Mi fermo all'uscita della stazione centrale. Un venticello leggero mi accarezza il viso, come a darmi il benvenuto nella città nuova. La visione che appare ai miei occhi è meravigliosa: c'è il mondo intero raccolto da alti palazzi, i quali paiono braccia di una madre premurosa. Scorgo in lontananza una piazzetta: è gremita di gente assiepata sotto lo sguardo fiero di Giuseppe Garibaldi, l'eroe dei due mondi che tanto ha fatto (nel bene e nel male, giudicate voi) per questa terra. A sinistra, una libreria baciata dalla luce del tramonto settembrino. Questa visione è rallegrante, non so perché.
Mi incammino verso uno stretto marciapiede affollato da innumerevoli mercatini e bancarelle ricche di cianfrusaglie e oggetti astratti. Ma di certo non potevano mancare le magliette di Maradona, i quadretti di Totò e i portachiavi di Eduardo. Passeggio lentamente, cercando di trattenere tutti i colori e gli odori che mi circondano. Un gruppetto di ragazzini entusiasti mi passa a fianco, e isolando l'udito dai fracassi dei cantieri della parte opposta, ascolto le loro urla di gioia: "O' Napule ha vinto! O' Napule ha vinto!".
Sorrido.
Proseguo lungo la strada; all'angolo di quest'ultima, ci sono le fermate dei bus e dei tram. Continuo a piedi. Attraversando la piazzetta intravista all'uscita della stazione, posso analizzarne i dettagli: Garibaldi sta lì in alto, impavido, conscio delle sue imprese, issato a proteggere la sua gente. Le persone sedute ai piedi della statua, paonazze, si dissetano, mentre alcuni barboni preferiscono dormire sulle panchine adiacenti.
Giungo al principio di un'enorme via. Tra la polvere riesco a decifrare il messaggio dell'insegna: "Corso Umberto I", così c'è scritto. Parole sbiadite, le quali rimandano al passare dei secoli.
Napoli millenaria.
Fissando l'orizzonte riesco a sentire le pulsazioni dei quartieri all'unisono con il mio cuore; ormai sono parte di te. Il traffico e lo smog si miscelano ai colori tenui del calar del sole. Avanzo, non tralasciando nulla di tutta quella diversità, di quella contraddizione che in ogni centimetro vive. Una coppia di turisti è intenta a leggere la storia di una vecchia chiesetta di pietra e muffa, assorta nell'incanto. La loro concentrazione viene interrotta da un motorino il quale sfreccia a tutta velocità sulla corsia di sorpasso. Lo scugnizzo che lo guida avrà avuto tredici o quattordici anni, ma sembra tuttavia spavaldo quando una bellissima ragazza dalla pelle mediterranea e dai capelli corvini attraversa le strisce pedonali facendolo rallentare. L'intimidita fanciulla affretta il passo e attraversa la carreggiata a testa china.
Poco più in là, sull'altra sponda dello stradone, un gruppo di anziane signore fa la fila. C'è chi fuma, chi inciucia e chi attende il proprio turno per giocare i numeri sognati la notte scorsa.
Napoli superstiziosa.
In prossimità della fine del corso, due leoni posti ai margini di una scalinata bianca, ricordano al mio animo di essere davanti all'università: prima laica in Europa, con una storia ed un vanto secolare, culla della cultura europea. Con Federico II di Svevia il sapere diventa di tutti; delle strade pubbliche, delle piazze, dei giardini, delle rive mediterranee e della cima vesuviana. Qui puoi sederti con D'Aquino o Bruno, puoi leggere di Vico e incontrare Benedetto Croce.
Controllo l'orologio. È inceppato, quasi a convincermi che il tempo non conta in una città così.
Napoli surreale.
Giro a destra. Alla fine di una lunga salita rallento il passo. Ma non posso credere ai miei occhi: dinanzi a me un piccolo villaggio di bar, rosticcerie fumanti, piccoli negozietti cinti da decine e decine di persone felici, che parlano, cantano, ridono. Sarebbe impossibile non fermarsi a prendere un caffè. Così mi siedo e sono felice, felice come un bambino con il suo giocattolo. Che delizia sorseggiare il buon caffè, ascoltando le musiche degli artisti di strada ed è paradisiaco essere attratti dai profumi delle sfogliatelle e dei babbà. Poi concentro la vista su qualcosa di unico: un edificio che ha una faccia formata da porte e finestre. In quale altro luogo si può essere così geniali?
Uscito dal locale volto a sinistra e lungo un vicolo dissestato penso che non esista un posto al mondo uguale a Napoli, una metropoli antica, che ovunque ti giri trovi arte e poesia; un Pulcinella bastonato da tante difficoltà, affrontate sempre e comunque col sorriso stampato in viso; sarcasmo e ironia anche nei masanielli e nella monnezza.
Napoli casa mia.
Il canarino e l'arancio lasciano posto ad un cielo porpora con tinte di blu, e come d'incanto il percorso si illumina di luci artificiali, a ricordarmi che qui è sempre natale.
Passo dopo passo scopro che qui ha vissuto Boccaccio, mentre lì ha studiato Petrarca. Quella bella statua ricoperta dai graffiti, invece, appartiene all'epoca ellenistica e in quella chiesa ogni anno si compie un miracolo che scatena l'euforia generale.
Perché ti disprezzano?
Non ti conoscono abbastanza; Ma a nuje cà ce ne fotte?
Ora sono in una grande piazza in cui un alto obelisco sovrasta il resto delle cose. A destra, una chiesa funge da cornice. L'Immacolata posta in cima all'obelisco mi rimanda col pensiero alla statua di Garibaldi incontrata all'inizio del viaggio, pronta a soccorrere chiunque ne abbia bisogno.
Faccio mente locale: rammento a me stesso che sono qui per una ragione.
Un passante mi indica gentilmente la strada da seguire, e sono lì, ad imboccare l'ennesimo vicoletto angusto, il quale conduce nei pressi di un vasto incrocio trafficato. Devo andare avanti, ma per inerzia guardo in alto: poco al di là di un antico palazzo dell'800, uno stormo di uccelli svolazza liberamente alla ricerca di una rotta da seguire. E nell'istante in cui sono in procinto di attraversare l'incrocio, i volatili cominciano a tracciarmi il cammino, come una guida, un lume nelle oscure vie partenopee.
Sono qui per me. Vanno dove vado io.
Li seguo. La stanchezza non mi pesa; bevo un po' d'acqua. Continuo a seguirli. Lungo un corso pieno di negozi chic e scarpari cortesi; su di una scalinata sporca; in un quartiere malfamato. Ma sono tranquillo. Ho la mia guida. Sono nella mia città.
Napoli premurosa.
Lo stormo mi sorprende: Piazza del Plebiscito è lì a fissarmi e non so come. Ormai è buio, ma posso ancora ammirarne le peculiarità: è ampia, più di quanto immaginassi. Carlo III e Ferdinando I, cavalcano fieri, poiché la dinastia borbonica risplende nuovamente. Dietro di loro, decine di colonne bianche schierate ad arco, introducono una stupenda basilica. All'estremità opposta del Plebiscito, il palazzo reale: inerme, di un rosa tenue unito al grigio, espone all'esterno i busti dei sovrani di Napoli, da Ruggero il Normanno a Vittorio Emanuele.
Sei stata capitale di un regno prospero e universale.
Ritorno a guardare il cielo. Con difficoltà intravedo gli uccelli: sono così lontani da me, tuttavia così vicini all'obiettivo, alla terra promessa.
Comincio a correre. Li inseguo. Corro. Sempre più veloce. Sempre di più. Ho il cuore in gola e il sudore che mi cola dalla fronte. Non li perderò! Forse li raggiungo. Sì, sono lì ad un passo, riesco a vederli chiaramente. Forza, ce la faccio! Forza! Forza!
Reggo il peso del corpo appoggiando le mani sulle ginocchia.
L'affanno comincia a placarsi.
Cerco di ritrovare la concentrazione.
Ecco, ora sto un po' meglio.
Qualcosa mi solletica i timpani: è lo sciabordio delle onde.
E allora capisco. Ogni cosa ora ha senso.
Finalmente mi spiego i ricorrenti sogni di una città fantastica, un luogo perfetto nelle sue molteplici imperfezioni, dove si sta bene e basta. Comprendo effettivamente cos'erano tutte quelle avvisaglie premonitrici di un viaggio senza precisa meta. L'istinto è stato così buono a portarmi qui!
Mi risollevo: ora non c'è più sudore; niente fatica né affanno. Mi sento libero, immortale!
Da Sorrento a Posillipo, un unico abbraccio che dal mare finisce a Napoli. E io ne faccio parte, ne sono protagonista. Le luci delle stelle risplendono sulla tela oscura della notte, come dipinte dal Caravaggio. Le case lontane assistono allo spettacolo a mo' di lucciole. Il Vesuvio dormiente è un signore zelante.
L'avevo bramato. Niente è stato lasciato al caso.
Scavalco un piccolo muretto che limita la strada dalle scogliere per essere più vicino. Infine mi siedo su una roccia a fissarlo. Fisso l'infinito mare. È molto meglio di quanto immaginassi. Ripenso a tutto ciò che ho passato per essere qui per far parte di tutto questo. Rivedo la metamorfosi di un ragazzo che man mano diviene parte integrante di un posto sacro, di un piccolo miracolo.
Per il posto più bello del mondo.
Ma forse è riduttivo definirlo così.
Perché è il paradiso in terra; è la cura dall'ipocondria; la salvezza dell'anima; la pace dei sensi. Non sono mai stato così sereno in vita mia.
Sento il cinguettio dello stormo in mare aperto. Non posso vederli, è troppo buio, ma so che sono loro, la mia guida, perché sono parte integrante del sublime.
Una lacrima mi attraversa il viso.
Napoli, ora posso anche morire.
Shade