Charlierìedel tappeto sbattuto in sull'uscio |
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dodici anniAvevo dodici anni quell’estate. Un estate indimenticabile. L’estate in cui Paola se n’e’ andata via. Paola, l’amica di sempre, da quando ero arrivata con mamma e papa’ dalla citta’, sconosciuta in un microcosmo dove tutti si conoscevano, si salutavano, sapevano chi era figlio nipote genitore nonno di chi, dove abitava il postino, il lattaio, il giornalaio. Paola con cui ci riempivamo i diari di sdolcinate rime, "il mare e’ blu e chi mi piace sei tu" - "il cuore e’ rosso ti voglio un bene che di piu’ non posso." Con cui in religioso silenzio aprivamo le bustine di figurine di Remy, immusonendoci quando quella che mancava, proprio quella, non la si trovava neanche stavolta. Con cui girovagavamo per le vie assolate con le orecchie frementi in attesa di sentir lo scoppiettio del motorino di Marco o Giancarlo, che erano principi azzurri con destrieri rombanti ignari delle principesse bramose per un loro sguardo, un loro cenno “oh mamma se mi guarda svengo” “no no e poi no io la prossima volta gli dico ciao eh”. Paola con cui ci bisbigliavamo ma a baciarsi cosa si sente? Ma il naso da che parte va, di qua o di la’? E lui come fa a sapere dove lo metto io sto naso? E allora ci andavamo a nascondere nel giardino dietro casa e ci baciavamo noi. Con gli occhi aperti perche’ bisognava capire bene le mosse da fare. E dopo ci guardavamo perplesse, “cioe’ tutto qui?” “Vabbe’ ma magari con un maschio e’ diverso.” “Eh si’ mi sa di si’.” “Boh.” Paola con cui a scuola si aspettava che suonasse la campanella per poter sfrecciare in bici dagli altri a giocare a bilie, a nascondino, a palla prigioniera. A litigare perche’ la focaccia io te l’ho regalata ieri e oggi tu non mi hai dato il Buondi’. A ridere perche’ quella la’ c’ha sempre su le scarpe da tennis verdi, ma si puo’? Che ormai bisogna averle tutte di colori diversi. Paola con cui si studiava testa bassa tutto ben benino, ci si interrogava a vicenda e poi via sul divano davanti alla tivu’ per il telefilm di turno “dai non fare la scema che senno’ non vedo la sigla di Starsky & Hutch” “tanto a me mi piacciono i Jefferson. “ Ma quel giorno no. In quel giugno ‘81 non e’ andata cosi’. Alla tivu’ non ci sarebbero stati telefilm o intrattenimenti vari, no. C’era il destino imponderabile ed inesorabile, la realta’ impensabile e sconvolgente, c’era la lacerante messa in scena del dolore, della paura, del terrore. Una piccola innocente vita che scivolava giu’ in un pozzo senza luce, in lunghi agghiaccianti istanti di un beffardo caso, fra gli sforzi comuni tesi all’impossibile salvezza, l’umanita’ degli sguardi lucidi di lacrime sofferte, stremate, vere. Quella sera in cui sentimmo la flebile vocina che chiedeva della mamma, Paola ed io non ci guardammo neanche, eravamo unite, unite non solo fra noi, ma anche a tutti quelli che in quel giorno erano, come noi, appesi nel buio, appesi ad una speranza, appesi ad una manina. La forza della cooperazione, della civilta’, della solidarieta’, dell’empatia, la durezza del silenzio, del sudore, dell’impotenza umana di fronte all’ineluttabilita’ della vita, tutto in quel giorno servi’ per dimenticare l’innocenza della nostra infanzia, per sciogliere la spensieratezza che ancora ci proteggeva, per aprire i nostri occhi al mondo sconosciuto dell’uomo, cosi’ incomprensibile poche ore prima e ora cosi’ chiaro, drammatico. Paola parti’ alla fine di quell’estate, non la rividi piu’. P.S.: questo post partecipa al gioco letterario Come Eravamo. Per chi volesse saperne di piu', il gioco e' stato lanciato da Falco58. Visitatelo! :) |
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L'autoritratto l'ho fatto io.
Le foto accanto al titolo è di Andy Bell e quella in fondo alla pagina sul sito del National Geographic.
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