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IL MURO

Post n°41 pubblicato il 06 Aprile 2009 da hjsimpson116

Ero seduto sulla banchina del porto e guardavo le navi partire. Quanto mi sarebbe piaciuto salire su una di quelle navi e andare via, in qualche posto lontano e dimenticato da dio.

La mia vita era un casino. Non riuscivo a tenere un lavoro per più di due mesi e non me ne andava bene una. Fortunatamente mi mantenevo spacciando erba e fumo ma ero negato per il commercio, qualsiaisi tipo di commercio, e, nonstante tutti i rischi che correvo, non portavo a casa abbastanza per vivere decentemente.

Quando la mia vita diventava veramente insostenibile, quando qualcuno mi fregava in qualche affare andato male, quando mi licenziavano dall’ennesimo lavoro o quando mollavo l’ennesima fidanzata, venivo qui, al porto, a guardare le navi partire e a immaginarmi a bordo, a solcare i mari e gli oceani verso Paesi esotici, caldi e accoglienti.

Poi però sapevo che non l’avrei fatto, che non avrei mai avuto il coraggio di mollare tutto e andare liberamente verso l’ignoto. “Se niente hai mai funzionato per me qui dove conosco la gente e il modo in cui funzionano le cose – pensavo - come potrei mai credere di aver maggior fortuna in un posto dove non conosco niente e nessuno? Non era un discorso insensato eppure l’idea di andarmene via era onnipresente nella mia mente.

Poi c’era anche il discorso dei soldi. Non avevo una lira se non quello che mi serviva per sopravvivere di giorno in giorno. Non avevo mai capito come tante persone riuscissero a vivere per mesi e anni vagando da un Paese all’altro senza soldi. Un posto dove dormire tutte le notti e qualcosa da mangiare tutti i giorni sono già spese importanti, a prescindere da dove ti trovi, senza contare i costi di trasporto e spostamenti vari, svaghi e uscite serali. Cioè, che senso avrebbe avuto andare a vivere in un posto esotico se poi uno non poteva neanche godersi la vita?

Così mi limitavo a guardare le navi e a sognare. Come facevo con tante altre cose nella vita. Anche le donne, più spesso che no, mi limitavo a guardarle e a sognare di farmele. Oppure facevo finta che il mio lavoro fosse esattamente quello che avrei voluto fare o che la casa in cui vivevo in affitto fosse esattamente quella che avrei voluto. Nella mia mente la mia vita era perfetta e fintanto che riuscivo a manterenere viva quest’illusione tutto andava bene. Ma ogni tanto facevo qualche cazzata che mi costringeva a guardare in faccia la realtà, mia e del mondo intorno a me, e tutto crollava inesorabilmente al suolo, mettendo a nudo lo squallore della realtà e la mia insoddisfazione.

In quei momenti venivo qui al porto guardare le navi e a sognare. Poi dicevo a me stesso che sognare non serve a nulla e piano piano, mattone per mattone, riuscivo a ricostruire il muro intorno a me che mi permetteva di andare avanti a vivere la mia vita, chiudendomi nel mio guscio per non trovarmi esposto alle intemperie sociali e mentali.

Tutti abbiamo un muro intorno. C’è chi se lo costruisce con una famiglia, chi se lo costruisce con il lavoro e chi con gli amici e le uscite serali. C’è chi se ne costruisce uno fatto di hobby e passioni e chi se lo costruisce con la lettura, con l’intrattenimento o con lo studio. Alcuni muri sono più solidi di altri, alcuni sono più colorati e piacevoli da abitare ma sono tutti muri e i muri sono prigioni. Dentro alle nostre prigioni siamo nudi e deboli. Se mai dovessimo uscirne non avremmo la più pallida idea di come comportarci.

Per questo venivo a guardare le navi che salpavano. Prendere una di quelle navi sarebbe stato come evadere dalla prigione e salpare verso la libertà. Andare lontano prima che le guardie carcerarie della mia mente mi riacciuffassero. Imbarcato su una nave mercantile, senza nessuna possibilità di tornare indietro, non mi avrebbero mai raggiunto e sarei stato davvero libero per la prima volta nella mia vita.

Quel giorno decisi che l’avrei fatto. Avrei preso la prima nave destinata in qualche porto del Sud America e mi sarei arruolato nell’equipaggio. Senza un soldo e senza un piano. Senza una direzione precisa e senza uno scopo, senza alcun aiuto e soprattutto senza un muro intorno se non l’oceano infinito.

Andai nell’ufficio della capitaneria di porto a chiedere informazioni. Mi dissero che c’era una nave, la Mistral, che sarebbe partita nelle prossime due settimane, direzione Santiago, Cile. Mi diedero le informazioni necessarie per contattare la socità che si sarebbe occupata di gestire il cargo e l’equipaggio. Due giorni dopo ero arruolato.

Regalai le poche cose di valore che avevo ai miei vicini di casa. Un televisore, l’impianto hi-fi, i miei dvd. Il computer portatile e la macchina fotografica le misi in valigia insieme ad alcuni vestiti. Tutto il resto lo abbandonai lì, così come abbandonai l’appartamento senza preoccuparmi di riavere indietro i soldi della cauzione.

La mia vita finiva quel giorno e non ci sarebbe più stato ritorno. Ne ero certo, non ero mai stato così certo di nulla in vita mia. D’altra parte è facile essere certi dell’ignoto. L’ignoto può essere qualsiasi cosa e quando uno ha un’immaginazione fervida e convincente come la mia l’ignoto può assumere colori e forme stupende. Già mi vedevo in qualche paesino sperduto in riva al mare. Con un cannone fatto con l’erba che cresceva rigogliosa e libera tra le colline cilene. Mi immaginavo felice con gente che mi accettava senza riserve, libera come me dai vincoli e dalle catene – e dai muri - della società.

Mi imbarcai e non mi voltai mai indietro. Appena la terraferma sparì sotto la linea dell’orizzonte una sensazione incredibile mi travolse. Mi sentivo allo stesso tempo perso e felice, libero e allo sbando. Avevo fatto la cosa giusta. Forse la più irresponsabile secondo i canoni della società di oggi ma sicuramente la più giusta.

E poi la società di oggi dovrebbe essere l’ultima a parlare di responsabilità dopo quello che hanno combinato quelle che dovevano essere le istitutizioni più “responsabili” di tutte, le banche e i governi. Sono state responsabili eccome: responsabili della distruzione della vita di milioni di persone. Ma a me tutto questo, tutte queste preoccupazioni materiali non importavano più: ero libero, anche se avrei fatto lo sguattero su una nave mercantile per due mesi ero finalmente, veramente, libero.

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