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laicità e religione



Per vivere in armonia in una società multiculturale, lo stato deve rimanere laico e fare rispettare tali principi con la massima severità, altrimenti prepariamoci al disordine.
Personalmente trovo sia l'unica soluzione per una pacifica convivenza tra culture diverse,.

Non credo ci sia bisogno di censurare i simboli religiosi per fare questo.

 

Africa



Se credi che il diverso sia da cancellare, tu spera solo di non dover emigrare
 

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IL VELO - LA MINIGONNA E IL CONTROLLO DEI CORPI

Post n°96 pubblicato il 14 Ottobre 2010 da alpaint
 

Non fa

cciamo confusione: la legge anti-burqa non è "delirio eurocentrico"

Il velo, la minigonna
e il "controllo dei corpi"

di Giuseppe Cecere* Mentre il nostro Parlamento  si appresta a discutere di velo islamico (o presunto tale) nelle sue varie declinazioni, sul web esplode il caso NiqaBitch: le due studentesse francesi – una delle quali si dichiara musulmana – che hanno attraversato il centro di Parigi sfoggiando un austero niqab (velo integrale che lascia scoperti soltanto gli occhi) su vertiginose minigonne “integrali”, in un surreale défilé di protesta contro le recentissime leggi anti-burqa.  Un gesto simpaticamente “futurista” per una causa malinconicamente “passatista”.

Ironiche nella mise e anche nel nome prescelto (irriverente fusione dell’arabo niqab e dell’inglese bitch ..qualcosa che potremmo tradurre, nobilitando un po’, come escort a velo), le NiqaBitch  si
prendono invece molto sul serio nella rivendicazione del loro gesto, pubblicata nel sito Rue89: «Abbiamo scelto – si legge – di deviare la rappresentazione classica che si ha del niqab. Mettere un burqa era troppo semplice, così ci siamo poste la domanda: quale sarebbe la reazione delle autorità di fronte a donne che indossano burqa e minigonna?». Una terapia d’urto volta non «ad attaccare o degradare l’immagine degli integralisti islamici» ma piuttosto a «interpellare gli eletti della Repubblica»,  rei di aver approvato una legge «contraria alla Costituzione». 

L’accostamento tra velo integrale e minigonna non è esplicitamente motivato, ma suggerisce chiaramente un parallelismo, una sorta di equazione simbolica, tra i due termini, anche se non è dato coglierne il segno con certezza: simboli entrambi di dominio maschile sul corpo delle donne o entrambe manifestazioni di autodeterminazione femminile, nella piena libertà per ogni donna di gestire il proprio corpo e la “rappresentazione” di esso? In ogni caso, quello che  le NiqaBitch affermano con chiarezza è che non spetta allo Stato occuparsi del corpo – e dell’abbigliamento – delle donn
e: questa legge, dietro la «sacrosanta bandiera femminista» agitata dai suoi promotori, nasconderebbe una «demenziale» volontà della Repubblica di «riprendere il controllo sul corpo dei propri cittadini», oltre all’intento di «stigmatizzare una comunità».

Tesi intrigante, ma fuorviante, come fuorviante è l’equazione impossibile tra due simboli di segno opposto: se nella simultaneità di una rappresentazione surrealista, l’incontro (non)-casuale di un niqab e di una minigonna in una via di Parigi sembra svelare inediti orizzonti di s
enso, una semplice riflessione sui contesti storici e culturali in cui quegli “oggetti” sono venuti al mondo mette a nudo tutta l’artificiosità di una simile equazione.

Il velo integrale è nato in un contesto patriarcale, come espressione di una concezione “proprietaria” del corpo femminile da parte del potere maschile – una concezione che l’Islam non ha certo inventato, perché caratteristica di tutte le società storiche, ma che la giurisprudenza islamica, nelle sue espressioni maggioritarie, non ha contrastato, anzi integrandola e spesso “santificandola” come presunta espressione della Legge divina. La minigonna è invece nata nella tempestosa Inghilterra degli anni Sessanta, nel pieno dei movimenti per la liberazione femminile e la rivoluzione sessuale, come manifestazione della volontà delle donne di dare espressione al proprio corpo, inteso come luogo dell’identità, della libertà, della relazione tra l’io e il mondo.  Questa concezione del corpo è invece radicalmente negata dal velo integrale: che spezza la relazione tra l’io e il mondo, annulla la dimensione pubblic
a dell’identità e dunque comprime inevitabilmente la libertà della persona, anche quando non è il frutto di una coercizione esplicita  ma di una scelta sentita come “libera” dalla diretta interessata.

In questo senso, la legislazione francese anti-burqa non esprime l’aspirazione al “controllo dei corpi” e al “monopolio della violenza fisica” sui cittadini da parte dello Stato moderno, come teorizzano le NiqaBitch citando, inopportunamente, Max Weber,  ma la volontà – e il dovere – della politica e delle istituzioni di promuovere nei cittadini la coscienza della libertà, anche quando tale coscienza sia oscurata dal condizionamento, più o meno consapevole, di tradizioni percepite come sacre e inviolabili.

Quanto poi alla presunta volontà di “stigmatizzare una comunità”, andrebbe precisato di quale comunità si tratti: non certo “la” comunità musulmana, che (intesa al singolare) non esiste, e se esistesse non troverebbe certo la sua unità nel burqa o nel niqab, diffusi solo in limitati settori del vasto e complesso “continente culturale” islamico.

L’Islam non è “uno” ma intimamente e creativamente plurale,  pur nella condivisione di alcuni riferimenti comuni a t
utti i credenti:  in primo luogo, ovviamente, il Corano, che però non contiene alcuna prescrizione in merito al velo integrale.

Dalla fine dell’800, il velo è anzi diventato un simbolo della lotta, interna al campo di forze dell’Islam, tra correnti liberali e correnti fondamentaliste, dalle tesi del musulmano riformista Qasim Amin  (1863-1908) che propugnava il sufur (“rimozione del velo”) come rottura della segregazione femminile e come simbolico superamento dei “veli” che ostacolavano l’incontro tra Islam e  modernità, fino alle recenti condanne del velo integrale, come pratica non-islamica, da parte delle autorità religiose di al-Azhar, massimo centro
di studi dell’Islam sunnita.

Il velo è anche al centro delle lotte delle prime femministe  arabo-musulmane contro  il tabù più profondo e inconsapevole della società: l’alienazione delle donne dal proprio corpo.  Il nesso tra liberazione del corpo e libertà delle donne è già presente, con la forza radicale dei simboli, nella straordinaria esperienza di Doria Shafiq, prima donna egiziana ad ottenere un dottorato alla Sorbona, e insieme prima vincitrice di un concorso di bellezza in Egitto. Più esplicitamente, esso è proclamato di fronte al mondo nel gesto – questo sì  “futurista” – compiuto da Hoda Sha‘rawi nel 1923 alla stazione del Cairo, di ritorno dal congresso femminista mondiale di Roma (ne resta una curiosa immagine in cui le delegate egiziane, rigorosamente velate ma presumibilmente sorridenti, simpatizzano con una femminista italiana in camicia nera, protesa in un entusiastico saluto romano). Scendendo dal treno con le sue compagne, la fondatrice dell’Unione Femminista Egiziana avverte la presenza dei fotografi: con intuizione fulminea, si tog
lie il velo dal viso, subito seguita dalle altre delegate, sollevando un’ondata di contrastanti emozioni in tutto il mondo musulmano.
Almeno nei casi citati non si potrà parlare di quel «delirio di eurocentrismo narcisista»  che Randa Ghazy, intervenendo su laStampa.it  a supporto delle NiqaBitch, individua come causa principe delle tendenze “anti-burqa”  a Nord del Mediterraneo. 

Il problema centrale, però, è un altro: se fosse effettivamente una prescrizione religiosa, o l’espressione di una specificità culturale, il velo integrale andrebbe necessariamente accolto nell’ordinamento di uno Stato laico? Né la libertà religiosa né il riconoscimento di una specificità culturale possono mai giustificare comportamenti in contrasto con le leggi e con i valori costituzionali.  La tendenza, pur presente in diverse correnti del pensiero giuridico,  ad ammettere “eccezioni culturalmente motivate” al rispetto delle leggi (ammettendo ad esempio la poligamia o il delitto d’onore per particolari categorie di individui) mina l’uguaglianza dei cittadino di fronte alla legge e rischia la deriva di un inconsapevole, ma non meno terribile, “razzismo giuridico”. Voler evitare tutto questo è forse una forma di “delirio eurocentrico”?

Non pare ispirato a “delirio eurocentrico”, in verità,  neanche il parere espresso dal Governo italiano davanti alla Commissione affari costituzionali della Camera,  dove sono approdate varie proposte di legge sul velo integrale. Sulla base delle valutazioni del Comitato per l’Islam italiano , commissione di saggi – metà dei quali musulmani – costituita presso il Ministero degli Interni, il Governo invita a “deconfessionalizzare” l’intervento legislativo, suggerendo di vietare esplicitamente il burqa e il niqab, essenzialmente per ragioni di sicurezza pubblica, ma di non fare riferimento all’Islam, poiché «sulla base di una ricostruzione storica e di una argomentazione esegetica – secondo il Comitato –  non si può affermare che tali indumenti abbiano origine coranica».

Un parere di grande equilibrio, che favorirà probabilmente una soluzione legislativa rapida e  condivisa. Ma la questione, per le ragioni che abbiamo appena esposto, non si può ridurre a un tema di sicurezza pubblica. È una questione di libertà, per le donne e per la società nel suo complesso.

È, dunque, una grande questione di cultura politica. Che investe la
nozione stessa di laicità, di società aperta, di convivenza tra diversi.

È in causa, innanzitutto, una  visione innovativa delle politiche migratorie, in cui il divieto del velo integrale  diventi simbolo non di rifiuto ma di integrazione, di progressiva inclusione della persona immigrata nel perimetro della polis, in una dialettica che accolga e valorizzi le diversità ma respinga gli aspetti che risultino incompatibili con il tesssuto delle reciproche libertà che della polis è il fondamento stesso.

Occorre esprimere un “pluralismo esigente”, che respinga la presunzione di fagocitare l’altro ma combatta la tentazione di sciogliere la società in una nebulosa indistinta di “specificità culturali”, ciascuna delle quali aspiri a un suo riconoscimento giuridico fino al rischio di collasso dell’uguaglianza tra i cittadini. 
Perché la laicità non sia uno spazio vuoto, ma uno spazio di libertà condivisa.

*Ricercatore associato presso l’IFAO (Institut Français d’Archéologie Orientale) del Cairo – sezione di studi arabi e islamici

11 ottobre 2010

 
 
 

Il destino

Post n°95 pubblicato il 11 Ottobre 2010 da alpaint
 

Gli esseri umani, sono davvero volubili.

Sono creature instabili. Le regole del karma, il peccato eterno, e tutte quelle cose del pensiero limitato, appartengono ad una comprensione limitata

perchè, grazie alla possibilità di scelta, ogni  momento potete cambiare ciò che pensate e cambiare il vostro destino.

Destino è il momento presente, come è visto ora.

Se vi svegliate al mattino e cambiate completamente l'atteggiamento di ciò che siete, non siete più conigli paurosi e vi svegliate coraggiosi come orsi con una nuova conoscenza innata

Nel  vostro momento presente, il vostro destino, cambierà.

Voi siete molto flessibili. Tutto si basa sulla scelta.

Non è forse più grandioso amare che odiare?

Non è più grandioso perdonare che guerreggiare?

Si tratta solo di scegliere.

 

 

RAM

 
 
 

Rom -conflitto Francia Ue

Post n°94 pubblicato il 19 Settembre 2010 da alpaint
 

 

 

 

Rom: conflitto Francia-Ue

l'unificazione europea è nata per eliminare gli stati e l'immigrazione di massa è il suo strumento"


di Ida Magli
il Giornale | 16.09.2010



  Il “diverbio” fra la Francia e l’Unione Europea, provocato dal rimpatrio di gruppi di rom irregolari effettuato dal governo francese, sta diventando sempre più infuocato. Reazioni stizzite da parte della Francia, un “grande Stato” che non vuol sentirsi redarguire da nessuno, tanto meno dall’UE, e accuse appena velate da parte dell’UE di “disobbedienza” alle maggiori virtù del grande Sovrastato. Oltre al conflitto di autorità, aleggia poi intorno alla questione dell’immigrazione rom, in maniera più o meno esplicita, una vaga accusa di razzismo; meccanismo psicologico che si continua ad adoperare per mettere in penitenza gli Stati europei come se gli anni, le generazioni e i sentimenti non fossero mai passati. A questo meccanismo psicologico sarà bene dare il suo vero nome: è un ricatto che nessuno intende più accettare. I problemi dati dall’immigrazione nell’occidente europeo sono reali e gravissimi e molti cittadini si domandano come mai l’UE sia capace soltanto di protestare e non di dare qualche suggerimento, di aiutare a trovare delle soluzioni.

  Convinciamoci, però, che dall’UE è impossibile aspettarsi soluzioni; anzi dobbiamo augurarci che non ce ne fornisca mai perché sarebbero comunque contro i nostri interessi e a favore degli immigrati. Insomma dobbiamo deciderci a guardare in faccia la realtà: l’immigrazione è voluta, sollecitata, aiutata, spinta dall’UE, non per le virtù di solidarietà, di bontà, di accoglienza di cui si vanta e che sono soltanto argomenti di facciata, per giunta poco credibili da parte di uno Stato. Fino alla nascita dell’UE, infatti, la storia non aveva mai conosciuto Stati “virtuosi”.

  L’’unificazione europea è nata per eliminare gli Stati, le Nazioni. Tutto quello che era possibile fare a tavolino a questo scopo i politici l’hanno già fatto: istituzioni sovranazionali, moneta comune, cittadinanza, eliminazione dei confini e così via. Ma sono i popoli che creano le Nazioni, gli Stati, non il contrario. E’ questa la dura realtà (dura per loro) di cui i politici, i banchieri soprattutto, non hanno  voluto tener conto nel progettare l’unificazione europea. Dato che l’unico sistema, o almeno il sistema più efficace per disintegrare i popoli è l’immigrazione, la presenza massiccia di stranieri, di persone diverse per lingua, per costumi, per religione, l’UE ha programmato l’immigrazione. Adesso, però, è stato raggiunto un punto limite che i governanti dei singoli Stati da una parte, e i governanti dell’UE dall’altra, non sanno come risolvere perché non avevano mai detto chiaramente ai cittadini qual era la meta finale: la fine delle Nazioni, dei singoli Stati. Fra l’altro poi, questa non è neanche la vera meta: l’unificazione europea è una tappa, quella principale ma soltanto tappa, di quella mondializzazione cui aspirano banchieri ed economisti già da molti anni.

 Ci troviamo, quindi, fra due fuochi, così come ci si trovano i partiti di Sinistra. Il “vuoto” di idee, e di uomini, che li contraddistingue e che li tenta a richiamare in aiuto il loro esperto in mondialismo, Romano Prodi, dipende da questo: non osano dire ai loro seguaci di entusiasmarsi per gli stessi ideali dei banchieri, ossia per l’UE e per la mondializzazione, ma cos’altro possono fare? Io avrei una proposta: mettano le carte in tavola e aiutino tutti a discutere a viso aperto di questo che è adesso l’unico vero dilemma che abbiamo di fronte: salvare lo Stato oppure andare avanti verso la mondializzazione.

Ida Magli
Roma 15/9/2010

 
 
 

metà della terra non è considerata..........

Post n°93 pubblicato il 06 Settembre 2010 da alpaint
 

Ancora una volta i media fanno di tutto per poter portare acqua al mulino del riscaldamento globale. Pur sapendo che i cambiamenti climatici non si misurano su singoli episodi, la stampa e la TV continuano a insistere su notizie che vengono allacciate immediatamente a questa situazione. Sulle motivazioni non voglio tornare, avendone già discusso e parlato a lungo. Tuttavia, ciò che risulta evidente è che la nostra Terra ha perso completamente uno dei suoi emisferi, quello meridionale! Sarà solo per un caso o perché esso sta vivendo uno dei suoi inverni più rigidi? Forse fenomeni troppo “freddi” non fanno gioco ai sostenitori indefessi del riscaldamento globale ed è meglio nascondere le notizie che provengono da sud. Questo tipo di comportamento, già da solo, fa già pensare che qualcosa non quadri del tutto. Se si è veramente convinti delle prove che si sbandierano a destra e a sinistra, non si dovrebbe aver paura di citare anche episodi che sembrano andare controcorrente. In qualche modo continuo a sentire puzza di bruciato…

E a proposito di bruciato, ecco insistere continuamente sulle foreste russe che bruciano e collegarle al riscaldamento globale. Oppure sullo scioglimento dell’artico (a questo punto non dovrebbe più avere ghiaccio…), su enormi iceberg che si staccano (ma è sempre successo…), sul livello marino che sale (esistono ancora le città costiere?). Tutto, però, succede solo al nord, dove abbiamo l’estate. E a sud? Tutto normale e senza problemi? Sembrerebbe proprio di sì. Ed invece no, assolutamente no e per saperne qualcosa bisogna andare a spulciare la stampa locale. Eccovi allora alcune informazioni con le relative fonti. A buon intenditor poche parole…

17 giugno 2010: 500 pinguini africani muoiono per il freddo a causa dell’ondata glaciale che ha toccato la Provincia del Capo orientale in Sud Africa

19 luglio 2010: il freddo glaciale distrugge in Sud Africa parecchie centinaia di Sistemi Solari Termici

5 agosto 2010: neve sul Brasile e temperature sotto zero nel River Plate. Moria di pesci tropicali

6 agosto 2010: il Sud America è colpito da un’ondata fredda eccezionale. Nella Bolivia dell’est si è scesi fino a -6°C. Milioni di pesci abituati a nuotare a circa 20°C muoiono congelati. Analoga fine per rettili, uccelli, tartarughe. Come conseguenza le acque sono diventate imbevibili e il governo ha chiuso la pesca per l’intero anno. Le morti di persone e animali in Argentina, Uruguay, Paraguay e Brasile del Sud aumentano. Un metro di neve copre la Patagonia e lungo le Ande si sono interrotte le comunicazioni. Moltissime culture cilene di agrumi e avocado sono state distrutte, riducendo l’esportazione del 40%

9 agosto 2010: gli australiani hanno vissuto la mattinata più fredda degli ultimi 30 anni. Sidney si è svegliata sotto una coltre di gelo.

Nel frattempo la copertura ghiacciata dell’Oceano Antartico è arrivata ad un valore che è 1,3 milioni di chilometri quadrati sopra la media dell’intervallo 1979-2008 e continua a crescere. Questa situazione controbilancia abbondantemente la perdita di ghiaccio dell’emisfero nord e stabilisce in 20 milioni di chilometri quadrati la copertura glaciale totale sul pianeta.

Insomma, non solo i media cercano di nascondere il dissenso che esiste tra i vari scienziati sul riscaldamento globale, ma addirittura cancellano la metà del mondo sotto l’equatore. Complimenti!

 
 
 

Crisi economica 2009 2010 2011 2012 2020... prepariamoci a diventare poveri 2a parte.

Come abbiamo visto nella 1° parte, le 3 teorie dominanti sulla crisi economica 2008 - 2009 - 2010, spiegano tutte che gli eccessi nel nostro sistema capitalistico, hanno rischiato (per alcuni) o rischiano (per altri) di far crollare l'economia mondiale, mentre per altri ancora, esiste un complotto per arrivare ad una dittatura globale.

Quindi in questo momento storico, per i più, il problema maggiore sono gli eccessi introdotti nel sistema, e non le distorsioni del sistema stesso.
Si cerca a tutti i costi, di spostare l'attenzione sugli eccessi prodotti da uomini, società finanziarie, banche, politica ecc..; mi domando, perché non si mette in dubbio il sistema, come è stato fatto quando il comunismo è crollato in Russia?

Ma se ora, anche il capitalismo si rilevasse un fallimento, con cosa si potrebbe sostituire?  Non sarà questo è il vero problema; per cui si preferisce pensare che togliendo gli eccessi il capitalismo funzioni e che le cose ritorneranno a posto.
Anche se esistono molte nuove idee, è utopico pensare che possano essere accettate dalle masse in breve tempo.

Io voglio dimostrare come il vero problema, non sono stati gli eccessi (se non come accelerazione del processo), ma che il problema è insito nel sistema, quindi se la crisi è del sistema, anche ipoteticamente togliendo gli eccessi, il risultato nel medio o lungo termine non cambierebbe; c'è anche da dire che gli eccessi in un sistema umano, dipendono dalla variabile uomo,  quindi nessun sistema può esserne immune.

Vorrei anche sottolineare che, i sistemi economici e di governo non nascono come risultati di calcoli scientifici matematici che cercano di prevedere che il sistema si sviluppi nel tempo in modo di ottenere la migliore efficienza e giustizia possibile.
La maggior parte dei sistemi umani nascono spesso dagli interessi di forze dominanti, da compromessi storici, dalla esigenza di risolvere problemi sociali attuali (senza possibilità o volontà di occuparsi dei problemi futuri); quindi difficilmente questi hanno una coerenza a lungo termine, è molto più facile che riescano ad essere coerenti per breve termine, ed in spazi ridotti.
Per esempio per quanto riguarda le società umane, gli interessi delle generazioni di un determinato momento storico, potrebbero non coincidere con quelli delle generazioni future.

In effetti, a mio avviso, esiste nel sistema capitalistico una mancanza di base il quale dimostra che esso non è un sistema coerente.
Se il capitalismo fa della competizione e dell'egoismo umano, il suo motore ed ammette che l'uomo possa impegnarsi solo per se stesso, come mai non mette un limite al principale eccesso (ricchezza) che egli, per definizione e di fatto, può procurare.

Ora vi illustrerò la mia teoria esprimendola con una formula matematica.
La formula: La capacità del capitalismo di distribuire ricchezza è inversamente proporzionale allo sviluppo tecnologico ed alla diversità dei mercati (diversità della ricchezza dei popoli e dei diritti dei lavoratori).

Faccio una importante premessa, valuterò la situazione più positiva possibile, cioè non considererò le variabili e gli eccessi, che incidono negativamente sul sistema (es. speculazione finanziaria, corruzione, riduzione delle risorse energetiche e delle materie prime , costi da inquinamento ecc..); quindi se il capitalismo non funziona cosi, ovvero depurato da tutte le variabili negative, vuol dire che è un sistema sbagliato.

Se una persona esprime una formula, sta a lui dimostrare che funzioni, quindi procedo:

Ci sono tre attori principali nel libero mercato: i proprietari delle attività produttive, i dipendenti che vi lavorano, i consumatori (tutti).

Il mercato funziona quando un impresa produce una merce che viene acquistata da un consumatore, l'imprenditore paga i suoi dipendenti e ha un suo personale guadagno, quindi dipendente ed imprenditore si trasformano in consumatori.
In una condizione ideale tutte le figure si devono bilanciare, in effetti se l'imprenditore non paga i suoi dipendenti questi non possono essere consumatori e l'impresa, non potendo vendere le merci prodotte, fallisce.
Il capitalismo (libero mercato) mette il consumo, alla base del suo sviluppo.
Uno dei principi base del capitalismo è che se non lavori, non puoi consumare; da questo ne consegue che affinché il sistema produca ricchezza generalizzata, occorre una larga base di lavoratori e di consumatori.
Il fatto che il lavoratore ed il consumatore coincidono e si possono muovere in libertà sono la forza del capitalismo, ed in effetti questo ha prodotto enorme ricchezza ed ha contribuito ad un benessere diffuso (magari a scapito dell'ambiente, ma questa è un'altra storia).

Ora vediamo, in che modo la tecnologia contribuisce nel lungo termine ad indebolire il capitalismo:
  
Gli imprenditori in concorrenza tra di loro, utilizzano la tecnologia per essere più competitivi e la tecnologia aumenta la quantità di produzione a parità di lavoratori; ora le scelte sono 2:

1) Si riducono i dipendenti

Soluzione non proponibile, visto che i dipendenti sono anche i consumatori; se questi non possono più comprare si dovrà ridurre la produzione, con la conseguenza di riduzione dei dipendenti, innescando una spirale negativa.

2) Si aumenta la produzione.

In effetti questa è una strada auspicabile (inquinamento a parte) perché aumentano i beni prodotti, ed anche perché questo comporta che vi deve essere anche un aumento degli stipendi, altrimenti, i consumatori, non possono comprare i maggior prodotti disponibili.

Fin qui abbiamo visto come il capitalismo (perfetto), possa generare ricchezza.

Ora vediamo cosa succede se la tecnologia aumentando la capacità di produzione satura il mercato, a quel punto la capacità di consumare diventa costante (praticamente ai due lavori 8 ore le passi a produrre, e 8 ore a consumare), mentre la produzione aumenta, anche in questo caso le scelte sono:

1) Si riduce la produzione.

Questa soluzione non è proponibile perché in questo modo si riducono i dipendenti - consumatori, innescando una spirale negativa.

2) Si fanno durare le merci di meno (obsolescenza programmata, esempio con la moda) e/o si riducono i costi utilizzando materiali meno buoni (durata minore).

In questo modo, si può guadagnare tempo, ma la fine si arriva comunque a saturare il mercato. (lasciamo perdere il maggiore inquinamento che si produce).
Se poi i prodotti si comprano e non si usano, per cui si fanno lavorare persone non per produrre beni ma rifiuti, si crea inefficienza nel sistema.

3) Si spostano i lavoratori dalla produzione di beni ai servizi o allo svago per creare nuovi consumatori.

Questo però non risolve il problema perché anche questi, producono un bene (anche se non fisico) che deve essere consumato, altrimenti questi lavoratori non possono essere consumatori dei beni prodotti.

4) Si spostano i lavoratori dalla produzione di beni ai servizi gestiti dallo stato (si ricorre alle assunzioni pubbliche).

Questo comporta che a fronte di minor lavoratori che producono, aumentano coloro che forniscono servizi pubblici; fino ad una certa misura questo concorre positivamente alla creazione della ricchezza e del benessere, ma oltre una certa soglia determina una inefficienza del sistema che porta lo stato ad indebitarsi.

5) Si importano nuovi consumatori (attraverso l'immigrazione).

L'inserimento di stranieri più poveri, determina una nuova richiesta di beni, ma anche di posti di lavoro, se si prende anche in considerazione che molti stranieri inviano parte di quello che guadagnano verso le loro nazioni di origine, si può ritenere che questo apporto sia sostanzialmente irrilevante.
Mentre si innesca il fenomeno di lavoro nero a basso costo che tende ad abbassare anche gli stipendi dei lavoratori nazionali, riducendo la capacità dei lavoratori di consumare.

6) Si cercano altri consumatori in altre nazioni (globalizzazione).

Se  nella globalizzazione, ci si rivolge a paesi avanzati con mercati già saturi, si avrà uno scambio di merci, ma la situazione generale non cambia.

Allora si deve accedere a mercati non saturi dove esistono milioni di persone in uno stato di povertà; questi però non possono consumare, perché non hanno reddito; quindi li devi trasformare prima in lavoratori, affinché avendo reddito possano comprare le merci che l'impresa produce.
A questo punto le imprese multinazionali, dei paesi sviluppati, aprono loro sedi produttive nei paesi dove i mercati non sono saturi.

In questo caso però il costo della mano d'opera in quei paesi è molto più basso dei paesi più sviluppati, e quindi le imprese producono, in quei paesi, merci ad un costo più basso di quello che hanno nei paesi sviluppati.

In effetti, almeno inizialmente, le imprese non possono vendere nei paesi poveri i loro prodotti (più evoluti) costruiti nei paesi sviluppati, ma sono costretti a rivendergli i prodotti a basso costo costruiti in loco.
Quindi in questa fase, i problemi di sovrapproduzione nei paesi sviluppati rimangono, mentre nei paesi poveri inizia il processo di sviluppo.

A questo punto cominciamo a vedere come la globalizzazione, influisce negativamente sul capitalismo nei paesi sviluppati.

In un mercato libero, non si può impedire che l'impresa (multinazionale) cerchi il massimo profitto, quindi l'impresa riporta i prodotti che produce (a basso costo) nei paesi poveri e li rivende nei mercati sviluppati a costi (almeno inizialmente) simili a quelli presenti in quel mercato.

Questo costituisce una fonte di arricchimento enorme per le aziende multinazionali, che possono produrre a 10 e rivendere a 100, cosa impossibile se si produce in paesi sviluppati.
Inizia quindi una fase di aumento dell'importazione nei paesi ricchi di prodotti costruiti nei paesi meno sviluppati, mentre  le esportazioni dei paesi ricchi rimangono costanti (perché ancora non si è ancora creata nei paesi poveri una massa di consumatori benestanti, in grado di acquistare merce ad alto costo).

Vediamo ora cosa succede nei paesi più avanzati:

La concorrenza di merci prodotte a basso costo importate dalle multinazionali, colpisce per prime le aziende in loco che costruiscono il tipo di prodotti importati, queste ultime  per difendersi, iniziano anche loro ad importare semilavorati o prodotti finiti, che rivendono come se fossero i propri.

A questo punto (nei paesi sviluppati) si riduce la forza lavoro nel settore della produzione (un problema ora dovuto alla globalizzazione, ma che si somma a quello creato già dalla tecnologia), a questo punto per evitare la riduzione dei lavoratori consumatori si possono mettere in campo 2 soluzioni:

1) Sfruttare il vantaggio tecnologico dei paesi più evoluti, per creare merci più competitive ed evolute.

Questo comporta che i paesi più avanti con ricerca, alta tecnologia ed alta qualità dei materiali, tendono a migrare le produzioni su prodotti più evoluti e rallentano il processo di deindustrializzazione, che comunque prosegue perché se anche la ricerca, lo sviluppo e la produzione vengono fatte nei propri paesi, gran parte della produzione di semi lavorati viene fatta nei paesi a basso costo di mano d'opera.

2) Spostare le persone che lavorano nella produzione nei servizi e nella pubblica amministrazione.

Questa soluzione è stata attuata da molte nazioni prima della globalizzazione, per risolvere il problema degli esuberi dovuti alla tecnologia; e come abbiamo visto, oltre un certo limite, produce inefficienza di sistema che costringe gli stati ad indebitarsi.

Come abbiamo visto la tecnologia (macchine che prendono il posto dell'uomo) riduce in assoluto il numero di lavoratori, e la globalizzazione (lavoro e produzione a basso costo), riduce la produzione ed il numero dei lavoratori nei paesi sviluppati.

La riduzione della forza lavoro in sistema capitalistico significa riduzione dei consumatori, questo significa che fasce di popolazione senza lavoro, rischiano di non avere più accesso ai beni di consumo.

Conclusioni:

Da quello finora esposto si capisce che la globalizzazione, comporta uno spostamento di prodotti di consumo dai paesi poveri a quelli ricchi ed uno spostamento della ricchezza monetaria inverso.
Calcolando l'obsolescenza veloce delle merci di consumo, questo processo si ripete di continuo, fino a comportare che nei paesi sviluppati (a parità di consumi), le ricchezze in eccesso (risparmio accumulato negli anni dello sviluppo economico) tendono ad esaurirsi, e di conseguenza si assisterà ad un aumento del ricorso al debito pubblico e/o privato. Non dimentichiamoci che anche il debito pubblico è comunque un debito privato dei singoli cittadini.

Questo trasferimento di ricchezze, continua finché i sistemi non tendono ad equilibrarsi; il che significa che i paesi ricchi cederanno prima ricchezza in cambio di beni di consumo e poi dovranno competere con quelle economie, che hanno condizioni di lavoro e salari molto più bassi.

Se nelle economie dei paesi in via di sviluppo, le conquiste sociali saranno simili a quelle dei paesi sviluppati, la migliore condizione che si potrà avere, è che nei paesi sviluppati i lavoratori vedranno ridotta alla meta la loro capacità di acquisto ed i loro diritti, che saranno invece in aumento nei paesi in via di sviluppo.

Questo significa che a livello mondiale le economie occidentali devono prepararsi a diventare molto più povere di quanto sono adesso.

Dopo questo livellamento di ricchezza (di durata media 25 -30 anni), il sistema globale dovrebbe nel suo insieme ricominciare a crescere cosi come è stato inizialmente per i paesi sviluppati, alla sua massima espansione si avrà una alta produzione di beni diffusa a livello mondiale; questo potrebbe essere un aspetto positivo, se non fosse che noi viviamo in un mondo in cui le risorse sono finite, e dove purtroppo l'uso della tecnologia comporta inquinamento.

Riepilogo:

L'analisi sopra esposta, evidenzia che il capitalismo (anche se depurato da tutti gli eccessi) ha un limite ed una potenzialità negativa.

- Il limite è nella capacità di distribuire equamente la ricchezza, visto che a come spinta principale il profitto personale e non vi pone alcun limite.

- La potenzialità negativa e che l'eccesso di produzione di beni, non rispetta la capacità limitata del pianeta di rigenerarsi dall'inquinamento che questo eccesso produce; un problema difficilmente risolvibile dal capitalismo visto che il suo fine è il profitto personale e non il bene comune.

Ho cercato di fare l'analisi del capitalismo depurato da qualsiasi distorsione, e se ne dovessi dare un giudizio direi che è un sistema sbagliato, perché se in una prima fase, anche se in modo discutibile crea ricchezza, a lungo termine è un sistema autodistruttivo , perché non ha in se le basi per auto correggersi.
E come se, per far correre di più un treno lo si alleggerisse non installando i sistemi di controllo, di sicurezza ed i freni, sperando che non si abbia mai bisogno di frenare.


Vediamo come lo sviluppo del capitalismo si è attuato in Italia e come la situazione si potrebbe evolvere in base alla teoria sopra espressa ( sviluppo simile ad altri paesi occidentali):

Consideriamo la fine della 2° guerra mondiale come un punto di inizio della storia moderna del nostro paese.

(vedi anche grafici allegati)

1950: inizio sviluppo economico
1970: l'industrializzazione fa perdere lavori nella produzione
1970: Si spostano i lavoratori nella pubblica amministrazione ed in imprese ed enti statali
1973: Inizia l'inefficienza del sistema, ed inizia l'aumento del debito pubblico
1990: Inizia la globalizzazione
1997: Inizia il controllo della spesa pubblica (per poter entrare in Europa)
1998: inizia ad aumentare il debito privato
2000: Aumenta la globalizzazione
2001: Il debito pubblico è legato al PIL dai parametri Europei
2001: Cresce il debito privato
2002: Riduzione del potere di acquisto
2003: Inizia la bolla immobiliare
2007: Inizia la crisi della borsa
2008: Inizia la crisi economica, primi lavoratori in cassa integrazione o licenziati
2008: Aumenta il debito pubblico e privato
2008-2009: Calo della produzione industriale
2009: Aumentano i lavoratori in cassa integrazione o licenziati
2009: Aumento del debito pubblico e riduzione del PIL e delle entrate fiscali
2010: Probabile crollo economia USA o inizio guerre, falsi attentati, ecc.. per tentare di evitarlo
2010: Aumento della disoccupazione e scoppio della bolla immobiliare in Italia
2010: Continua l'aumento del debito pubblico e la riduzione del PIL e delle entrate fiscali
2011: Riduzione di stipendi e pensioni
2012: Disoccupazione diffusa, riduzione dello stato sociale
2013: Rivolte sociali diffuse, aumento immigrazione
2014: Povertà diffusa, immigrazione di massa dai paesi africani
2015: Ristrutturazione sociale
2016: Stabilizzazione sociale
2017: Lenta ripresa industriale
2018: Inizio ripresa economica
2019: Livellamento dell'economia mondiale
2020: Mondo altamente competitivo governato da una oligarchia finanziaria
2021-2030: Distribuzione della ricchezza iniqua con pochi ricchi e molti poveri

Questo dovrebbe essere il trend, l'unica cosa che può cambiare è che le politiche monetarie,  possono anticipare o posticipare gli eventi.
Si potrebbe anche evitare questo declino, se il capitalismo fosse contestato dai popoli mondiali e coloro che hanno accumulato enormi ricchezze, fossero costretti a ridistribuirle.
Ma quest'ultima cosa i governi e le oligarchie la faranno solo se costretti da popoli coesi ed uniti, cosa a mio avviso difficilmente realizzabile.

Dobbiamo stare anche attenti, perché ultimamente vengono fatte sempre più leggi che limitano la libertà individuale; non è da escludere che in caso di gravissima crisi economica, chi gestisce il potere possa operare scelte o agire con operazioni illegali in difesa dei propri interessi.
Si potranno avere guerre, falsi attentati terroristici, eliminazioni fisiche di massa utilizzando pandemie, ecc...  qualcuno potrebbe già sapere che il Titanic (economia) affonda e senza dire nulla è già pronto sulle scialuppe (che non bastano per tutti).
Per chi gestisce il potere è più facile mantenerlo, se si agisce in uno stato di emergenza ( terroristica o sanitaria ecc..) che permetterebbe loro di agire attraverso leggi speciali in deroga alle leggi ordinarie.

Vedi: Rapporto NATO operazioni urbane anno 2020

Alcune azioni che a mio avviso, dovrebbero essere intraprese nei paesi sviluppati:

1) Limitare l'importazione di merci (max 20%) dai paesi a basso costo di mano d'opera, per rallentare il deflusso della ricchezza e rilanciare la produzione interna.
2) Non licenziare i lavoratori produttivi, ma quelli improduttivi (statali e parastatali in esubero), in modo di abbassare le tasse alle imprese ed ai lavoratori.
3) Informare i cittadini di quello che sta succedendo ed invitarli a contrastare la crisi.
4) Abolire la parte di debito pubblico derivante dall'interesse sull'emissione del denaro.
5) Smettere di disinformare ed inebetire le persone (abbiamo bisogno di persone capaci di produrre e consumare beni con intelligenza).
6) Ridistribuire la ricchezza.
7) Ridurre gli sprechi ed investire nelle tecnologie ecologiche.
8) Evitare opere faraoniche che non servono a niente (ponte di Messina e centrali nucleari).
9) Emettere una moneta non gravata da interesse.
10) Avviare la costruzioni di villaggi, comuni e piccole città autosufficienti.

In poche parole EFFICIENZA al massimo.

Visto che non possiamo impedire che le ricchezze a nostra disposizione si riducano, possiamo pero utilizzarle per costruire sistemi efficienti che ci costino meno e compensino la riduzione della nostra capacità di acquisto.

Non vi voglio deprimere e vi lascio con un progetto-sogno.

Siamo una nazione senza fonti energetiche fossili, uranio e senza materie prime e questo ci rende poco competitivi per la produttività di molti prodotti a livello globale; ma abbiamo il sole, un clima stupendo, il mare, la campagna fertile, l'acqua e la storia.
Noi siamo un paese da sogno, che può vincere facilmente la sfida dell'autosufficienza, ora che le attività produttive (inquinanti) si sposteranno in altri paesi, non dobbiamo aver paura, ma sfruttare questa occasione per fare in modo che Italia possa diventare un enorme museo della storia ed una grande fiera della scienza ecologica.
Dobbiamo specializzarci, in quelle attività del quale abbiamo le materie prime e scambiare i nostri prodotti e servizi, con i paesi che hanno prodotti di altre materie prime (un modo di vivere più efficiente, sano ed ecologico).

Consiglio anche questa lettura:  Costruiamo insieme una alternativa al capitalismo malato

Saluti
Roberto Franzè

Ecolcity.it

 
 
 
 
 

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