Creato da antimatter il 12/03/2007

Guardiano Cieco

siamo animali strani con abiti normali

 

 

ALICE IN CHAINS

Post n°11 pubblicato il 27 Marzo 2007 da antimatter
 

I RE DEL GRUNGE

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Gli Alice In Chains sono stati, nel ben e nel male, uno dei gruppi più influenti degli anni 90. Hanno creato un sound particolarissimo fatto di chitarre metalliche e melodie vocali alienanti, destinato a essere ripreso da una folta schiera di gruppi e gruppetti degli anni seguenti; ai quali, tutti, mancheranno però alcune doti fondamentali: la sincerità nel mettere in musica malesseri reali e profondi, un gusto compositivo sopraffino come quello di Jerry Cantrell e, soprattutto, una voce unica e indimenticabile come quella di Layne Staley. C'è chi sostiene che gli Alice In Chains siano stati un gruppo abile a cavalcare l'onda della moda grunge, ma chi li ha seguiti e conosciuti sa che non c'è molto di vero in questo, e che il talento della band è stato davvero autentico ed enorme.
Il gruppo si forma a
Seattle nel 1987, dalla fusione di due band street-glam metal: gli Alice 'N Chains (sic!) e i Diamond Lie, i primi guidati dal cantante Layne Staley, i secondi dal chitarrista Jerry Cantrell. Quando Staley si unisce al combo di Cantrell, insieme al bassista Mike Starr e al batterista Sean Kinney, la nuova band inizia a sterzare lentamente, evolvendo il proprio suono dal tipico rock di quegli anni verso qualcosa di differente, restando comunque ai margini della "nuova onda" di gruppi che stanno rendendo la scena di Seattle quel marasma di creatività che la porterà all'esplosione su scala mondiale di lì a qualche anno.
Se in quel periodo i
Nirvana si muovono su coordinate vicine al punk più metallico, se i Soundgarden viaggiano tra i Black Sabbath e i Led Zeppelin, se i Mudhoney provengono direttamente dall'hardcore, gli Alice In Chains iniziano a creare una forma più legata a certi canoni del metal mainstream, esasperandone i lati più claustrofobici, spesso rallentando il beat, e inasprendola con toni cupissimi, che si rifanno a una certa tradizione dark. Il gruppo modella via via il proprio suono attorno alle doti vocali di mr. Staley, ugola dal timbro più unico che raro e in grado di stupire pur senza avere una estensione fuori dal comune né una tecnica particolarmente curata.

Dopo la registrazione (con tale Rick Parashar) di una lunga serie di demotape dei brani che ne costituiranno l'ossatura, l'esordio discografico avviene nel 1990 con l'album Facelift (già su major, Columbia, a dimostrare l'attenzione con cui l'industria discografica teneva d'occhio la scena del nuovo rock indipendente di Seattle, che sarebbe esplosa l'anno dopo con "
Nevermind"). E' un disco non del tutto maturo, che alterna momenti esaltanti ad altri, per lo più nella seconda metà, decisamente superflui quando non al limite dell'imbarazzante; tra questi ultimi, "Put You Down" o la funkeggiante "I Know Something About You", episodi ancora legati a certi cliché del decennio appena conclusosi e fortunatamente destinati a non avere seguito nel futuro. Ma la lista dei brani memorabili è già notevole, a partire dal portentoso uno-due che apre l'album: la potentissima, breve e incisiva "We Die Young" (dal titolo tristemente premonitore) e la sincopata ed epica "Man In The Box". Rock monolitico e schiacciasassi, senza mezzi termini. Le linee guida del sound Alice In Chains sono solo abbozzate, ma già evidenti: la chitarra di Cantrell corposa, rovente e sempre in primo piano, e la voce di Staley (in questo primo disco nel pieno della sua veemenza giovanile, ancora non perfettamente focalizzata in termini di espressività, ma capace di vocalizzi potentissimi) a tracciare allucinate melodie o a urlare esplosioni di rabbia. "I'm a man in the box/ buried in my pit/ won't you come and save me?", è la disperata richiesta d'aiuto di Layne, che dietro alla maschera di maudit cela la sua natura di ragazzo (troppo) sensibile e incapace di adattarsi al mondo - prova ne sia anche il suo atteggiamento una volta sceso dal palco, quando, in aperto contrasto con la cupezza della sua musica, si trasformava in un vero e proprio goliarda (ma un po' tutti e quattro gli elementi del gruppo sono sempre stati animati da una forte vena ironica fuori dalle scene), clown triste di fine secolo. E' in questo periodo, quando il successo investe il gruppo e la pressione sui quattro ragazzi (tutti poco più che ventenni) si fa imponente, che entrano in gioco le droghe pesanti, che lasceranno un segno indelebile sul più emotivamente vulnerabile dei quattro, Staley appunto.
Torniamo alla musica, per citare almeno un altro episodio fondamentale in Facelift : la lunga, onirica, pesantissima "Love, Hate, Love", nella quale, su un tempo davvero prossimo alla stasi, un sinistro arpeggio e un cantato funereo raccontano parole di sconsolazione, solitudine e ira, per esplodere nel finale in un urlo che anziché essere liberatorio implode su sé stesso, lasciando un senso di angoscia mortale. La potenza della voce di Staley è qui impressionante, e l'armonia giocata sui semitoni rende appieno il senso di disperazione; la poetica degli Alice In Chains viene messa a fuoco lucidamente, e si basa in parti uguali sulla funerea cupezza di uno
Ian Curtis e sulla rabbiosa potenza dei Black Sabbath; si fondono metal, dark, rock, e una vena malata di pop.
Nonostante i difetti, Facelift ottiene un buon successo e il nome Alice In Chains comincia a essere conosciuto. C'è di che sfruttare l'occasione, e il gruppo sforna nel 1992 un Ep per battere il ferro finchè è caldo; ma anziché dare vita a un lavoro prevedibilmente basato sulla falsariga di quanto appena prodotto, Cantrell e soci optano per una virata a 180 gradi, pubblicando quattro brani acustici, folkeggianti, scarni: Sap coniuga un certo gusto per il grottesco con l'amore per le melodie, e senza potersi definire un capolavoro risulta comunque un dischetto molto godibile, nonostante la sua apparente povertà. L'Ep si apre con "Brother", nenia psichedelica in cui le due voci di Staley e Cantrell (che inizia a sostenere sempre più spesso il vocalist nelle parti cantate, rendendo le armonie vocali un vero e proprio marchio di fabbrica del sound Alice In Chains negli anni a venire) disegnano arabesque orientaleggianti; continua con "Got Me Wrong", sorta di lento funk acustico con ritornello urlato; passa per il divertissement "Right Turn", accreditata a degli improbabili "Alice Mudgarden" dietro ai quali si nascondono i divertiti cammeo vocali di Chris Cornell (
Soundgarden) e Mark Arm (Mudhoney) (è impressionante la somiglianza delle voci dei tre cantanti nelle timbriche medio basse!); si chiude con la spettrale "Am I Inside", canto funebre per voce maschile, voce femminile (Ann Wilson, degli Heart) e chitarra arpeggiata.

Intanto il tempo passa, i
Nirvana diventano i Nirvana, Seattle è il nuovo fulcro della musica mondiale. E' tempo di raccogliere davvero i frutti di quanto seminato, e gli Alice danno alla luce il loro capolavoro, invero di una cupezza e angoscia tali che solo l'hype di quegli anni ha potuto renderlo un successo da milioni di copie vendute. Si fa appena in tempo a premere play che, senza dare lo spazio di un respiro, un muro di chitarre e un urlo angosciato si abbattono sui timpani; Dirt (1992) si apre così, afferrando l'ascoltatore per la gola e scaraventandolo in un abisso di decadente, morbosa metallicità, di inaudita violenza psicologica e sonora, si apre con un inno sofferente e sconvolto che si chiama "Them Bones", 2 minuti e 30 secondi di lucida disperazione. Chitarre enormi e roventi come raramente si sono sentite e si sentiranno (complice la perfetta produzione di Toby Wright, perfettamente equilibrata tra pulizia sonora e potenza), tempo dispari in 7/8, e soprattutto una voce che è sempre più l'urlo di una generazione disperata, il canto di un uomo abbandonato in balia dei suoi fantasmi divenuti realtà: "I believe them bones are me" attacca Staley con il suo canto nasale e luciferino, di nuovo (come in molte altre canzoni del disco) combinato con quello, molto più tradizionale, di Cantrell, a dare vita a intrecci vocali che potebbero essere stati concepiti da dei Beatles depressi ed eroinomani.
Dirt non dà tregua. Appena chiusa, in modo improvviso, quasi a ripiegarsi su sè stessa, la prima traccia, esplode subito il rock quadrato e violento di "Dam That River", brano perfetto per la dimensione live ma che anche sul disco ottiene un effetto devastante grazie alla superba interpretazione vocale. E subito dopo è la volta di "Rain When I Die", trip psycho-stoner di oltre 6 minuti in tempo di 6/4, ancora una volta con uno Staley al vertice della sua espressività e potenza vocale. La quarta traccia, "Sickman", toglie definitivamente ogni dubbio; a una strofa percussiva, veloce, violenta, con un canto sguaiato e urlato, contrappone un ritornello al limite della morbosità concepibile, figliastro illegittimo di quella "Love, Hate, Love" di cui sopra: rallentato all'inverosimile, basato su un arpeggio dissonante e distorto e cullato da una voce che intona una nenia buia ("I can see the end is getting near/... ah, what's the difference, I'll die in this sick world of mine"). Non c'è speranza di redenzione, quello che seguirà è solo lo sviluppo di quanto già contenuto in nuce in queste tracce iniziali.
"Rooster", brano dedicato da Cantrell al padre e alla sua esperienza in Vietnam, è un'insperata e improvvisa oasi di pace, almeno per i primi minuti. Il dolce arpeggio chitarristico quasi non fa accorgere dell'efferatezza del testo ("ain't found a way to kill me yet... seems every path leeds me to nowhere"), fino all'esplosione sonora del ritornello dove il canto di Staley impressiona nuovamente per potenza e passionalità. Di qui in poi è una vera e propria discesa nel baratro: i cinque brani successivi tracciano l'ideale percorso verso il punto di non ritorno che una mente e un corpo possono percorrere se sconvolti dalla droga, demone di Staley che in essa trova rifugio dal mondo e contemporaneamente nuovo e sempre più irreversibile dolore. "Junkhead" ("testa di tossico") descrive la fase iniziale della caduta, si giostra su un riff sbilenco e pesante, inframmezzato da un ritornello tra i più melodici e potenti del disco, e Layne intona la propria ode all'abuso di velvettiana memoria ("if you let yourself go and opened your mind I bet you'd be using like me, and it ain't so bad"). Segue "Dirt", la title track, che si basa su un lentissimo riff dal gusto arabeggiante: l'euforia è stata un attimo di respiro, è già scomparsa, subentra l'angoscia ("I want you to kill me and dig me under, I wanna live no more"). "Godsmack", interlocutoria dal punto di vista della sequenza concettuale, è invece molto interessante musicalmente, più veloce e "rock" rispetto ai brani che la circondano, e resa unica da un'interpretazione vocale da brivido che rende alla perfezione le sensazioni del tossico in crisi, con tanto di tremore vocale e delirio conseguente. Preceduto da un breve intermezzo strumentale, demonizzato dalla mefistofelica risata di un Tom Araya in prestito dagli Slayer, arriva poi "Hate To Feel", un blues distorto e feroce, sgocciolante acidità, con un bellissimo assolo hendrixiano di un Cantrell ormai definitivamente maturato sulla sua chitarra. Infine "Angry Chair", capolavoro della paranoia in musica, una strofa che fa dell'apatia la sua arma per sconvolgere quel che resta della lucidità mentale dell'ascoltatore, abbattendolo con la sua melodia monocorde, un cantato ipnotico arricchito con delay ed effetti a renderlo ancora più impressionante, e un ritornello falsamente consolante che in realtà canta la resa finale all'ineluttabile rovina.

Resta lo spazio per un'altra oasi di melodia, per certi versi il vertice assoluto del disco, un canto di morte e abbandono che, pur non essendo direttamente legato al "concept" appena chiuso, ne è l'ideale ultimo atto. E' "Down In A Hole", ballata apocalittica dove l'intreccio tra le due voci di Cantrell e Staley raggiunge l'apice del pathos: "Bury me softly in this womb" è la preghiera iniziale, "I've eaten the sun and my tongue has been burnt of the taste" è l'ammissione di colpa di un uomo desolato davanti al proprio destino. Cinque minuti di melodie dolcissime e muri di chitarre: un capolavoro. Il disco potrebbe chiudersi qui, ma in coda gli Alice hanno voluto mettere un brano di composizione anteriore a quella di tutti gli altri, già noto al pubblico perché usato nella colonna sonora del film "Singles" di Crowe uscito l'anno precedente, e dal sicuro impatto melodico; "Would?" è la chiosa al disfacimento precendente, la definitiva dichiarazione di resa anche laddove ci fosse volontà di riscatto, perché la solitudine impedisce la guarigione ("If I would, could you?").

Dirt vende milioni di copie e gli Alice In Chains diventano delle superstar; la partecipazione al Lollapalooza del 1994 li premia anche nella dimensione live, dove a scapito della precisione e della cura del suono che si respira sui lavori di studio hanno la meglio la potenza e l'irruenza del quartetto. Scrivono due brani per la colonna sonora del film "Last Action Hero", e sono due canzoni strepitose: "What The Hell Have I?" è una "Dirt" (la canzone) accelerata che sfocia in un ritornello dai toni epici, "A Little Bitter" anticipa decisamente quelle che di lì a qualche anno saranno le sonorità tipiche del cosiddetto "nu-metal". Cambiano anche bassista, sostituendo Mike Starr con Mike Inez, già nella band di Ozzy Osbourne.
Le sorprese non sono finite, e il successore di Dirt è, nel 1994, un altro Ep semiacustico; stavolta, però, agli antipodi della sobrietà di Sap . Il sound è zeppo di arrangiamenti quasi barocchi, sovraincisioni vocali e di chitarre, archi e percussioni. Si intitola Jar Of Flies ed è, forse, il miglior disco del quartetto, anche se lontano anni luce dalla dimensione più congeniale al gruppo, quella del muro di chitarre distorte. Sette tracce molte delle quali di ineguagliata brillantezza, dal blues malato dell'opener "Rotten Apple", bellissima nel suo indolente incedere onirico, all'intimismo acustico del capolavoro "Nutshell" (quattro minuti di pura poesia musicale, un giro in tre battute composto unicamente di due accordi - mi minore e do, un assolo memorabile nel finale, e un testo da brividi: "My gift of self is praved/ My privacy is raped/ And yet I find repeating in my head/ if I can't be my own I'd feel better dead"), dall'epica e fiabesca "I Stay Away", vagamente reminiscente di certe sonorità prog, al perfetto pop decadente di "No Excuses", dalla malinconia country sfociante nel gospel di "Don't Follow" alla divertita "Swing On This" (unico episodio forse inutile del lavoro), con in più un ricamo strumentale ("Whale & Wasp") in cui le chitarre di Cantrell sembrano dipingere un tramonto. Il marchio di fabbrica è sempre di più la tecnica di "sedimentazione" di più incisioni vocali, a volte divise tra Staley e Cantrell ("No Excuses"), sempre più spesso opera del solo Layne, che sovraincide su intervalli sovente inusuali tre-quattro tracce di canto, rendendo inconfondibile il sound d'insieme. In questo modo è molto più difficile far valere le proprie doti intepretative (che comunque sono evidenti nei brani meno elaborati in tal senso, come "Nutshell" o il finale di "Don't Follow"), ma l'effetto di alienazione e stordimento è estremizzato alle massime conseguenze, e su brani costruiti su armonie e arrangiamenti abbastanza convenzionali il risultato è quantomeno inusuale. Le voci sovraincise di Staley sono le voci di tre, cento, mille uomini tutti uguali e arresisi alle proprie paure, un gospel di fine millennio; è un disperato canto di schiavi moderni.

A questo punto, i problemi con la tossicodipendenza del vocalist divengono davvero gravi, e il gruppo subisce una prima, pesante battuta d'arresto. Voci insistenti li danno per spacciati, sebbene sia proprio lo stesso Staley a rifarsi vivo per primo col side project Mad Season (a cui partecipano Mike McCready dei
Pearl Jam, Barret Martin e Mark Lanegan degli Screaming Trees, e il bassista J.B.Saunders, unico musicista non di Seattle), col quale tiene alcuni concerti e pubblica un intenso e bellissimo unico album di blues acido e psichedelico, "Above".

Ma proprio quando l'ipotesi di scioglimento sembra prendere decisamente piede, nel 1995 esce a sorpresa il terzo lavoro di lunga durata del gruppo, intitolato semplicemente Alice In Chains , ma noto anche come "Tripod" per la foto di copertina che riporta un cane a tre zampe. E' un disco claustrofobico, sperimentale (nella scrittura più che nei suoni, vicini invece al classico muro chitarristico del gruppo ma in generale con minor impatto rispetto a Dirt, soprattutto nel missaggio dei suoni di batteria), se possibile ancora più cupo del predecessore. Viene abbandonato qualsiasi rimasuglio di riferimenti al blues, e si avvicinano invece influenze "post", anche se è sempre l'hard-rock a farla da padrone. Se musicalmente l'album è leggermente inferiore alle attese, pur non mancando alcuni brani di ottimo livello (l'opener "Grind", ancora una volta giocata sui toni epici cari al gruppo; la ballata elettrica "Shame In You", forte di un emozionante giro melodico e di piacevoli invenzioni chitarristiche di Cantrell; "Sludge Factory", granitica e subito classica; la lunga "Frogs", con una interminabile, caracollante coda psichedelica, il singolo "Again" e la sbilenca "God Am"), e se a livello vocale l'interpretazione di Staley non può più dirsi all'altezza del passato (l'affaticamento è evidente, ed è solo parzialmente mascherato dal solito mare di sovraincisioni vocali - invero ancora molto suggestive, stranianti e particolari, ma sempre più un palliativo per sopperire alle difficoltà di reggere melodie impegnative), sono i testi questa volta a brillare di luce propria: la maturazione compositiva di Staley è completa e lo rende capace di versi in cui, senza abbandonare rime e metrica, concetti e vocaboli raggiungono profondità notevolissime, tra sconsolate imprecazioni ("Dear god, how have you been, then? I'm not fine, fuck pretending/ all of this death you're sending/ best throw some free heart mending/ Invite you in my heart, then/ when done, my sins forgiven?/ This god of mine relaxes/ world dies I still pay taxes" - "God Am") e riflessioni amare sulla propria solitudine ("What does friend mean to you?/ a word so wrongfully abused/ are you like me, confused? All included but you alone" - "Frogs"). Cerca poi di farsi largo anche Jerry Cantrell, che canta interamente un pezzo (l'inutile "Heaven Beside You") e regge le parti vocali principali di altri due ("Grind" e la conclusive "Over Now"); la differenza di carisma è però impietosa con il chitarrista, e prova ne saranno i suoi due lavori solisti usciti qualche anno dopo, che nonostante alcune buoni intuizioni musicali - seppur debitrici di un sound d'insieme ormai piuttosto datato - mostreranno la corda proprio sulle interpretazioni vocali, rendendo i due album pressoché inutili.

La storia musicale degli Alice In Chains si conclude qui. Resta lo spazio per qualche ultima, sempre più rara esibizione live (da ricordare quella di spalla ai riuniti Kiss nel 1996, con uno Staley fantasma di sé stesso avviluppato da un pesante completo nero e con guanti da motociclista, aggrappato all'asta del microfono, eppure vocalmente all'altezza delle attese), la registrazione di uno spettacolo acustico per Mtv, che verrà anche pubblicato come album ( Unplugged ; amato da molti, e in effetti di alto livello comunicativo, aggiunge comunque poco a quanto già detto dalla band, se non il fatto di registrare una delle ultime esibizioni di Layne Staley, che, seppur debole ed evidentemente non più completamente padrone di sé, riesce ancora a emozionare), qualche raccolta con un paio di inediti, molte interviste (tra cui una celeberrima rilasciata da Layne a Rolling Stone nella quale il cantante si confessa sulla sua ormai inguaribile dipendenza).

Dopo sei anni di voci sul suo stato di salute, Layne Staley viene trovato morto per overdose nella sua casa di Seattle il 19 aprile 2002. Vegetava da mesi in completa solitudine. Il suo corpo viene scoperto a circa venti giorni dal decesso. Un'uscita di scena triste e misera, lontana dalla platealità dell'ultimo disperato gesto dell'altra (e più conosciuta) icona di Seattle, conclusione amaramente già scritta di una vita disperata e (troppo) sincera.

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ANHIMA

Post n°10 pubblicato il 21 Marzo 2007 da antimatter
 

TOCCATO DAL FUOCO

Questo è un mio personalissimo ringraziamento a una vecchia rock band toscana che ha significato molto...per i suoi testi, le musiche e quindi per i ricordi e le emozioni che ogni volta anche con il passare del tempo ritornano.....forse un po' sfortunati e per questo scomparsi troppo presto...grazie da una persona che è stata con questo album TOCCATO NELL'ANHIMA !!!..........(l'altro album "Impossibile Mutazione" mi è Impossibile trovarlo!!)

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C'è chi mi chiede perchè passo la vita fuori e dentro di me non c'e' nessuna risposta che si possa accettare no! Nessuna che si possa ignorare certo!         - X.T.C.(Ecstasy)

Passi, passi viaggiano veloci camminano lenti vincenti, perdenti si portano nei tacchi storie e sentimenti camuffano da attori gioie e dolori                      - IO...QUESTO

Guardami hai sempre il sole negli occhi fatti avanti dai odiami ma butta giu' la maschera voglio vedere, capire, soffrire tu spara! dritto al cuore sono un bersaglio facile                                 - DRITTO AL CUORE

E quando a volte guardo in faccia il mondo vedo gli altri che crescono, cambiano e noi...che siamo angeli noi con queste ali di pietra                               - UN SALTO NEL BUIO

Vivo sportivo su un tappeto di chiodi e faccio a gomitate per restare in piedi e siamo sempre piu' stretti ma mi scaldo al calore dai nostri difetti          - VIVO

Sara' che vedo il mondo da una scatola e spesso mi sorride di pubblicita' sara' che vedo, ma non ci credo sara' che vedo il resto è il resto e troppo per me........Cosa cerco in questi anni che corrono corrono come il vento perso in un perchè...      - MALAMORE

E' vero, che vivo soltanto per cio' che vedo e giro, grido, fotto e scrivo se posso sono sincero davvero forse non so chi sono ma di cercarmi analizzarmi ho piene le palle giuro      - NESSUNO E' PERFETTO

E guardavi con quegli occhi da bambino di chi la vita non l'ha mai capita bene e l'hai vissuta come un cane ma senza un padrone ed è per questo che solo tu puoi scegliere di andare con il fiume     - STORIE

Cerchi la ragione della nostra esistenza ci siamo sempre stati porta pazienza santi, indemoniati stregoni nel tempo i fuori di testa oggi siamo in aumento         - PAZZO

Sempre avanti senza chiederti cosa cerchi perche' cerchi...io...io come chi sto' viaggiando lontano dentro di me             - SENZA LIMITI

                                         GRANDI.....GRAZIE

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THE GODFATHER

Post n°9 pubblicato il 19 Marzo 2007 da antimatter
 

Il Padrino parte I/II/III

Lo Spettacolo messo in scena..........

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PARTE I New York, 1946. Vito Corleone è un emigrato siciliano che, dopo anni di crimine, si è affermato come il più potente dei boss mafiosi italo-americani della città. La sua organizzazione, con cui gestisce uno spaventoso giro di affari, coinvolge i figli Santino, Alfredo e il figliastro Tom Hagen, avvocato e "consigliere". Corleone riceve la visita di Virgil Sollozzo, noto spacciatore di droga e comunemente chiamato il "Turco", affiliato alla famiglia Tattaglia, una delle altre cinque cosche mafiose newyorkesi, e rifiuta il proprio appoggio nel business della droga. Tra le due famiglie scoppia una feroce guerra fatta di reciproci attentati ai principali capi e rappresentanti. Quando viene a sapere che il padre è in pericolo di morte a seguito di un terribile attentato, Michael Corleone, eroe della Seconda Guerra Mondiale e unico figlio di Vito a non essere coinvolto negli affari criminali della famiglia, convince il fratello Santino, che ha preso momentaneamente il comando della famiglia, a farlo incontrare con Sollozzo per ucciderlo. Michael, alla fine, affronta lo spacciatore di droga e un poliziotto corrotto che lo accompagnava, e li uccide in un ristorante. Per evitare di essere a sua volta ucciso, il giovane lascia l'America e si nasconde nel paese di Corleone, in Sicilia, la terra nativa del padre Vito. Appena ripresosi, Vito riprende il comando della famiglia, ma una tragedia terribile incombe su tutta la famiglia: Santino è caduto in un'imboscata, dove è stato brutalmente ucciso. Colpito profondamente dalla morte del figlio e deciso a porre fine alla faida, Corleone convoca un incontro con le principali famiglie mafiose italo-americane. Durante l'assemblea, si decide di permettere lo spaccio di droga, ma con alcune regole che tutti saranno tenuti a rispettare, pena una nuova guerra. Rientrato in America, Michael prende il posto di Santino nella cosca di famiglia, e in breve tempo il padre gli passa il titolo di boss, ritirandosi a vita privata, ma continuando a consigliare il figlio da dietro le quinte. Al vertice del potere mafioso, Michael sposa Kay Adams, sua antica fidanzata e compagna del college, da cui ha un figlio, Anthony Vito. Grazie ai consigli paterni il novello boss scopre che i capi delle cinque famiglie stanno per esautorare la famiglia Corleone, e che successivamente organizzeranno un incontro che servirà soltanto per ucciderlo. Alla morte del padre, nel 1954, Michael uccide tutti i boss rivali, e punisce chi ha tradito il fratello Santino: è il cognato Carlo Rizzi, marito di Costanza, l'ultima figlia di Vito, che viene strangolato dal caporegime Peter Clemenza per ordine di Michael. Il film termina con la famiglia Corleone che completa gli ultimi preparativi per trasferirsi in Nevada, dove loro e gli affari che gestiscono saranno più al sicuro. PARTE II  le vicende del giovane Vito Corleone e del suo successore, il figlio Michael, alla guida della malavita newyorkese.Il piccolo Vito Andolini, nel 1901, assiste impotente al massacro della propria famiglia da parte del boss mafioso della città di Corleone, in Sicilia. Per salvarlo viene fatto emigrare a New York, dove per una svista anagrafica il suo cognome viene convertito in Corleone, essendo stato scambiato con il nome della sua città natale, e lavora onestamente presso il negozio di alimentari del signor Abbandando.A un anno dal suo matrimonio con Carmela e dalla nascita del suo primogenito, Santino, Vito si imbatte in Peter Clemenza, che diviene suo amico, e in altre compagnie poco raccomandabili, con le quali compie piccoli furtarelli.Il boss mafioso di New York, Fanucci, lo ricatta a fine di estorsione, ma lui, fingendo di assecondarlo, finisce con l'ucciderlo a colpi di pistola. Inizia così la sua ascesa nella criminalità e in pochi anni l'intera New York cade nella sua rete di criminalità mafiosa: egli controllerà il racket, il contrabbando di tabacchi e alcolici, la corruzione, la protezione, il gioco d'azzardo.Divenuto un potente e temutissimo signore del crimine, Vito ritorna a Corleone e vendica i genitori uccidendo barbaramente il loro assassino.Molti anni dopo, nel 1959, il figlio Michael guida l' organizzazione criminale dei Corleone nel Nevada. Da molti anni, è immerso in affari assai vantaggiosi nel gioco d'azzardo del Nevada e nella Cuba corrotta del dittatore Batista, insieme ad altri malavitosi e a uomini d'affari statunitensi. Non tutto fila liscio, poiché i fratelli Rosato, potenti mafiosi di New York, tentano di assassinare Michael, il quale intuisce che qualcuno li ha aiutati dall' interno della sua famiglia mafiosa. Frank Pentangeli, affiliato ai Corleone, entra in contrasto con il boss, in quanto vorrebbe eliminare i nemici, ma Michael esprime il suo no, convinto di spiazzarli con metodi diversi da quelli violenti.A Cuba, dove Michael si reca per consolidare la propria posizione nell' investimento redditizio in cui troneggia Hyman Roth, un malavitoso ebreo, scopre che Johnny Ola, uno scagnozzo di Roth, è in combutta con il fratello Fredo che è colui che ha venduto al nemico le informazioni per l'attentato subito. La vicenda si conclude con Michael che, sulla via del divorzio dalla moglie Kay, viene tradito e fatto processare per Mafia da Frank Pentangeli. Rilasciato grazie alla falsificazione delle testimonianze, uccide Hyman Roth, Johnny Ola e perfino Fredo, inducendo successivamente Pentangeli al suicidio. PARTE III  New York, 1979.Ormai miliardario, Michael Corleone soffre di una grave forma di diabete, ed è ulteriormente disturbato da un grande senso di colpa. Da molti anni è impegnato in una grande opera volta a ripulire i suoi affari e a levare i Corleone dal mondo del crimine. Ma non tutti ne sarebbero lieti.Ricevuta una bolla papale per le sue opere di beneficenza, Michael accetta di investire milioni di dollari nella banca vaticana. Ma la realtà è che recenti intrighi finanziari hanno fatto sparire un sacco di soldi, e se la notizia dovesse trapelare, l'immagine della Santa Sede ne risulterebbe pesantemente colpita.Ad Atlantic City, dove incontra i principali boss mafiosi italoamericani, Michael annuncia di volersi estraniare dal business del gioco d'azzardo, ma scatta un feroce attentato in cui quasi perde la vita. Mentre il temuto boss affronta una lunga convalescenza all'ospedale, Vincent Mancini, figlio illegittimo del defunto Santino, assume la guida della cosca e scopre che il mandante dell'attentato fallito è Joe Zasa, e ne decreta l'omicidio. Michael, però, teme che dietro a Zasa, con cui per anni aveva avuto lunghi e interminabili conflitti di interesse, vi fosse qualcuno di più potente.Giunto in Italia per assistere al debutto del figlio Anthony Vito nel mondo della lirica, l'anziano padrino incontra i vecchi alleati della famiglia, da cui scopre una sconcertante realtà: non si tratta solo di uno scandalo finanziario ecclesiastico, ma di un'astuta manovra finanziaria di Lucchesi, il capo assoluto della Mafia italiana, lo stesso uomo che ha di recente tentato l'assassinio di Michael, da lui ritenuto come un pericoloso concorrente negli affari della malavita internazionale. Sempre più malato e stanco, oltre che rammaricato per aver fallito nel tentativo di estraniare se stesso e la famiglia dalla criminalità, Michael cede il comando dell'organizzazione mafiosa al nipote, che per l'occasione assume il nome di Vincent Corleone.Tutto precipita in una manciata di ore: il nuovo papa, Giovanni Paolo I, muore in circostanze sospette, mentre al Teatro Massimo di Palermo, un killer travestito da prete tenta di assassinare Michael, sparando per errore all'innocente figlia Mary.L'ultima scena ci mostra Michael Corleone da anziano, da solo nel giardino di una grande villa, quasi sicuramente in Sicilia, dove si accascia a terra e muore.

 
 
 

METAL ALBUM 2007

Post n°8 pubblicato il 16 Marzo 2007 da antimatter
 

BEST METAL ALBUM 2007

Ecco gli album del 2007 che fino ad adesso secondo mio personalissimo e modesto parere  bisogna avere a tutti i costi!!!!!

Gods of War

The Inner Sanctum

03 a Trilogy 2

Scarsick

Gothic Kabbalah 

 
 
 

Post N° 7

Post n°7 pubblicato il 16 Marzo 2007 da antimatter
 

Questo è il disegno del mio tatuaggio...

Imaginations From The Other Side

Imaginations From the Other Side

Imaginations from the other side
Far out of nowhere it got back to my mind
Imaginations from the other side
Far out of nowhere it got back to my mind
Out of the dark
Back to the light
Then I'll break down
The walls around my heart
Imaginations from the other side......

Immaginazioni dall'altra sponda
Luoghi lontani e insesistenti sono tornati alla mia mente
Immaginazioni dall'altra sponda
Luoghi lontani e insesistenti sono tornati alla mia mente
Fuori dall'oscurità
Ritorno alla luce
Butterò giu
I muri intorno al mio cuore
Immaginazioni dall'altra sponda

I hope there is a way back
With my talisman
So I look into myself
To the days when I was just a child
Come follow me to Wonderland
And see the tale that never ends
Don't fear the lion, nor the witch
I can't come back
I'm lost but still I know
There is another world......

Spero che ci sia un modo per tornare indietro
Con il mio talismano
Guardo dentro me stesso
Rivedo i giorni in cui ero solo un bambino
Vieni, seguimi nel Paese delle Meraviglie
E vedrai che la storia non finisce mai
non aver paura del leone, né della strega
Non posso tornare indietro
mi sono perso ma so ancora
Che c'è un'altro mondo.....

Questo è solo un sunto del suo significato che sta' dentro tutto l'album....è un concept

 
 
 

DEEP PURPLE

Post n°4 pubblicato il 14 Marzo 2007 da antimatter
 
Foto di antimatter

i "NONNETTI" del rock...

09/03/07 palasport F.Patti di Palermo

Questa e una mia personalissima recensione su un concerto che per certi versi fa' storia a se per di piu' se la citta' ad ospitarli è Palermo, aime' da sempre orfana di buona cultura musicale. Chi sono? I grandi nonnetti chiamati DEEP PURPLE memoria di tanti cavalli di battaglia, ispiratori di tantissimi gruppi che insieme a Led Zeppelin e Black Sabbath hanno letteralmente inventato la musica rock.

Arrivato al palazzetto vs. le 21,00 insieme a una mia carissima amica, non faccio in tempo a vedere chi sono i VOLVER gruppo siciliano di supporto ai "nonnetti", ma riesco a bere una birra dopo una lunga coda e a cambiare quattro chiacchere con un ragazzo sui superbi Dream Theater, scaturite dall'apprezzamento reciproco per la maglietta che indossata...dopodiche' di che si parte in perfetto orario.

Sono le 21.30 quando i nostrani calcano il palco del palazzetto F.Patti ed è grande ovazione per i circa 4000 mila presenti. Si comincia con PICTURES OF HOME seguita da altri pezzi estratti dall'omomino album e non, fino ad arrivare all'ultima fatica del gruppo con l'orientale RAPTURE OF DEEP, la bella e rocciosa WRONG MAN e la lenta KISS TOMORROW GOODBYE. Si respira una bella aria dentro il palazzeto e i nonnetti danno prova di far vedere chi sono e sopratutto che sono stati. L'unica nota stonata della prima parte del concerto e' quella dell'ex ugola d'oro Gillan che proprio non riesce a cantare in maniera dignitosa anche se man mano si riprendera'.....suonano anche WHEN A BLIND MAN CRIES, LAZY, STRANGE KIND OF WOMAN...grande la prova di quel mostro sacro alla chitarra chiamato STEVE MORSE che delizia i presenti con un SOLOGUITAR che spazia dalla musica classica per passare al "IL PADRINO" concludendo con irruenza metal "BACK IN BLACK/IRON MAN " fra tutte.....come grandi sono anche le prove di GLOVER, PAICE (con assolo a me non tanto piaciuto) e DON AIREY che ci delizia alle tastiere niente di meno con CIURI CIURI, attraversandoci con una lunga armonia fino a portarci all'inizio di una grande (molto aspettata dal sottoscritto) PERFECT STRANGERS. Si continua con due grandi songs come SPACE TRUCKIN e HIGHWAY STAR, fino a quando con l'inizio di SMOKE ON THE WATER anche i piu' acciaccati accorsi in gran numero saltano in aria ricordando il tempo ormai vissuto dei "figli dei fiori". Si conclude alla grande con una bellissima "HUSH" e una spettacolare "BLACK NIGHT" che suggellano la grande serata che abbiamo passato. Alla fine solo gioia, anche quando all'uscita del palazzetto acquisto la mia classica maglietta dopoconcerto esagerando con la taglia.... XXL (ci vanno 3 persone!!!!) e ascoltando in uno stereo di una macchina dei fans che avevan messo la tanto acclamata ma assente "Child In Time" (ma chi la doveva fare!!) cmq va bene e cosi' via......           BY MARKUS

GUARDA QUI QUALCHE VIDEO DEL CONCERTO

 
 
 

I Figli del Prog

Post n°2 pubblicato il 13 Marzo 2007 da antimatter
 
Foto di antimatter

PAIN OF SALVATION

I Migliori Album......e che album

- ENTROPIA (ascolta: ! "Foreword" - Winning A War - Oblivion Ocean)

- THE PERFECT ELEMENT (ascolta: Ashes - In The Flesh - The Perfect Element )

- REMEDY LANE (ascolta: Ending Theme - Undertow - Beyond The Pale)

Ps. Mi ritengo fortunato di conoscere sti mostri sacri....

 
 
 
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