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Confessioni di un teppista - Sergej Aleksandrovic Esenin

Post n°36 pubblicato il 14 Agosto 2015 da paolof2014

 

CONFESSIONE DI UN TEPPISTA

(Sergej Alexsandrovic Esenin)

 

Non tutti son capaci di cantare

 

E non a tutti è dato di cadere

 

Come una mela, verso i piedi altrui.

 

 

 

È questa la più grande confessione

 

Che mai teppista possa confidarvi.

 

 

 

Io porto di mia voglia spettinata la testa,

 

Lume a petrolio sopra le mie spalle.

 

Mi piace nella tenebra schiarire

 

Lo spoglio autunno delle anime vostre;

 

E piace a me che mi volino contro

 

I sassi dell'ingiuria,

 

Grandine di eruttante temporale.

 

Solo più forte stringo fra le mani

 

L'ondulata mia bolla dei capelli.

 

 

 

È benefico allora ricordare

 

Il rauco ontano e l'erbeggiante stagno,

 

E che mi vivono da qualche parte

 

Padre e madre, infischiandosi del tutto

 

Dei miei versi, e che loro son caro

 

Come il campo e la carne, e quella pioggia fina

 

Che a primavera fa morbido il grano verde.

 

Per ogni grido che voi mi scagliate

 

Coi forconi verrebbero a scannarvi.

 

 

 

Poveri, poveri miei contadini!

 

Certo non siete diventati belli,

 

E Iddio temete e degli acquitrini le viscere.

 

 

 

Capiste almeno

 

Che vostro figlio in Russia

 

È fra i poeti il più grande!

 

Non si gelava il cuore a voi per lui,

 

Scalzo nelle pozzanghere d'autunno?

 

Adesso va girando egli in cilindro

 

E portando le scarpe di vernice.

 

 

 

Ma vive in lui la primigenia impronta

 

Del monello campagnolo.

 

Ad ogni mucca effigiata

 

Sopra le insegne di macelleria

 

Si inchina da lontano.

 

Ed incontrando in piazza i vetturini

 

Ricorda l'odore del letame sui campi,

 

Pronto, come uno strascico nuziale,

 

A reggere la coda dei cavalli.

 

 

 

Amo la patria. Amo molto la patria!

 

Pur con la sua tristezza di rugginoso salice.

 

Mi son gradevoli i grugni insudiciati dei porci,

 

E nel silenzio notturno l'argentina voce dei rospi.

 

Teneramente malato di memorie infantili

 

Sogno la nebbia e l'umido delle sere d'aprile.

 

Come a scaldarsi al rogo dell'aurora

 

S'è accoccolato l'acero nostro.

 

Ah, salendone i rami quante uova

 

Ho rubato dai nidi alle cornacchie!

 

È sempre uguale, con la verde cima?

 

È come un tempo forte la corteccia?

 

 

 

E tu, diletto,

 

Fedele cane pezzato!

 

Stridulo e cieco t'hanno fatto gli anni,

 

E trascinando vai per il cortile la coda penzolante,

 

Col fiuto immemore di porte e stalla.

 

Come grata ritorna quella birichinata:

 

 

 

Quando il tozzo di pane rubacchiato

 

Alla mia mamma, mordevamo a turno

 

Senza ribrezzo alcuno l'un dell'altro.

 

 

 

Sono rimasto lo stesso, con tutto il cuore.

 

Fioriscono gli occhi in viso

 

Simili a fiordalisi fra la segala.

 

Stuoie d'oro di versi srotolando,

 

Vorrei parlare a voi teneramente.

 

 

 

Buona notte! buona notte a voi tutti!

 

La falce dell'aurora ha già tinnito

 

Fra l'erba del crepuscolo.

 

Voglio stanotte pisciare a dirotto

 

Dalla finestra mia sopra la luna!

 

 

 

Azzurra luce, luce così azzurra!

 

In tanto azzurro anche morir non duole.

 

E non mi importa di sembrare un cinico

 

Con la lanterna attaccata al sedere!

 

Mio vecchio, buono ed estenuato Pégaso,

 

Mi serve proprio il tuo morbido trotto?

 

Io, severo maestro, son venuto

 

A celebrare i topi ed a cantarli.

 

L'agosto del mio capo si versa quale vino

 

Di capelli in tempesta.

 

 

 

Ho voglia d'essere la vela gialla

 

Verso il paese cui per mare andiamo.

 

 

 

[1920]

 

 

 
 
 
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