Marxisti

Stalin 1 


Così si esprimeva colui che gli anticomunisti dipingono come un tiranno spietato e assetato di potere e di sangue. Lo accusano ingiustamente di aver sovrapposto il suo arbitrio personale alla direzione collegiale del Partito, dopo essersi sbarazzato uno dopo l'altro dei massimi dirigenti bolscevichi. Niente di più falso. Per ben due volte Stalin presentò le sue dimissioni da segretario generale, e tutt'e due le volte a schiacciante maggioranza se le vide respingere, a seguito delle notazioni critiche riguardanti il suo carattere, contenute in quello che viene malevolmente definito il "testamento" di Lenin e che invece era un semplice promemoria personale e riservato che il fondatore del partito bolscevico, gravemente malato e preoccupato di una scissione ma all'oscuro delle vicende interne al gruppo dirigente, mai rese pubblico o fece uscire dal suo archivio personale e che il Partito ricevette solo tre mesi dopo la sua morte. Stalin era il migliore discepolo, il solo autentico erede e continuatore di Lenin. E con Lenin aveva condiviso linea e posizioni pur trovandosi molte volte in minoranza nel partito. Nessun'altro nel gruppo dirigente aveva compreso come lui le novità apportate da Lenin e il salto che il leninismo aveva apportato al patrimonio comune del marxismo. Né Trotzki, da sempre un menscevico che aveva opportunisticamente aderito al partito bolscevico solo nel luglio '17, così malato di individualismo narcisista e inconcludente da risultare una sorta di Bakunin in insalata russa; né Kamenev e Zinoviev, ripetutamente oppositori di Lenin, il quale arrivò persino a chiedere l'espulsione dal partito dei due "crumiri" e sabotatori dopo che avevano svelato pubblicamente la data dell'insurrezione; né infine Bucharin, che aveva fama di teorico ma era privo di qualsiasi concreta esperienza rivoluzionaria, il cui dottrinarismo scolastico e ondivago lo oscillerà tra l'ultrasinistrismo trotzkista e le posizioni ultradestre conciliatrici verso la socialdemocrazia, favorevoli ai kulak e rabbiosamente ostili alla collettivizzazione nelle campagne, una caratteristica che già Lenin aveva pubblicamente stigmatizzato con queste parole: "Come ha potuto Bucharin giungere a una tale rottura col comunismo?Sappiamo che egli più volte è stato chiamato per scherzo: "cera molle". Dunque, su questa "cera molle" qualsiasi uomo "senza principi", qualsiasi "demagogo" può scrivere ciò che vuole."(Lenin)Comunque la si rigiri, nessun altro dirigente bolscevico di allora eguagliava Stalin in qualità politiche, organizzative e ideologiche, nessuno più di lui sarebbe stato capace di garantire all'Urss e all'allora movimento comunista internazionale gli sviluppi e i successi che ebbero. Deciso a salvaguardarne con ogni mezzo l'unità, nel primo Congresso del partito bolscevico svolto senza Lenin, nel 1925, egli ricordò di essersi opposto e battuto con decisione contro le proposte di espellere Trotzki dal partito e dall'Ufficio politico, fintantoché i dissensi riguardavano questioni di linea: "Non fummo d'accordo con Zinoviev e Kamenev, perché sapevamo che la politica dell'amputazione comportava gravi pericoli per il partito, che il metodo dell'amputazione, il metodo del salasso ed essi chiedevano sangue - era pericoloso, contagioso: oggi si elimina uno, domani un altro, dopodomani un terzo; che cosa ci resterà nel partito? E' impossibile dirigere il partito altrimenti che con il sistema collegiale. Sarebbe assurdo pensarlo dopo la morte di Ilic, sarebbe assurdo parlarne. Lavoro collegiale, direzione collegiale, unità nel partito, unità negli organismi del Comitato Centrale, a condizione che la minoranza si sottometta alla maggioranza: ecco che cosa ci occorre ora."Mentre praticava la lotta ideologica attiva, Stalin chiedeva la direzione collegiale e la favoriva in ogni modo, purché fosse salvaguardato il principio sacro del centralismo democratico, ossigeno della vita stessa del partito, secondo cui la minoranza si sottomette alla maggioranza. Le battaglie di linea sono la linfa vitale di ogni partito marxista-leninista e richiedono di essere combattute fino in fondo, solo così le idee giuste hanno modo di prevalere sulle idee sbagliate. L'Urss non sarebbe mai esistita se Lenin e poi Stalin avessero ceduto alla tesi trotzkista che il socialismo non aveva speranza di prevalere in un solo paese ma pretendeva la simultanea esplosione della rivoluzione in tutto il mondo. Non è, dunque, una sua colpa se la frazione trotzkista, prima, e la destra buchariniana, dopo, non ne vollero sapere di salvaguardare l'unità del partito, trasformarono i dissensi in conflitto cruento, la dialettica ideologica e politica in controrivoluzione, perseguirono la scissione e scatenarono la sovversione e il terrorismo antisovietico, fino a diventare strumenti di quella quinta colonna che i servizi segreti hitleriani e degli altri paesi imperialisti infiltravano nell'Urss per espugnare la fortezza socialista dall'interno. Ecco perché si arrivò alla repressione dei controrivoluzionari e ai processi degli anni Trenta, che si svolsero sempre alla luce del sole, alla presenza di osservatori e della stampa internazionale, e furono occasioni di grandi dibattiti pubblici che coinvolsero e mobilitarono l'intera popolazione sovietica. Com'era potuto accadere che dirigenti che avevano partecipato alla rivoluzione fossero diventati dei traditori e dei sabotatori della rivoluzione? Per la stessa ragione per cui un socialista come Mussolini diventò fascista o leader autorevolissimi come Kautzki, che pure era stato l'erede testamentario di Engels, e come Turati e Nenni diventarono i cani da guardia del capitale, tra i più rabbiosi nella guerra condotta dalla socialdemocrazia contro la Terza Internazionale. Non ce ne dovremmo stupire proprio noi che siamo circondati da rinnegati, sessantottini pentiti e voltagabbana, al governo e alla Rai, nei maggiori quotidiani nazionali e ai più alti livelli istituzionali, dappertutto, anche nei circoli e cordate economico-affaristici. Persino in quelle condizioni terribili, con l'Urss assediata e minacciata dall'esterno e dall'interno e l'avvicinarsi dell'aggressione nazifascista, Stalin mai venne meno al principio della direzione collettiva del partito e dello stato. "Non è possibile decidere individualmente; le decisioni individuali - ripeteva proprio in quegli anni - sono sempre o quasi sempre unilaterali. In tutti i raggruppamenti, in tutte le collettività, vi sono delle persone il cui parere non può essere trascurato, come vi sono pure delle persone il cui parere risulta erroneo. L'esperienza di tre rivoluzioni ci ha dimostrato che su cento decisioni individuali, con corrette poi collettivamente, novanta risultarono del tutto unilaterali. Nel nostro organismo direttivo, il Comitato Centrale del nostro partito che dirige tutte le organizzazioni sovietiche e comuniste, si contano circa settanta membri. E fra questi si annoverano i nostri migliori tecnici, i migliori specialisti, i migliori studiosi di tutte le branche dell'attività. Ciascuno ha la possibilità di correggere l'opinione, la proposizione individuale dell'altro; ciascuno ha la possibilità di fare la propria esperienza. Se fosse stato altrimenti, se le nostre decisioni fossero state adottate individualmente, avremmo commesso errori gravissimi nel nostro lavoro. Invece, avendo ciascuno la possibilità di correggere gli errori degli altri e tenendo tutti conto delle correzioni, le nostre decisioni sono il più possibile giuste." Nemico delle adulazioni e dell'esaltazione alla sua persona svincolate dall'adesione sostanziale alla causa del socialismo, Stalin si opponeva in pubblico e in privato a qualsiasi tipo di culto della personalità, in coerenza con le sue ben note e insistite parole: "Sono finiti i tempi in cui i grandi uomini facevano la storia". Nella risposta al colonnello Razin che gli chiedeva nel 1946 un parere su alcune questioni militari, gli espone dialetticamente e in modo convincente le sue idee ma lo avverte senza mezzi termini: "Urtano l'orecchio i ditirambi in onore di Stalin: è addirittura fastidioso leggerli". Cioè lo prega di smetterla di incensarlo come fosse una divinità e lo invita piuttosto a criticare senza indugi la dottrina militare borghese, anche a costo di correggere qualche giudizio sbagliato formulato dai maestri del marxismo-leninismo. Chi alimentava, dunque, il cosiddetto "culto della personalità", Stalin, o piuttosto opportunisti e individui a doppia faccia come Krusciov e Togliatti visti quest'oggi nel filmato? A un intervistatore che gli pose il quesito: "Credete che vi si possa comparare con Pietro il Grande?", Stalin tagliò corto con queste parole lapidarie: "Le comparazioni storiche son sempre arbitrarie. Questa, poi, è addirittura assurda". La grandiosa vittoria della seconda guerra mondiale poteva indurre in chiunque manie di onnipotenza o vertigini di successo, non certo in Stalin che ribadì la necessità irrinunciabile del controllo delle masse sui dirigenti e sull'attività del partito:"Si dice che i vincitori non si giudicano, che non bisogna criticarli né controllarli. Non è vero. I vincitori si possono e si devono giudicare. Si possono e si devono criticare e controllare. Ciò è utile non soltanto alla causa, ma agli stessi vincitori: vi sarà meno presunzione e più modestia. Il partito comunista del nostro paese non varrebbe granché, se temesse la critica e il controllo."Stalin non si stancava di ricorrere anzitutto personalmente e insieme di esortare tutti i dirigenti e i militanti all'autocritica, che doveva diventare una consuetudine come ogni sera e ogni mattina ci laviamo per rimuovere lo sporco accumulatosi nel frattempo. "Noi non possiamo fare a meno dell'autocritica. Non lo possiamo in nessun modo", rispondeva a Gorki che gli aveva esposto dei dubbi sulla strumentalizzazione che il nemico ne avrebbe fatto. "Senza l'autocritica sono inevitabili la stagnazione, l'imputridimento dell'apparato, lo sviluppo del burocratismo, il soffocamento dell'iniziativa creatrice della classe operaia. Certamente, l'autocritica offre spunti ai nemici.Ma essa offre spunti (e dà impulso) al nostro progresso, al libero sviluppo dell'energia costruttiva dei lavoratori, allo sviluppo dell'emulazione.Il lato negativo è compensato e più che compensato dal lato positivo." A chi accusa Stalin di aver ridotto il socialismo nella dittatura del partito, di aver zittito ogni critica e schiacciato senza pietà i contadini e la classe operaia ricordiamo quest'altra sua esortazione pronunciata nel gennaio 1925 in una riunione di partito: "Talvolta questo ottimismo ufficiale fa venire la nausea. E frattanto è chiaro che la situazione non è e non può essere affatto buona. E' chiaro che ci sono dei difetti che bisogna mettere a nudo, senza temere la critica, e che devono poi essere eliminati. La questione sta dunque in questi termini: o noi, tutto il partito, daremo ai contadini e agli operai senza partito la possibilità di criticarci, o saremo criticati con l'insurrezione. L'insurrezione in Georgia è stata una critica. Anche l'insurrezione di Tambov è stata una critica. L'insurrezione di Kronstad: che cos'è questa se non critica? Una delle due: o noi rinunceremo all'ottimismo burocratico e all'atteggiamento burocratico in questa questione, non avremo timore della critica e daremo agli operai e ai contadini, senza partito, sulle cui spalle ricadono le conseguenze dei nostri errori, la possibilità di criticarci; o non lo faremo, e il malcontento si accumulerà, crescerà, e allora la critica verrà con l'insurrezione."Le parole di Stalin suonano come musica, una melodia che Mao riprenderà e svilupperà all'indomani della controrivoluzione ungherese nel '56 e maturerà solo grazie all'esperienza storica sin lì acquisita in Urss e in Cina, sono più o meno le stesse che pronuncia Mao quando comincia a pensare ed elaborare quella teoria della continuazione della rivoluzione sotto la dittatura del proletariato che è all'origine della Grande Rivoluzione Culturale Proletaria. Per pretenderla dagli altri la pretendeva anzitutto da se stesso, sia quando l'autocritica riguardava un errore ideologico sia quando doveva correggere una sua decisione o un suo atto sbagliato, che fosse stato appena compiuto o che risalisse indietro nel tempo. Nella prefazione alla pubblicazione del primo volume delle sue opere nel 1946, non esita a denunciare i suoi errori su due questioni, relative al programma agrario e alle condizioni della vittoria della rivoluzione socialista, commessi allora perché si giudicava "un giovane marxista che non era ancora un marxista-leninista completamente formato". Nell'opera "Questioni del leninismo", scritta nel gennaio 1926, poco meno di due anni dopo quel ciclo di lezioni tenute all'Università e titolate "Principi del leninismo", riconosce l'erroneità di alcune sue affermazioni riferite alla teoria della rivoluzione "permanente" e a quella della vittoria del socialismo in un solo paese, con esemplare onestà intellettuale e senza remore, anzi cercando di spiegarne le radici storiche e politiche che le avevano favorite. Lo accusano che negli ultimi anni della sua vita fosse diventato intollerante a ogni tipo di critica e ossessionato dal sospetto. Niente di più falso. Nell'opera "Problemi economici del socialismo in Urss", scritta solo pochi mesi prima della sua morte, con una lucidità e freschezza giovanili trae un acuto bilancio critico e autocritico di alcuni aspetti dell'esperienza storica della costruzione del socialismo in Urss. Del resto persino all'indomani della storica vittoria sul fascismo, nel ringraziare il popolo russo perché aveva avuto "fiducia nella giusta politica del suo governo e accettò ogni sacrificio pur di assicurare la sconfitta della Germania", non aveva avuto esitazione ad ammettere :"Il nostro governo ha commesso non pochi errori, vi sono stati momenti, nel 1941-42, in cui la situazione era disperata, in cui il nostro esercito, ritirandosi, abbandonava villaggi e città a noi cari: li abbandonava perché non v'era altra alternativa. Ecco come Stalin intendeva e praticava permanentemente la critica e l'autocritica.Rispetto ai tanti oppositori costretti dallo zarismo a espatriare, Stalin fu il solo capo bolscevico della prima ora a dirigere l'intero corso della rivoluzione russa dall'interno, salvo rari espatri illegali e viaggi e soggiorni all'estero per partecipare a riunioni e attività di partito, condividendo col suo popolo la sconfinata miseria e lo spietato terrore poliziesco zarista. Figlio devoto del popolo georgiano eppure internazionalista inflessibile, l'organizzazione di partito da lui diretta era un modello di internazionalismo proletario, dove pariteticamente si amalgamavano gli operai d'avanguardia georgiani, armeni, azerbaigiani, russi. Fu lui a fondare il partito bolscevico nell'intera Transcaucasia e a svolgere un'attività faticosissima di costruzione del partito spostandosi da un capo all'altro dell'immenso impero zarista e garantendo un prezioso lavoro organizzativo. Come l'acciaio s'indurisce dopo essere stato tuffato incandescente nell'acqua fredda, così temprò il suo spirito rivoluzionario superando prove terribili: la persecuzione della famigerata polizia politica segreta Okhrana, la repressione giudiziaria e poliziesca, il carcere brutale e il confino in Siberia, in villaggi sperduti ben oltre il circolo polare artico, dove lui, uomo del sud, dovette difendersi da temperature inferiori ai quaranta gradi sotto zero, condannato alla fame, senza abiti né legna, e alle peggiori malattie come la tubercolosi e il tifo. E tuttavia riusciva sempre a mantenere la corrispondenza coll'organizzazione di partito, a partecipare attivamente alla lotta tra le due linee nel partito al fianco di Lenin, a scrivere importanti articoli, che indussero Lenin a definirlo in una lettera il "meraviglioso georgiano", non si arrese mai tanto da evadere per ben cinque volte. Si laureò all'università della clandestinità, trasformando carcere e confino in accademie dove formare i deportati politici dal punto di vista rivoluzionario e ideologico. Rivoluzionario di professione non si rifugiò mai nella crisalide del cospiratore, preferiva vivere tra le masse, magari cambiando identità e lavoro finché era possibile, partecipare alle loro riunioni, lotte, manifestazioni, organizzarle e dirigerle considerandosi sempre uno di loro. Ancor prima di conoscerlo di persona, Stalin fu il primo tra i dirigenti russi a comprendere la vera statura e il ruolo di Lenin quale capo e teorico della rivoluzione russa, fu il primo a salutare in Lenin il Marx del ventesimo secolo, strenuo difensore del marxismo, in contrapposizione ai revisionisti socialdemocratici, ed erede e sviluppatore della dottrina elaborata da Marx ed Engels nella nuova epoca dell'imperialismo e delle rivoluzioni proletarie. Ne condivise ogni scelta, lo affiancò e lo sostenne attivamente in ogni battaglia all'interno e all'esterno del partito, con la modestia e la riconoscenza che avevano animato Engels nei confronti di Marx. Non ancora venticinquenne, come ben spiega il video appena visto, già parla di leninismo e definisce "una vera aquila di monte".il Lenin del Che fare?, il quale a sua volta apprezzava la sua "eccellente impostazione della questione" relativa al rapporto tra partito e classe operaia. Tale sodalizio si sarebbe cementato nella capitale rivoluzionaria della Russia, Pietrogrado, dove giunsero all'indomani della rivoluzione borghese del febbraio '17, uno dalla deportazione in Turukhansk e, l'altro dall'interminabile esilio in Europa, e sarebbe stato alimentato dal lavoro politico svolto fianco a fianco e da un rapporto personale diretto, dalle frequentazioni quotidiane e da consultazioni e una collaborazione sulle questioni più urgenti e controverse del momento. Quando nel maggio del '17 si costituisce l'Ufficio politico del Comitato centrale Stalin ne viene eletto membro e, dopo le giornate di luglio, aiuta Lenin a nascondersi clandestinamente in Finlandia perché ricercato e perseguitato dal governo Kerenski; ha la direzione immediata del Comitato centrale e dell'Organo di stampa centrale e tiene, in assenza di Lenin, il rapporto del CC al 6° Congresso del partito bolscevico in cui peraltro, appoggiando le celebri "Tesi di Aprile" che spingevano il partito a trasformare con decisione la rivoluzione borghese in rivoluzione socialista, batte in breccia le esitazioni e i tentennamenti di matrice trotzkista sull'impossibilità della vittoria del socialismo in un paese arretrato come la Russia: "Non è esclusa la possibilità- avverte - che proprio la Russia sia il paese che aprirà la strada al socialismo...E' necessario respingere l'idea superata che soltanto l'Europa può additarci il cammino. C'è un marxismo dogmatico e un marxismo creatore. Io sono sul terreno del marxismo creatore". E infine respinge il disfattismo di Zinoviev e Kamenev che si opponevano a porre l'insurrezione all'ordine del giorno come aveva indicato Lenin: "Ciò che propongono Kamenev e Zinoviev - dice Stalin davanti al Comitato centrale - dà, oggettivamente, alla controrivoluzione la possibilità di prepararsi e organizzarsi.Noi ci ritireremmo senza fine e porteremmo la rivoluzione alla disfatta.Del capolavoro della Rivoluzione d'Ottobre Lenin fu l'architetto, quell'insuperabile maestro e scienziato delle leggi della rivoluzione che ne ideò e studiò la strategia, la tattica e le tappe del suo intero corso storico, fino al momento in cui era diventata non solo politicamente ma anche tatticamente matura e, allora, l'aveva preparata secondo un vittorioso piano insurrezionale dettagliato e completo; Stalin ne fu uno degli artefici e il dirigente operativo e organizzativo, teneva i collegamenti e impartiva le necessarie disposizioni alle guardie rosse dallo Smolny, fu il più stretto collaboratore di Lenin, l'uomo di fiducia a cui furono affidate mansioni e missioni delicate, diresse praticamente e direttamente l'insurrezione in qualità di membro del centro del partito incaricato di ispirare il Comitato militare rivoluzionario presso il Soviet di Pietrogrado, considerato una sorta di stato maggiore legale dell'insurrezione. Quella radicale svolta storica tra capitalismo e socialismo preconizzata da Marx ed Engels si è compiuta grazie a Lenin e a Stalin, a questi due giganti, alla testa di un partito numericamente piccolo ma politicamente e ideologicamente potente e vincente, che sono riusciti in un'impresa neppure tentata dai ben più forti, antichi e blasonati partiti socialdemocratici ridottisi gradualmente a puntelli dei regimi borghesi. Alla Rivoluzione francese del 1789, modello insuperato di rivoluzione della borghesia e portatrice dei principi e del sistema di dominio del liberalismo, ora finalmente risultava contrapposta la Grande Rivoluzione socialista d'Ottobre del 1917, modello della rivoluzione del proletariato e portatrice dei principi e del sistema politico del socialismo.Come Engels aveva difeso e chiarito il pensiero di Marx, completando persino la stesura e pubblicazione di un'opera come "Il Capitale", così Stalin ha compiuto un preziosissimo e impegnativo lavoro di analisi, riflessione e sistemazione critica del pensiero di Lenin, specie dopo la sua morte, quando si trattava, da una parte di salvaguardarlo dalle interpretazioni opportunistiche di matrice trotzkista e revisionista di destra e, dall'altra, di non disperdere quel ricco patrimonio di idee ed esperienze e di individuare, definire e raccogliere organicamente quel che di nuovo e originale aveva apportato al patrimonio del marxismo. A questo scopo, in particolare, rispondono le due opere scritte rispettivamente nel '24 e nel '26, opere fondamentali marxiste-leniniste per trasformare il mondo e sé stessi, "Principi del leninismo" e "Questioni del leninismo",che rappresentano un'esposizione insuperabile, un'esaltazione appassionata e una profonda giustificazione teorica del leninismo non semplicemente dal punto di vista puramente russo ma per i marxisti-leninisti del mondo intero.I DIECI GRANDI MERITI STORICI DI STALINDopo la prematura morte di Lenin, toccò a Stalin edificare il nuovo Stato socialista, partendo da condizioni economiche e produttive disastrose lasciate in eredità dallo zarismo, dalla guerra imperialista e dalla controrivoluzione bianca e dalla guerra civile combinate all'aggressione militare sferrata da una coalizione di ben 14 Stati capitalisti. Si pensi che solo nel 1927 la patria dei Soviet raggiunse un livello economico pari all'anteguerra. Eppure Stalin riuscì in un'impresa che era dir poco disperata in un paese che l'imperialismo cercava di soffocare strangolandolo economicamente e commercialmente. Il volto dell'Urss mutò radicalmente: da paese arretrato, alla fame, privo di tutto e dipendente dal capitale straniero nei settori economicamente e tecnologicamente decisivi, si trasformò rapidamente in un paese socialista prospero e autosufficiente, con un'agricoltura arricchita e rinnovata dalla collettivizzazione delle campagne, un'industria moderna e rispondente al fabbisogno della popolazione e uno Stato a dittatura del proletariato che garantiva la massima estensione della democrazia per i lavoratori mentre schiacciava senza pietà gli sfruttatori, la borghesia e i nemici del popolo. Il paese fu strappato alla barbarie zarista e feudale e catapultato nel socialismo. Non è poi così scandaloso e strano che siano stati commessi degli errori nella costruzione del socialismo, anzi è del tutto naturale quando si aprono strade inesplorate. Una cosa è costruire il socialismo in una congiuntura internazionale più o meno pacifica e un'altra è industrializzare un paese così immenso e arretrato che doveva prepararsi a tappe forzate alla seconda guerra mondiale, per di più senza copiare gli altri Stati capitalisti che si erano procurati le risorse necessarie grazie allo sfruttamento implacabile del popolo lavoratore, alle guerre di conquista, alla spoliazione sanguinosa delle colonie e dei paesi dipendenti e ai prestiti esteri. Negli errori inevitabilmente cade chiunque, davanti a un'esperienza storica inedita, è chiamato a risolvere i problemi senza avere l'esempio di modelli concreti a cui ispirarsi e senza l'aiuto del confronto con altre realtà. Del resto non avevano sbagliato gli stessi Marx ed Engels quando, all'inizio della loro avventura politica, immaginavano una società socialista che in tempi ravvicinati avrebbe portato all'estinzione delle classi e al comunismo? Alcuni errori sono attribuibili a Stalin, rientrano nel novero degli errori fisiologici e insiti nella dialettica delle vita e, non di rado, sono stati da lui stesso prontamente corretti o sono stati oggetto di sue successive autocritiche complete o parziali. Altri sono stati in gran parte dettati dai contraccolpi derivanti dal soffocante accerchiamento imperialista subito per tanti anni e sfociato nell'aggressione bellica nazifascista. Altri ancora furono commessi alle sue spalle, da settori e dirigenti di partito centrali o periferici e persino dai nemici di classe e sabotatori del socialismo. In tutti i suoi discorsi e interventi Stalin era particolarmente attento e sensibile a radiografare spietatamente gli errori commessi dal partito nella collettivizzazione e industrializzazione del Paese. Nel leggere, ad esempio, opere come "Vertigine dei successi" del marzo 1930, "Risposta ai compagni colcosiani" dell'aprile 1930, o "Della deviazione di destra nel Partito comunista (bolscevico) dell'URSS" dell'aprile 1929 si rivive il dibattito di quegli anni e noi stessi diventiamo gli allievi di lezioni storiche preziosissime ed educative sulle radici degli errori di destra compiuti dalla corrente buchariniana nelle campagne e sulle tappe storiche dei disaccordi che diventeranno antagonistici, sulle cure e le premure dedicate da Stalin a correggerli come contraddizioni in seno al popolo. "In ogni caso gli errori commessi da Stalin - avverte il compagno Scuderi - non sminuiscono la sua figura, il suo pensiero e la sua opera. Rimane pur sempre un gigante del pensiero e dell'azione rivoluzionari, un grande maestro dei marxisti-leninisti e del proletariato internazionale".Rispetto ai meriti, gli errori di Stalin furono assolutamente secondari e comunque sono valutati dai marxisti-leninisti come delle lezioni storiche perché non si ripetano in futuro. Facendo un bilancio del pensiero e dell'opera di Stalin emergono, tra gli altri, dieci grandi e incancellabili suoi meriti storici. Eccoli in estrema sintesi.E' stato il grande maestro del proletariato internazionale che ha ereditato, difeso e sviluppato il marxismo-leninismo arricchendolo in moltissimi campi dal punto di vista teorico e dell'esperienza storica, è stato il primo a riconoscere il ruolo di Lenin e a riconoscere nel leninismo il marxismo dell'epoca dell'imperialismo e delle rivoluzioni proletarie. E' riuscito nell'impresa senza precedenti di edificare il primo Stato socialista al mondo pur in presenza di una situazione nazionale e internazionale difficilissima. Ha diretto vittoriosamente l'Internazionale Comunista e la rivoluzione mondiale e ha dato vita al campo socialista. E' stato il condottiero del fronte unito internazionale che ha portato all'annientamento del mostro nazifascista durante la seconda guerra mondiale. E' stato il massimo dirigente organizzativo della Grande Rivoluzione Socialista d'Ottobre. Ha capeggiato vittoriosamente la lotta contro il revisionismo di destra e di "sinistra" nel partito bolscevico e sulla scena internazionale. Ha per primo risolto dal punto di vista dei principi la "questione nazionale" nel socialismo, traducendola poi in modo conseguente nella vita dell'Urss. Ha fondato il partito bolscevico e le prime organizzazioni sindacali in Transcaucasia. E' stato, prima, il più stretto compagno d'armi di Lenin nella costruzione del partito bolscevico e ne è stato, poi per un trentennio, il dirigente, il capo, il maestro. E' stato un rivoluzionario di professione inflessibile che ha agito nella Russia zarista per l'intera durata della rivoluzione russa senza lasciarsi piegare né dal carcere né dalla repressione né dalle deportazioni.