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GLADIO... E LA DOPPIA VITA DI ROBERTO DOTTI. 

Post n°100 pubblicato il 16 Giugno 2006 da francois007
Foto di Mi.st.eri

25 maggio 2001 – Un ex bierre racconta. Di un "compagno" della prima ora. E di un anticomunista e golpista. Scoperta: sono la stessa persona
“Chi è Roberto Dotti? Che cosa faceva a Milano nei primi anni Settanta? E come mai oggi può far riscrivere un capitolo della storia delle Brigate rosse? Per rispondere a queste domande è necessario raccontare una vicenda intricata in cui i Martini cocktail si shakerano con i cocktail Molotov e il rosso di mischia con il nero.  Nel 1970 Roberto Dotti era il direttore della Terrazza Martini di Milano, il bar all'ultimo piano del grattacielo di piazza Diaz da cui è possibile sorseggiare un ottimo Dry Martini guardando in faccia i santi e i grifoni delle guglie del Duomo. Luogo di incontri, appuntamenti, presentazioni, convegni e conferenze stampa. Anche negli anni Settanta, che stavano diventando anni di piombo. Dotti veniva da Torino, dove era impiegato della Martini & Rossi che lo mandò, appunto, a Milano, a dirigere la più prestigiosa delle Terrazze del gruppo. Ma Dotti aveva una lunga storia alle spalle. Comunista, nel dopoguerra era diventato capo dell'ufficio quadri del Pci torinese.La polizia lo sospettò di essere l'autore di un omicidio: quello di Erio Codecà - dirigente Fiat e uomo-simbolo della repressione antioperaia di Valletta - ucciso dai partigiani comunisti. Appena sentì il fiato della Questura sul collo, Dotti cambiò aria: fuggì nella Cecoslovacchia rossa. Tornò quando le acque si erano calmate. Poi, alle soglie degli anni Settanta, Dotti sembrava un altro uomo: fu assunto dalla Martini & Rossi e, elegante nel suo doppiopetto scuro, riceveva con stile impeccabile i più importanti tra gli ospiti della Terrazza Martini. Ma qui è d'obbligo registrare il primo colpo di scena. Me ne parla Alberto Franceschini, che nei primi anni Settanta era impegnato in prima persona nei gruppi politici da cui nasceranno le Brigate rosse.

ATTO PRIMO: DOTTI, AMICO DELLE BRIGATE ROSSE. Erano anni di grandi lotte sociali e di forti movimenti. A Milano c'era anche Sinistra proletaria, c'era il Collettivo politico metropolitano: i gruppi più estremi, dove si apre il dibattito sull'opportunità di passare alla lotta armata. I personaggi più in vista si chiamavano Renato Curcio, Mara Cagol.C'era anche Corrado Simioni, con un suo gruppo di fedelissimi. Poi le loro strade si divideranno: Curcio fonderà le Brigate rosse; Simioni e il suo gruppo, invece, saranno chiamati il Superclan, poi ripareranno a Parigi, dove daranno vita alla scuola Hyperion. "Ma quando eravamo ancora un gruppo indistinto", ricorda Franceschini, "Simioni ci disse che a Milano c'era una persona di sua assoluta fiducia su cui potevamo contare per le cose importanti, per i soldi, per le questioni logistiche. Un compagno che aveva combattuto la guerra partigiana, che era diventato un dirigente del Pci, che poi era entrato in conflitto con la linea rinunciataria di Togliatti e se n'era andato per qualche anno in Cecoslovacchia. Quell'uomo era Roberto Dotti". È Mara Cagol a tenere i rapporti con Simioni ed è a lei che il leader del Superclan consiglia di incontrare Dotti. Mara lo incontrò, effettivamente, più d'una volta. Poi i rapporti tra i futuri brigatisti e il Superclan (con cui militò, per qualche tempo, anche Mario Moretti, prima di tornare con il gruppo di Curcio) si deteriorarono e si interruppero anche i contatti tra Mara Cagol e Dotti. Le Br iniziarono la lotta armata. Ma a questo punto accade il secondo colpo di scena.

ATTO SECONDO: MA CHE STRANO, QUESTO DOTTI... Nel 1974 le Brigate rosse compiono la loro prima azione clamorosa: sequestrano il giudice Mario Sossi. Lo consideranoil gesto di punta della loro campagna contro il "progetto neogollista", contro la voglia di Repubblica presidenziale che sentono serpeggiare nel Paese. Nel quadro di questa loro campagna, durante il sequestro Sossi compiono due incursioni armate, nelle sedi di due organismi che ritengono centrali strategiche del "progetto neogollista": a Torino, il Centro Sturzo; a Milano, il Comitato di resistenza democratica. Quest'ultimo, in via Guicciardini, è l'ufficio milanese di Edgardo Sogno, che effettivamente stava lavorando per la Repubblica presidenziale, anzi stava organizzando un colpo di Stato che avrebbe dovuto scattare nell'agosto del 1974. I brigatisti che il 2 maggio di quell'anno assaltano la sede di Sogno non sanno che i progetti di golpe erano così avanzati. Portano via tutti i documenti che trovano negli uffici, tra cui i materiali di un convegno sulla "riforma dello Stato" tenuto a Firenze e un elenco di duemila nomi di amici e sostenitori di Sogno. Ma, tra tante carte, è un piccolo ritaglio - rivela oggi Franceschini - che incuriosisce più d'ogni altra cosa Mara Cagol e i brigatisti: un innocuo necrologio, firmato da Sogno, in occasione della morte di un certo Roberto Dotti. Roberto Dotti? Ma non si chiamava Roberto Dotti il "compagno", "uscito da sinistra dal Pci", che nel 1970 Simioni aveva consigliato come punto di riferimento per le cose importanti a Mara Cagol? "Ne parlammo stupiti, Mara e io", racconta Franceschini. "Non sapevamo che cosa pensare. Del resto ci sembrava impossibile che Sogno avesse firmato un necrologio per il compagno comunista che ci era stato presentato da Simioni". Comunque, Franceschini un atto per togliersi ogni dubbio lo compie: di notte si reca nel cimitero milanese dove è sepolto Dotti, scavalca il muro di cinta, individua la tomba del "compagno" e scalza la fotografia di ceramica incastonata nel marmo. Poi la porta a Mara, che Dotti lo aveva visto di persona: è lui? è la stessa persona incontrata qualche anno prima a Milano con Corrado Simioni? Mara non scioglie il dubbio: non riesce a sovrapporre con certezza quella foto marroncina e il ricordo della faccia di Dotti. Ma questo non è certamente il problema più importante che i brigatisti hanno: Franceschini viene arrestato di lì a poco, nel settembre del 1974. Mara Cagol il 5 giugno 1975 muore in uno scontro a fuoco con i carabinieri alla cascina Spiotta, nei pressi di Acqui Terme. Di quella foto rubata al cimitero rimane solo una traccia nelle carte processuali firmate da un magistrato torinese, uno stupìto Gian Carlo Caselli: "Assai singolare la presenza, tra il materiale asportato al Comitato di resistenza democratica", e poi rinvenuto nel covo brigatista di Robbiano di Mediglia, "di una fotografia di Dotti Roberto tolta dalla tomba di lui". La storia delle Brigate rosse continua, fino alla loro sconfitta militare e politica.Quel piccolo dubbio è dimenticato, sepolto da tanti altri grandi dubbi e problemi. Bisogna aspettare più di 25 anni per assistere al terzo colpo di scena di questa storia.

ATTO TERZO: DOTTI, L'ANTICOMUNISTA. Alberto Franceschini ha un sobbalzo, mentre legge il testamento di Edgardo Sogno raccolto da Aldo Cazzullo. "A Praga era finito Roberto Dotti, capo dell'ufficio quadri del Pci torinese, sospettato dalla polizia per l'assassinio del dirigente Fiat Erio Codecà, ucciso da partigiani comunisti che disapprovavano la politica moderata di Togliatti (...).Quando tornò dalla Cecoslovacchia, Dotti era un uomo bruciato per il partito.E cominciò a collaborare a Pace e libertà". Dunque l'uomo di fiducia di Simioni era lo stesso del necrologio di Sogno: anzi, Roberto Dotti aveva cominciato a lavorare per l'organizzazione anticomunista di Sogno, Pace e libertà (finanziata con i fondi riservati dei servizi segreti, degli americani e della Fiat), già nella seconda parte degli anni Cinquanta, sostituendo Luigi Cavallo dopo che questi aveva litigato con Sogno. Pagina 110 del Testamento di Sogno: "Di Dotti mi parlò Pietro Rachetto, socialista, partigiano in Val di Susa, dirigente di Pace e libertà a Torino. Rachetto aveva aiutato Dotti a fuggire a Praga.Al suo ritorno in Italia, me lo indicò come sostituto di Cavallo.Dotti lavorò con me fino alla chiusura di Pace e libertà, nel 1958.Poi gli trovai una sistemazione grazie al mio vecchio amico Adriano Olivetti (...).Quando tornai dalla Birmania per fare politica, nel 1970, Dotti lavorava alla Martini & Rossi - era il direttore della Terrazza Martini di Milano - e guadagnava un milione al mese. Si licenziò e venne da me, a guadagnare la metà". Ad Alberto Franceschini ora il dubbio su Dotti è passato. Dopo glien'è cresciuto dentro un altro: da che parte stava Corrado Simioni? e gli apparati dello Stato, gli uomini della guerra segreta contro il comunismo, come hanno assistito alla nascita delle Brigate rosse?”

 
 
 
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