importa. Ben vengano. Sono pratici questi frati: prendono e donano. "Non chiediamo nulla, eccetto un documento di identità. I nostri ospiti hanno tutti un badge" mi spiega il responsabile della mensa, che si è fatto frate nel 1978, dopo la laurea in ingegneria civile. "Dopo un mese" prosegue "un ospite può decidere di rinnovare la tessera. Ci sono persone che rinnovano da quindici anni". E ce ne sono altre che andranno avanti sino alla fine. Come il pasticcere, il signor Luciano, 89 anni: metà vita l'ha trascorsa facendo dolci. Il mattino si veste: camicia, cravatta, giacca. Sale su un bus e va alla mensa. Torna a casa, toglie la giacca, allenta la cravatta, riposa. A metà pomeriggio via con lo stesso viaggio. "Lo sa cosa ho di buono? Rispetto tutti" mi confida. "Mi chiede se sono solo?" Non risponde. Un compagno di tavolo, africano, non vuole la minestra di riso. Gliela regala. Luciano ringrazia e fa su il tovagliolo. E allora buon appetito, ci rivediamo a cena, in coda in attesa del pasto: in un mese, mi dicono, se ne vanno tra i 53 mila e i 63 mila tra pranzi e cene. Uno su cinque, fra gli ospiti, è italiano. E poi stranieri manovali, badanti, infermiere, camerieri, neoarrivati: non ce la fanno, da soli. Abbandonati da tutti, a cominciare da quelli che della lotta alle ingiustizie si sciacquano la bocca: in Parlamento, alle riunioni del partito o al bar, tanto per sentirsi a posto con la coscienza. Che venissero qui, quelli che possono farlo, a dare una mano, anche solo una volta al mese, invece che andare sempre nei talk show televisivi a giocare alla rivoluzione.

 
 
 
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Un blog di: ilmondocheiovorrei
Data di creazione: 06/01/2010
 

 

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