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Caso Englaro: cosa ne pensava Montanelli

Post n°305 pubblicato il 12 Febbraio 2009 da rainal4

Dall'archivio storico del corriere traggo questa  risposta di Montanelli alla missiva di una lettrice (che aveva conosciuto il padre di Eluana) e che dimostra come persino un conservatore talvolta ottuso come era il vecchio Indro fosse di posizioni più laiche ed avanzate dei destrorsi attuali.

Gli arzigògoli e la pubblica coscienza

Caro Montanelli, Mi chiamo Alessandra, ho 25 anni e sono una dottoranda di ricerca della facoltà di Sociologia di Roma. Un giorno, guardando la tv sono stata particolarmente colpita dal signor Beppino Englaro, padre di Eluana, una giovane ragazza ventinovenne che è in stato vegetativo permanente da 9 anni e per la quale si combatte in attesa di una interruzione del trattamento che «tiene in vita la sua morte corticale». Parto e vado a Lecco. Incontro una splendida persona, il signor Englaro. La figlia non ha potere decisionale, visto che la sua «morte corticale» non le consente di essere in vita dal 1992. Il padre, qualche anno fa, si è fatto tutore della figlia per procedere, legalmente, all' interruzione dell' alimentazione nasogastrica. Ogni tentativo è stato un palese fallimento burocratico. Beppino Englaro mi ha chiesto esplicitamente perché non gli consentono di realizzare i «voleri» della figlia e perché lei, sempre così attento a tutte le dinamiche sociali, non si è mai occupato del suo caso. Indubbiamente lei non può star dietro a tutto ciò che succede nel mondo, ma mi sono sentita in dovere di parlarle, di raccontarle un fatto di banale cronaca che in Italia, ogni anno, colpisce circa 1.500 persone. Alessandra Sannella, Roma

 

Cara Alessandra, Naturalmente non conoscevo questo caso, di cui nessuno mi aveva mai parlato. E un poco esso mi sorprende perché dagli ultimi sondaggi che sono stati diffusi anche dalla televisione risulterebbe che, su dieci medici consultati, quattro hanno confessato, pur senza fare il proprio nome, di aver «aiutato» qualche paziente che glielo chiedeva a procurarsi la cosiddetta «morte dolce», cioè una morte senza sofferenze. Mi auguro che uno di questi si faccia vivo col signor Ogliaro che, in una piccola città come Lecco, dovrebbe essere abbastanza facilmente reperibile. I tempi infatti sono cambiati da quando - e non sono passati che pochi anni - il medico fiorentino Conciani, che mi dispiace di non aver mai conosciuto, fu cacciato dall' Ordine dei Medici perché aveva pubblicamente dichiarato di aver praticato, senza parcella, la «dolce morte» ai pazienti che, giunti allo stato terminale, gliela chiedevano. Io gli darei la medaglia d' oro alla memoria, ma riconosco ch' egli aveva commesso l' errore di anticipare troppo i tempi di un simile atteggiamento che solo ora comincia a diventare plausibile, se è vero - come sembra - che il sondaggio cui ho fatto cenno avrebbe appurato anche un' altra fondamentale cosa: che l' ottanta per cento dei comuni cittadini interpellati su questo argomento, si sono dichiarati favorevoli, nei casi di stadio terminale, e specialmente se su richiesta del paziente, alla pratica della «dolce morte», o almeno alla sospensione delle cure. Questo implica un' evoluzione della pubblica coscienza cui il legislatore non potrà a lungo opporsi. Bocciando il Parlamento olandese che alza il disco verde all' introduzione - sia pure con le debite e giuste cautele e garanzie - dell' eutanasia, l' Europa boccia se stessa, e dal vagone di avanguardia passa a quello di retroguardia. Lo dimostra la povertà degli argomenti che sono stati e vengono tuttora addotti per sbarrare il passo a questa conquista di civiltà. Primo: l' offesa alla sacralità della vita. Mi chiedo cosa possa esserci di sacro nella «morte corticale» (così la chiamano i medici) di una persona che dal 1992 di vita non dà più alcun segno, incapace d' intendere e di volere, e a cui la Scienza deve contentarsi d' impedire di morire. Secondo: l' offesa alla dignità dell' uomo. Ma come!? Riconoscere all' uomo il diritto di scegliere il come e il quando della propria morte, significa lederne la dignità? A me sembra esattamente il contrario. Terzo (e mi dispiace che questo argomento sia stato sostenuto da un Prelato che stimo e che amo come un fratello: il Cardinale Tonini): se lo Stato concede al medico la facoltà di propinare la morte, in realtà la riserva a se stesso identificandosi col Tiranno che nei tempi bui della Storia decideva la sorte degli uomini alzando o abbassando il pollice. Un argomento che mi sembra equivalere a quello di chi pretenderebbe assimilare la «dolce morte» ai forni crematori di Hitler, il quale ci mandava milioni di disgraziati che non avevano nessuna voglia né motivo di andarci. Nessuno di questi arzigògoli risponde alla elementare domanda che sta alla base di questo problema: «È giusto, è umano, è sacro condannare un infermo senza speranza di guarigione o di miglioramento, a sofferenze fisiche e morali superiori alla sua forza di sopportazione?». Risponda a questa domanda, la Chiesa, se non vuol perdere contatto con la pubblica coscienza, sulla quale gli arzigògoli non fanno presa.

Da "La stanza di Montanelli, lettere e idee" (4 dicembre 2000) - Corriere della Sera

 
 
 
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