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IL RESTAURO NELLA STATUARIA CLASSICA - I PARTE (2^ lezione)

Post n°10 pubblicato il 30 Ottobre 2006 da Matrixart
 

Cammino sul piano storico vedendo un aspetto del restauro che dal ‘500 all’ ’800 ha avuto un aspetto assestante rispetto a quello detto finora; cioè il restauro della statuaria classica. Per introdurre questo aspetto che noi vedremo in una sorta di carrellata fra ‘500 – ‘700, per introdurre questo aspetto è bene ricordare che le notizie che noi abbiamo in generale del restauro su dipinti e anche sulle sculture di marmo, le prime notizie, la prima fonte  da considerare è il Vasari. Il Vasari parlando appunto del restauro della statuaria antica ci dice che a suo parere, “la statuaria restaurare cioè risarcire, cioè ricompletare una scultura antica mutila è meglio che averla frammentaria”. È un’affermazione che contraddice in parte quello che poi Vasari farà, ma su altri piani cioè sul piano del restauro soprattutto architettonico.

Il Vasari è per il restauro di integrazione della statuaria classica, questo tipo di operazioni cioè restaurare una scultura, un gruppo scultoreo, un bassorilievo che si presentasse dopo il suo ritrovamento oppure si presentasse fin dall’antichità in una versione mutila, priva di alcuni pezzi per esempio una scultura che è ritornata fuori dalla terra diciamo che poteva essere priva della testa, delle braccia, delle gambe oppure nella migliore delle ipotesi poteva avere il volto privo di naso o delle labbra e di alcune parti minori. L’esigenza di riportare ad una completezza formale, cioè ad una interezza, una scultura antica a cui mancavano delle parti comincia a sentirsi in maniera più vistosa a partire dal ‘500 e per questo Vasari è un ottimo testimone anche di questo tipo di operazioni. Tuttavia la scultura antica noi sappiamo che aveva un suo riutilizzo fino all’età medievale e che però in questo caso noi possiamo parlare non di restauro della scultura antica ma di riutilizzo della scultura stessa in contesti del tutto diversi da quello originale. Dal ‘500 in poi cioè dalla piena età rinascimentale, quello che invece salta più all’occhio è il caso del restauro di sculture classiche che sono impegnati in questo tipo di operazioni i maggiori scultori del momento a partire dal Rinascimento, con il restauro di un gruppo celeberrimo che è il gruppo del Laocoonte. Dunque se in età medievale fino al 1400 i frammenti dell’arte antica venivano riutilizzati per farne altra cosa, a partire dal Rinascimento la scultura viene considerata in sé e gli artisti sono chiamati ad integrarla. Perché la scultura non poteva presentarsi in una maniera frammentaria? Per quell’ideale neoplatonico dell’idea del bello che naturalmente non poteva accettare un frammento al posto di un intero. Questa concezione del bello ideale che è una concezione che nasce nel ‘400 e che ben viva nel ‘500 e arriva anche all’età barocca; quest’idea è quella che sostiene ideologicamente e teoricamente il restauro della statuaria classica sia in un ambito cronologico-rinascimentale che in un ambito barocco e poi neoclassico. Quindi l’idea era quella di completare un frammento per ridare al frammento unità figurativa in quanto come frammento non era accettato e concepito. Ma questa fervida attività di restauro della statuaria classica in quali ambienti si compiva? Si compiva negli ambienti del grande collezionismo archeologico ed esisteva in tutte le regioni in Italia già dal ‘500. Cioè si hanno episodi importanti di restauro di sculture classiche per esempio in area veneta fra ‘400 e ‘500; ma il clou di quest’attività di restauro di ricomposizione della figura classica è a Roma; Roma perché evidentemente è più ricca di queste opere e perché l’antichità classica non è mai morta ed è sempre rimasta più o meno di vista anche nei secoli bui del Medioevo e quindi Roma è il grande centro e grande luogo in cui nascono e si sviluppano queste concezioni che riguardano il restauro delle opere classiche. Firenze fa la sua parte tuttavia già dal ‘500 in questa stessa concezione perché a Firenze si formano a partire dalla fine del ‘500 in ambito mediceo, si formano le grandi collezioni di antichità che oggi noi vediamo sistemate agli Uffizi, a Palazzo Pitti, nel giardino dei Boboli e in altri luoghi. Dunque, questo fenomeno del restauro della statuaria classica a partire dal Rinascimento è un fenomeno che riguarda nello stesso modo e con le stesse concezioni la cultura artistica italiana. Sappiamo molto a livello storiografico di quello che succede a Roma, sappiamo abbastanza su quello che succede a Firenze, sappiamo abbastanza su quello che succede fra ‘500 e ‘700 a Venezia e sappiamo meno in altre zone; e pure in tutta Italia sappiamo bene che era diffusissimo il collezionismo archeologico, perché questo fenomeno della statuaria classica si sviluppa più che altro e lo sappiamo per esempio nella zona di Napoli e non lo sappiamo nella zona di Lombardia. Questo fenomeno è legato al fenomeno del collezionismo archeologico, le grandi collezioni che si formano nel ‘500 soprattutto a Roma e a Firenze e anche a Venezia, queste grandi collezioni contengono tutte opere che passano nelle mani di scultori affermati di primo livello per essere ricomposto delle loro parti mancanti. È un fenomeno che ha uno sviluppo straordinario a Roma in epoca barocca, perché se a Firenze nelle grandi collezioni di antichità erano soprattutto quelle dei Medici e poi c’erano anche collezioni però minori in altre famiglie fiorentine; a Roma c’era veramente da sbizzarrirsi a livello di collezionismo archeologico, cioè le grandi famiglie romani spesso legati a un papa per esempio la famiglia Barberini, la famiglia Ludovisi, la famiglia Caetani; insomma tutte famiglie di grande rilievo aristocratico che poi hanno espresso nel corso dei secoli la figura di un papa. Proprio a Roma nel ‘600 in età barocca, questo tipo di attività di restauro archeologico ha una importanza straordinaria. Nel ‘600 si afferma un altro aspetto e abbiamo detto che in ambito rinascimentale erano gli artisti, gli scultori a cimentarsi in queste operazioni di recupero della scultura antica. Nel ‘600 si decide proprio per la grande quantità di lavoro in questo senso, si precisa la figura dello scultore – restauratore; cioè dello scultore che si dedica esclusivamente a questa professione. Questo è avvenuto a Roma in età barocca ma questo per Firenze non è vero nel senso che gli scultori fiorentini di età barocca continuano ad essere scultori ma si occupano di restauro. A Roma invece ci sono dei veri e propri specialisti e a Roma nella metà del ‘600 c’è il primo scritto tecnico e teorico che riguarda appunto il restauro della scultura antica. Si tratta di uno scritto che fu elaborato sia sul piano pratico e la prima esemplificazione di come si fa a restaurare una scultura antica ma anche sul piano teorico potremmo dire che è il “Cennini barocco della scultura”, è il primo testo che ci fa capire come si compivano queste operazioni, qual’erano le modalità tecniche di un modo in cui si restaurava una statua e soprattutto qual’era la base teorica su cui ci si appoggiava. Quindi per tutto il ‘600 fino agli inizi del ‘700 ancora in ambito tardo barocco c’è questa campagna estesissima di restauri integrativi; soltanto che ci sono dal ‘600 in poi gli specialisti che fanno di mestiere il restauratore, cosa che prima abbiamo detto non era. Le cose cominciano a cambiare con la prima età neoclassica con il tardo ‘700, cioè nel tardo ‘700 comincia ad affermarsi un esigenza proprio in relazione alle teorie neoclassiche, ma in relazione soprattutto alla nascita di una materia che è specifica cioè la nascita dell’archeologia che si viene sviluppando dalle idee di un tedesco, Johann Joachim Winckelmann il quale era di cultura tedesca ma di anima italiana nel senso che a condotto la sua vita e le sue scelte in ambito archeologico quasi completamente a Roma. Winckelmann è praticamente il fondatore chiave dell’archeologia nel senso che dà importanza all’oggetto antico, alla statua antica in quanto tale; cioè è il fondatore di una storia dello sviluppo stilistico e quindi una storia dell’arte degli antichi. Proprio perché Winckelmann dà importanza all’aspetto filologico del reperto antico, in questo senso comincia svalutare l’intervento di aggiunta di restauro che fino ad ora si era compiuto. Dunque, l’opera in sé, l’opera frammentaria comincia a vedersi come documento dell’arte antica e come tale viene sempre più a consolidare quell’aspetto, quella cultura archeologica che dà importanza al frammento e non allo stato. Prima però di arrivare al rispetto del frammento antico in quanto tale devono passare ancora circa un secolo e mezzo, si deve arrivare praticamente alla fine dell’ ‘800 e all’inizio del ‘900 perché questa tendenza si affermi e si consolidi. A proposito di questo ci sono degli episodi nel restauro tardo 700ntesco e dei primi dell’ ‘800 che sono emblematici e che riguarda il massimo scultore di età neoclassica che è Canova.

  • Lui riporta gli studi del fratello Taddeo e mette idealmente insieme una galleria delle più famose sculture romane della prima metà del ‘500, cioè il Laocoonte, la figura cariata del Nilo e l’Apollo del Belvedere. Questo per indicarci quale fama avesse avuto questo gruppo. Appena trovato il gruppo poco dopo entrò a far parte delle collezioni pontificie e fu sistemato nel cortile del Belvedere, dove tutt’ora si trovano. Fu quasi indetto una specie di concorso per scultori che volessero cimentarsi nel proporre un’ipotesi di rifare un braccio. Quindi esistono oggi una serie di disegni di piccole dimensioni che ricordano per esempio l’opera di Jacopo Sansovino che fu uno dei giovani artisti che studiò il Laocoonte. A Firenze non appena si diffuse la fama di questo gruppo, fu commissionata una copia al vero cioè delle stesse dimensioni dell’originale allo scultore di corte di quegli anni che praticamente era Baccio Bandinelli. La copia fu commissionata dalla famiglia Medici per regalarla, poi quando l’opera fu compiuta i Medici decisero di tenersela e di portarla a Firenze; Bandinelli aveva eseguito la copia a Roma. Questa scultura è stata per almeno più di un secolo e mezzo è stata nel secondo cortile di Palazzo Medici-Riccardi, era collocata in una nicchia del cortile e tutt’ora esiste e lì stata finché il Palazzo Medici è stato di proprietà dei Medici. Dopo di che quando i Medici hanno venduto il palazzo alla famiglia Riccardi hanno trasferito questa copia agli Uffizi e noi oggi la vediamo alla testata del terzo corridoio. Anche Baccio Bandinelli ha dato una sua interpretazione di come doveva funzionare questo braccio, e lui lo ha ripiegato verso in alto, lo ha volto nella spira e ha dato un’interpretazione più informale e contenutistica. Il braccio del fanciullo che doveva essere morto è in alto, quindi Bandinelli non sembra valutare le notizie storiche, cioè le notizie fornite da Plinio e vede il fanciullo ancora vivo.
  • Questo è un dettaglio del volto della scultura antica, è il volto del Laocoonte che è in assoluto una delle fisionomia più riprodotte dal ‘500 in poi fino ai giorni nostri. Questo volto esprimeva l’intensità del dolore, il pathos con una pregnanza così straordinaria che fu visto come un modello per l’espressione del dolore. Tanto è vero che qui vediamo un disegno splendido veramente di una qualità eccezionale di Raffaello che ci fa vedere una sua interpretazione della testa del Laocoonte. Questo per dire appunto che attirava le attenzioni sull’importanza del Laocoonte come modello per generazioni e generazioni di artisti; il Laocoonte rappresenta il modello dell’espressione della sofferenza. Raffaello non lo fa una copia esatta, ne accentua l’età ma vede un po’ più anziano di quello che si vede nella scultura e lo interpreta con un senso di abbandono al dolore davvero eccezionale e straordinario.
  • E questo rappresenta un altro esempio di come questa testa abbia avuto una fortuna incredibile nel corso del tempo, questa è una copia della testa del Laocoonte che era l’elemento più espressivo, ed è una testa che è attribuita a Gian Lorenzo Bernini cioè il più importante scultore d’età barocca. Naturalmente qui c’è il fatto che le superfici essendo una scultura stata per tanti secoli sotto terra, le superfici sono hanno perso la loro pelle originale ma mentre nel caso di Bernini c’è questa lucidatura delle superfici che è tipica della tecnica scultorea del Bernini.
  • Per arrivare a noi cioè al restauro, il restauro fu compiuto nel ’32 da Giovanni Angelo Montorsoli che era un fiorentino e che fu consigliato come artista – restauratore probabilmente da Michelangelo. Negli anni ’30 Montorsoli è a Roma proprio per farvi fare ……… e quindi proprio in quegli stessi anni compie questa integrazione. In che senso la compie? Aggiunge a questo gruppo il braccio destro del padre in una configurazione, il braccio destro teso verso l’alto, in una configurazione che rimarrà tale fino alla metà del ‘900; cioè questa aggiunta di questo braccio si è intimamente legata pur essendo un braccio moderno e quindi 500ntesco, si è intimamente legata all’immagine di un gruppo e è rimasta tale fino all’età del ‘900. Che significato ha questo gesto? Ci fa capire che il Montorsoli nel dare la soluzione alla posizione del braccio ha scelto di immaginarlo teso in una sorta di lotta, di tensione attiva contro l’avvolgersi del serpente e questo vuol dire che Montorsoli ha visto il Laocoonte che lotta contro il fato, il destino e non è una figura abbandonata col braccio ripiegato al destino stesso ma è una figura che si ribella alla volontà. Quindi è un’interpretazione di questa figura, un’interpretazione rinascimentale del gruppo del Laocoonte che è punito dalle idee dall’aver avvertito i troiani viene assalito dai serpenti e muore. Montorsoli ne dà un’interpretazione che ce lo fa vedere nel momento in cui invece lotta per liberarsi e la tensione del braccio ce lo testimonia, lotta per liberarsi da questo avvolgersi del serpente che tra l’altro lo morde sul fianco sinistro con una testina che anch’essa è una testina di restauro. Anche il Montorsoli interpreta la figura del figlio minore come ancora in vita, ancora in lotta contro questo destino. Per più di due secoli, qui siamo nel ’32 questa scultura è stata esposta sempre nello stesso luogo nel cortile del Belvedere dov’era raccolto proprio la summa delle raccolte pontificie di statuaria classica e ci sono un numero incredibile di disegni di artisti ‘500-‘600-‘700nteschi, di incisioni che documentano lo studio che si faceva su questo prototipo della scultura classica. Tuttavia già dal ‘700 proprio Winckelmann si rende conto esaminando da vicino questa scultura che l’attaccatura del braccio destro del Laocoonte era una forzatura e quindi si rende conto anche dal frammento che c’è sulla testa del Laocoonte, che il braccio non doveva essere steso ma doveva essere ripiegato. Comunque Winckelmann si pronuncia a favore del mantenimento di questa aggiunta rinascimentale.
  • Qui vediamo un’altra incisione molto bella che ci fa vedere il Laocoonte sistemato nella nicchia del cortile del Belvedere, dopo che il Montorsoli lo ha ricompletato secondo la sua idea.
  • Questa è un’immagine che ci documenta la grande diffusione di queste sculture che sono dei modelli universali attraverso le repliche fatte sia in gesso sia in bronzo. Noi capiamo che per fare una replica di grandezza naturale in bronzo di un’opera così complessa sul piano formale era molto complicato per cui sostanzialmente abbiamo un grande numero di bronzetti di piccole dimensioni che appunto ripropongono il modello; ma bronzi a grandezza naturale se lo fece fare solo il re di Francia Francesco I.
  • Qui abbiamo un gesso che abbiamo nel nostro patrimonio di gessi conservato a Firenze, qui bisogna ricordare l’importanza della diffusione dei gessi come modelli per la didattica e infatti i gessi si trovavano e si trovano nelle Accademie. Questo gesso appunto fa parte del dimenticato patrimonio antico dell’Accademia di Belle Arti di Firenze. Oggi ne vediamo soltanto dietro una specie di …….. di legno, dietro al quale è stata messa in salvo dai vandalisti degli studenti dell’Accademia di Belle Arti che sono i soliti scrivere sui gessi. Anche nell’Accademia di Brera, il solenne cortile è circondato da numerosissimi gessi storici cioè antichi, completamente istoriati dalla presenza delle firme degli studenti. Quindi sono situazioni di vandalismo estremo, purtroppo questo aspetto della conservazione del gesso è un interesse soltanto recente. È un gesso della fine del ‘700 e quindi un gesso antico.
  • Qui vediamo il Laocoonte come lo possiamo ammirare oggi nel cortile del Belvedere. Come vediamo è stato tolto il braccio del Montorsoli, cioè l’aggiunta rinascimentale ed è stato applicato sul braccio, su quel moncone che c’era un braccio che casualmente fu rinvenuto nel 1906 in un negozio di rigattiere. Lo ritrovò un antiquario romano molto attento, lo comprò per poco sicuramente e di lì in poi si è innestato quel lungo processo che ha portato a quel restauro di questo elemento, cioè a togliere il restauro 500ntesco e a mettere quello che era il braccio solubilmente originale. Gli altri elementi come il braccio del fanciullo e dei due figli sono stati tolti e oggi vediamo il Laocoonte in questa situazione. Bisogna sottolineare nel caso dei restauri storici che nel ‘900 si è teso a togliere di mezzo le aggiunte antiche per ripristinare le parti originali. Questo è avvenuto nel caso del Laocoonte che era il modello più importante.
  • Questo è un gesso che si trova nel dipartimento di storia dell’arte di Pisa, conservato ed è un gesso che è stato elaborato da un archeologo e che ci mostra un ipotesi di come doveva volgersi completamente il serpente nella situazione originale che appunto viene costruita anche dopo aver inserito il braccio. Tutta questa storia che ci porta dagli anni ’30 del ‘500 fino agli anni ’60 del ‘900, quando il braccio del Montorsoli fu tolto, questa storia ci permette di fare una considerazione sul basamento del fusto e ci permette di riagganciarci sulla storicità delle aggiunte secondo le indicazioni di Brandi. Le aggiunte di importanza storica, consolidata da secoli come erano quelle del Montorsoli sicuramente non avrebbero dovute essere eliminate secondo la visione di Brandi. Ha prevalso in questo caso il significato invece l’aspetto archeologico dell’oggetto e non la sua storia attraverso il suo passaggio attraverso il tempo; cioè l’esigenze di lettura della parte archeologica hanno fatto si che si togliesse di mezzo un aspetto consolidato storicamente della vita dell’oggetto dal ‘500 in poi. Winkelmann si era reso conto ma prima di lui anche altri, si erano resi conto dell’interpretazione errata dell’originale e tuttavia valutavano l’importanza storica di questa aggiunta e quindi si erano pronunciati perché l’aggiunta rimanesse.

Dunque, c’era a Roma un frammento dell’antico che anch’esso è celeberrimo che è il Torso del Belvedere, che rimase a livello di Torso cioè non fu mai sottoposto ad alcuna operazione di restauro, ci sono alcune notizie che riportano a Michelangelo la decisione di lasciare questo frammento nello stato in cui è. Michelangelo stesso nei suoi nudi e nei suoi profeti della volta della cappella Sistina si serve molte volte di questo modello antico e quindi sappiamo che lo conosceva in maniera molto approfondita e si ricollega a lui l’idea di non ricompletarlo. Certamente Michelangelo vedeva in questo frammento così denso nella sua muscolatura una manifestazione di forza fisica, guardiamo questo possente torace; una forza fisica che non aveva bisogno di essere completata per manifestarsi pienamente.

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