La vita che vorrei

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Babbo Natale c'č

Post n°73 pubblicato il 24 Novembre 2010 da ilmondocheiovorrei

La pubblicità di una banca francese mostra un padre che annuncia al figlio: "Ho una brutta notizia da darti: Babbo Natale non esiste". Come dire, ironicamente, che nessuno regala niente. Purtroppo, o per fortuna i bambini non conoscono l’ironia, frutto del disincanto. Vivono di sogni e di certezze: Babbo Natale è Babbo Natale. E la pubblicità negazionista della banca francese li ha sconvolti, provocando crisi di pianto in tutta la Francia, con conseguenti arrabbiature dei genitori nei confronti della tv cinica e bara.

Hanno ragione i bambini. Babbo Natale esiste. Lui e la Befana sono gli unici baluardi di meritocrazia in questa società che non riesce più a premiare e a punire nessuno. Sei stato bravo? Regali. Cattivo? Carbone. Senza favoritismi, ripescaggi, raccomandazioni. Anziché tolte ai bambini, certezze come quella di Babbo Natale andrebbero restituite ai grandi. Magari la tv ci trattasse da bambini. Invece ci tratta da deficienti. Con una mano nasconde le vere questioni sociali e con l’altra, invece, si prende gioco persino di un mito come quello di Babbo Natale. Babbo Natale, invece, galoppa sempre con le sue renne in un angolo dei nostri cuori. Ma è un vecchietto fragile: per ucciderlo, a volte, basta una battuta banale.

 
 
 

Viva l'Italia

Post n°72 pubblicato il 04 Novembre 2010 da ilmondocheiovorrei

C'è ancora bisogno di gridare "Viva l'Italia"? Me lo chiedo sempre. E come molti mi chiedo se ha ancora un senso tenere insieme questo baraccone indebitato che si trascina da Bolzano a Lampedusa senza avere nient'altro in comune che la lingua e il tifo per una Nazionale di calcio. Me lo chiedo proprio mentre, alla vigilia del 150° compleanno dell'Italia unita, non fanno che uscire pubblicazioni che denigrano i capisaldi della nostra memoria comune: Risorgimento e Resistenza. Si assiste quasi nell'indifferenza a una riscrittura masochistica e vittimistica della nostra storia che trasforma la fondazione e la difesa di una nazione in una catena di soprusi, opera di un popolo di straccioni scaltri e furbi. Qualcuno però dimentica che la storia dell'Italia è anche una storia di tantissimi che nell'Italia hanno creduto e che per l'Italia hanno sacrificato la vita. Come i capi del Comitato di liberazione nazionale in Piemonte, arrestati nel 1944 dai nazifascisti e condannati a morte in uno di quei processi dove la sentenza è già preconfezionata. E' la storia del generale Perotti che si alza davanti ai giudici per assumersi ogni responsabilità. E salvare così la vita dei sottoposti. E' la storia del tenente Geuna che contraddice per la prima volta il suo superiore e si offre come unica vittima sacrificale "siccome io sono scapolo mentre il generale Perotti ha tre figli". Finì con i condannati a morte che si alzarono in piedi e gridarono, prima dell'esecuzione: "Viva l'Italia!" L'Italia esisteva anche prima dell'Italia. E continuerà a esistere anche se, o anche quando, non ci sarà più, finchè esisterà qualcuno capace di sognarla e di dare la vita con l'Italia in bocca.

 
 
 

Poveri e soli

Post n°71 pubblicato il 03 Novembre 2010 da ilmondocheiovorrei

Meno male che ha smesso di piovere, qui a Milano. In coda si aspetta, la fila è lunga. C'è lo straniero e c'è l'italiano in questa mensa dei poveri gestita dai frati cappuccini e da una pattuglia di volontari: sono più di 300, molti sono giovani, come due fratelli, di 21 e 24 anni, figli di un caro amico. Studiano medicina, sognano di girare il mondo a curare il prossimo, intanto vengono qui, appena possono, quando possono. Mi presentano Daniele: 52 anni, due figli, "ma lasciamo perdere" mi dice. Una moglie, "ma lasciamo perdere, ci siamo separati" continua. "Ho lavorato nella costruzione di impianti petroliferi. Ho girato il mondo" precisa "ora non ne trovo un altro, non me lo danno. Capo, sei vecchio, mi dicono". Finisce di mangiare, si alza dal tavolo. "Scappo". E dove vai? "Nei dormitori" mi risponde. "Bisogna arrivarci presto. Mica c'è sempre posto, come qui in mensa". La mensa è al piano terra. Guardaroba, docce e bagni sono al meno 1. Un ragazzo si fa la barba. Un anziano si lava i piedi, anzi no: li massaggia, li accarezza, quasi si sentisse in colpa per come li sfrutta. Alla volontaria che gestisce il guardaroba c'è chi chiede una felpa, una sciarpa e magari anche un berretto, che fuori piove. Entra con gli stracci, questa gente che non ha più nulla, ed esce firmata. Veste capi di qualità, ancora in buone condizioni, forse erano troppo vecchi, fuori stagione, fuori moda per le sciure e i sciuri che se ne sono sbarazzati. Non importa. Ben vengano. Sono pratici questi frati: prendono e donano. "Non chiediamo nulla, eccetto un documento di identità. I nostri ospiti hanno tutti un badge" mi spiega il responsabile della mensa, che si è fatto frate nel 1978, dopo la laurea in ingegneria civile. "Dopo un mese" prosegue "un ospite può decidere di rinnovare la tessera. Ci sono persone che rinnovano da quindici anni". E ce ne sono altre che andranno avanti sino alla fine. Come il pasticcere, il signor Luciano, 89 anni: metà vita l'ha trascorsa facendo dolci. Il mattino si veste: camicia, cravatta, giacca. Sale su un bus e va alla mensa. Torna a casa, toglie la giacca, allenta la cravatta, riposa. A metà pomeriggio via con lo stesso viaggio. "Lo sa cosa ho di buono? Rispetto tutti" mi confida. "Mi chiede se sono solo?" Non risponde. Un compagno di tavolo, africano, non vuole la minestra di riso. Gliela regala. Luciano ringrazia e fa su il tovagliolo. E allora buon appetito, ci rivediamo a cena, in coda in attesa del pasto: in un mese, mi dicono, se ne vanno tra i 53 mila e i 63 mila tra pranzi e cene. Uno su cinque, fra gli ospiti, è italiano. E poi stranieri manovali, badanti, infermiere, camerieri, neoarrivati: non ce la fanno, da soli. Abbandonati da tutti, a cominciare da quelli che della lotta alle ingiustizie si sciacquano la bocca: in Parlamento, alle riunioni del partito o al bar, tanto per sentirsi a posto con la coscienza. Che venissero qui, quelli che possono farlo, a dare una mano, anche solo una volta al mese, invece che andare sempre nei talk show televisivi a giocare alla rivoluzione.

 
 
 

La Cina č ancora lontana

Post n°70 pubblicato il 03 Novembre 2010 da ilmondocheiovorrei

La Cina non è la Corea del Nord, isolata e sorda a ogni parola. Ci abbiamo fatto le Olimpiadi, è il partner commerciale che sappiamo, cresce come sappiamo. Ma ecco: se negli USA condannano a morte una persona, si mobilita tutto il mondo, se in Iran condannano a morte un'altra persona, si mobilita mezzo mondo, se in Cina si ammazzano cinquemila donne l'anno non succede niente. Da quelle parti, ogni anno si annoverano più esecuzioni che in tutte le altre nazioni del mondo messe assieme, senza contare che in Cina le cifre reali sulla pena di morte sono segreto di Stato. Quindi le autorità dicono quello che vogliono. Secondo la maggior parte delle organizzazioni, si dovrebbe parlare di almeno 10 mila esecuzioni all'anno per i reati più vari: si va dalla frode fiscale alla pornografia, dal furto d'auto al disturbo della quiete pubblica. Su tutto ciò da tempo è sceso il silenzio. E chi se ne frega dei numeri veri, o "delle camere mobili di esecuzione" che in Cina pare siano ricavate da furgoni prodotti da una Casa costruttrice italiana. La rivoluzione culturale, purtroppo, non è fallita solo in Cina. E' fallita anche da noi, incapaci di comprendere che il mondo è diventato uno solo.

 
 
 

Meglio spegnere

Post n°69 pubblicato il 08 Ottobre 2010 da ilmondocheiovorrei

Siamo tutti vittime della stessa, infernale, macchina: la macchina del dolore. Che si nutre di casi umani e in cambio macina numeri dell’audience, quelli che fanno la gioia e il fatturato dei pubblicitari. Loro, i burattinai. Gli altri - giornalisti, pubblico, ospiti - i burattini. Colpevoli, naturalmente, ma solo di non avere la forza di strappare il filo. La conduttrice di "Chi l'ha visto?" è una persona perbene e una professionista brava, non ne dubito ma forse, avuto sentore della notiziaccia, avrebbe dovuto mandare la pubblicità e soltanto dopo, lontano dalle luci della diretta, rivolgersi alla madre in pena, invitandola ad allontanarsi dal video e a chiamare i carabinieri. Una questione di rispetto, ma in questa società di ego arroventati chi ha ancora la forza e la voglia di mettersi nei panni del prossimo, guardando le situazioni dal suo punto di vista?

I giornalisti sono colpevoli di abitare il mondo senza provare a cambiarlo ed è una colpa grave, lo riconosco, ma questa colpa non può cancellare quelle degli altri. Gli ospiti dei programmi, per esempio. Fino a qualche anno fa i parenti delle persone scomparse andavano in tv per il tempo minimo necessario a leggere un comunicato o pronunciare un appello. Poi si ritiravano nel loro sgomento. Adesso non trovano di meglio che bivaccare per giorni e giorni in tv: non davanti al video ma dentro. Non accuso qualcuno in particolare: un po' tutti, oggi, sono cresciuti con con questa tv. Che sembra onnipotente, nel vuoto che c’è.

Giornalisti emotivi, tronisti del dolore. Il ritratto di famiglia è quasi completo. Manca l’ultimo tassello, forse il più importante. I telespettatori. Ovvero i tanti guardoni che sputano sentenze dal salotto di casa. Ah, quanta sacrosanta indignazione! Peccato che durante il melodramma il pubblico di "Chi l’ha visto?" sia più che raddoppiato.

Erano talmente occupati a indignarsi che si sono dimenticati di compiere l’unico gesto che potrebbe davvero cambiare questo sistema fondato sul pigro consenso del popolo: spegnere il televisore.

 
 
 
 
 

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Un blog di: ilmondocheiovorrei
Data di creazione: 06/01/2010
 

 

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