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NeverInMyName

Gli orrori della guerra, una macchia sull'umanità. Per non vanificare il sacrificio di tante vittime, per non assistere inermi a un altro Vietnam, per non giustificare un'altra invasione come quella in Iraq. Per dire mai più a un altro Darfur: stand up togheter!

 

 

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A sei anni dall'inizio del conflitto

Post n°502 pubblicato il 03 Marzo 2009 da NeverInMyName

Giovedì 26 febbraio, nella sede della Federazione nazionale della stampa italiana è stato presentato il rapporto 2008 sulla situazionbe in Darfur. L'iniziativa ha riscontrato grande attenzione. Tra il pubblico era presente anche il senatore a vita Giulio Andreotti che ha dimostrato molto interesse per il conflitto in Darfur. Nell'attesa del 4 marzo, giorno in cui la Corte penale internazionale ha annunciato che si pronuncerà sul mandato di arresto per il presidente sudanese Al Bashir, continueremo nella nostra azione di divulgazione di notizie e promozione della tutela dei diritti umani in Darfur e vi aspettiamo al Colosseo per ricordare le vittime del conflitto. Ognuno di noi porti un fiore, una candela, qualsiasi cosa che possa testimoniare la nostra vicinanza a questo popolo martoriato per il quale chiediamo giustizia. Grazie

Antonella Napoli
Presidente di Italians for Darfur

Rapporto 2008 sulla crisi umanitaria in Darfur



La crisi umanitaria in atto
A sei anni dall’inizio del conflitto in Darfur le stime Onu parlano di vittime comprese tra le 200 e le 400mila e di 2.8 milioni di sfollati. Attualmente sono presenti oltre Ocha, il coordinamento degli aiuti umanitari delle Nazioni Unite, 85 organizzazioni non governative e circa 17mila operatori (in maggioranza sudanesi). Nel 2008 circa 300mila darfuriani hanno lasciato i propri villaggi per chiedere assistenza nei campi profughi. Nell’ultimo anno si è registrato un peggioramento della qualità della vita nei centri di accoglienza. L’esistenza di centinaia di migliaia di profughi, per lo più donne e bambini, e costantemente a rischio in tutto il Darfur. Le minacce sono molteplici: insufficiente disponibilità d’acqua e di cibo, condizioni igienico sanitarie preoccupanti e controlli per la sicurezza inadeguati. La mortalità continua a essere molto alta. Sono pochi quelli che superano i 35 anni mentre tra i bambini molti non raggiungono il sesto anno di vita. Ogni giorno ne muoiono settantacinque di fame o di malattia. II problema della malnutrizione e della mancanza d acqua rimane prioritario. L’assistenza è ridotta e le risorse disponibili limitate. Il settore sanità è quello che registra la maggiore criticità ed è considerato addirittura cronico dagli operatori umanitari sul campo. La protezione e la sicurezza sono del tutto insufficienti. Continuano a registrarsi attacchi nei villaggi del Sud Darfur e le donne che vanno a raccogliere legna da ardere fuori dai campi sono vittime dei rapimenti e delle violenze delle milizie che gravitano intorno alle istallazioni di accoglienza in tutta la regione. La scolarizzazione è ancora molto bassa. Si riesce a garantire istruzione solo al 65% della popolazione in età scolastica, che ha accesso a strutture di educazione primaria.

L’inizio del conflitto (2003-2006)

• Le prime fasi Il conflitto nel Darfur è conosciuto a livello internazionale a partire dal 2003, quando le forze ribelli che raccolgono le tensioni presenti all’interno delle comunità africane, reagiscono agli attacchi condotti dai famigerati janjaweed (i “diavoli a cavallo”), gruppi organizzati, politicizzati e militarizzati nei quali vengono reclutate persone con una specificità etnica (le popolazioni arabe nomadi), che agiscono con l’appoggio del governo di Khartoum. Per la verità il conflitto inizia molto prima, quando, a partire dalla fine degli anni ’80, i tradizionali contrasti tra comunità africane, legate ad un’economia agricola e stanziale e le tribù di origine araba, dedite invece alla pastorizia ed al nomadismo, crescono in seguito all’affermarsi dell’arabismo, ideologia razzista che esalta la nazione araba a scapito delle comunità africane. Per reazione alle continue discriminazioni, vissute a tutti i livelli e ai sempre più numerosi attacchi da parte delle milizie arabe, le comunità non arabe riscoprono la loro “africanità” (oltre ai i Fur, l’etnia più numerosa, che da il nome all’intera regione, anche gli Zaghawa e i Masalit) e, nel 2000, è pubblicato il “Libro Nero”, da parte di un gruppo di 25 esponenti che si auto-definiscono “I ricercatori della verità e della giustizia”. Lo shock non riguarda tanto i contenuti del libro (che non sono una novità in assoluto), quanto il fatto che con esso è stato infranto un tabù; infatti, prima di allora, nessuno aveva avuto il coraggio di rendere espliciti argomenti comunque ben conosciuti. Nel febbraio 2003 i movimenti di opposizione compiono una serie di attacchi a stazioni di polizia, caserme e convogli militari. I ribelli sono organizzati soprattutto in due movimenti: il Sudan Liberation Army/Movement (SLA/M), la cui unità appare, ben presto, compromessa in seguito ai contrasti tra Abdel Wahid, la guida politica del movimento, di etnia Fur e Minni Minawi, uno dei capi militari più importanti, di etnia Zaghawa; il Justice and Equality Movement (JEM), il cui leader Khalil Ibrahim e legato ad Hassan al-Turabi, già ideologo del governo islamico del presidente al-Bashir. In seguito alla ribellione, il governo di Khartoum, nelle mani del National Congress Party (NCP), ritenendo di essere in grado di risolvere la situazione, inizia la controffensiva, anche grazie al supporto delle milizie dei janjaweed, diventate nel frattempo vere e proprie forze di combattimento para-militari.

• Il Darfur Peace Agreement

Gli scontri si alternano ai tentativi di risolvere il conflitto tramite il negoziato, con iniziative a carattere locale ed internazionale, avvenute sotto l’egida di alcuni paesi limitrofi (soprattutto Chad e Libia) e dell’Unione Africana (UA), la cui iniziativa diplomatica si svolge in parallelo rispetto alla missione militare; la missione diplomatica dell’UA porta, nel biennio 2004 – 2006, a sette diversi round di colloqui, soprattutto ad Abuja (Nigeria). I tentativi negoziali sono caratterizzati in maniera negativa da: divisioni all’interno dei movimenti di opposizione (in seguito ai contrasti sulla leadership tra militari e politici e tra capi delle “vecchie” e “nuove” generazioni); mancanza di competenze negoziali specifiche da parte delle delegazioni (i movimenti ribelli non definiscono una piattaforma comune); atteggiamento intransigente di Khartoum (che preferisce ottenere una vittoria militare contro i ribelli piuttosto che dialogare con loro); infine, la stessa mediazione dell’UA (che non agisce come terzo neutrale e imparziale, facendo pressioni sulle forze ribelli affinché accettino la bozza di accordo). Nel maggio 2006 si arriva alla firma del Darfur Peace Agreement (DPA), sottoscritto dal governo di Khartoum e da una delle fazioni dello SLA/M, quella di Minawi, che in virtù di tale accordo entra a far parte del governo di unità nazionale, ottenendo per sé la carica di Senior Assistant del Presidente Bashir, la quarta carica dello stato. Purtroppo, il DPA si dimostra del tutto inefficiente e finisce per peggiorare la situazione, anche perchè, non è sottoscritto da gran parte delle fazioni dello SLA/M, dal JEM e da altre forze significative nella regione, che ritengono insufficienti le misure per la condivisione del potere a livello locale e per la sicurezza nella regione e non adeguati i meccanismi di compensazione per le vittime del conflitto. Con l’importante eccezione di Wahid, quasi tutte le forze contrarie al DPA si riuniscono nel National Redemption Front (NRF), contro cui, a partire dal mese di settembre 2006, il governo di Khartoum inizia una offensiva militare, a cui sono associati i sempre più frequenti attacchi da parte delle milizie dei janjaweed. Successivamente sorgono contrasti anche all’interno del NRF, per cui il fronte dei movimenti di opposizione appare fortemente diviso al suo interno. Inoltre negli ultimi tre anni, si registrano importanti divisioni sia all’interno dello SLA/M che nel JEM, oltre a defezioni anche all’interno della fazione di Minawi. Lo scorso anni un funzionario ONU ha dichiarato che il quadro dei movimenti di opposizione è ormai talmente complicato che per costituire un gruppo autonomo bastano “trenta uomini e una jeep”. La situazione attuale• Le accuse a Bashir di genocidio e crimini contro l’umanità Nel luglio 2008 il Procuratore della Corte Penale Internazionale (CPI, attivata nel marzo 2005 con la risoluzione del Consiglio di Sicurezza ONU 1593) Luis Moreno Ocampo accusa il Presidente del Sudan Omar Hassan al-Bashir di genocidio e crimini di guerra, chiedendo il mandato d’arresto alla Camera della Corte. Secondo le prove raccolte il presidente sudanese avrebbe diretto e applicato un piano per distruggere in modo sostanziale i gruppi africani Fur, Zaghawa e Masalit sulla base della loro etnia. «Per cinque anni - è l'accusa lanciata dall'alto magistrato - le forze armate e la milizia janjaweed, sotto gli ordini di Bashir, hanno attaccato e distrutto villaggi. Poi attaccavano i sopravvissuti nel deserto. Quelli che raggiungevano i campi erano soggetti a condizioni messe in atto in modo calcolato allo scopo di distruggerli». Secondo Ocampo «i suoi motivi erano largamente politici, il suo alibi è stata l'insurrezione, il suo intento è stato il genocidio». Le “forze e gli agenti” che agivano sotto il controllo di Bashir hanno ucciso almeno 35.000 civili e causato la morte di un numero di persone compreso tra 80.000 e 265.000 che sono state sradicate dalle loro case. In seguito alla richiesta di Ocampo, inizia un acceso dibattito nella comunità internazionale, divisa al suo interno tra due diverse priorità: fare giustizia o favorire il processo di pace attraverso una larga azione diplomatica. E’ notizia di questi ultimi giorni che il prossimo 4 marzo la Corte Penale Internazionale si pronuncerà sulla richiesta di arresto a Bashir presentata da Luis Moreno-Ocampo.

• Gli scontri di Muhajiriya

Alla metà di gennaio 2009 il JEM ha ripreso il controllo della città di Muhajiriya (30.000 abitanti, una delle principali del Darfur meridionale), sottraendolo alla fazione SLA di Minni Minawi e da allora si sono registrati pesanti bombardamenti da parte dell’aviazione regolare del Sudan e scontri tra il JEM e la fazione dello SLA/M di Minawi. L’attacco ha messo in ulteriore evidenza la crescita nell’ultimo anno del JEM (già protagonista di attacchi a Khartoum nel maggio 2008), che più di tutti sta ponendo gravi difficoltà al governo centrale. Fonti ufficiali sottolineano che gli attacchi dell’ultimo periodo hanno causato oltre 200 morti e almeno 30.000 sfollati e l'Alto commissariato dell'Onu per i diritti umani, Navi Pillay ha espresso preoccupazione per il continuo peggioramento delle condizioni della popolazione. Il 3 febbraio il JEM, in seguito agli appelli dell’ONU, dell’Unione Africana e della nuova amministrazione USA (e dopo che Khartoum aveva suggerito al personale dell’UNAMID di lasciare la città per evitare di essere coinvolto, facendo temere che un “rischio-Srebrenica”), ha lasciato la città.

• L’accordo di Doha

A partire dal maggio 2006 (data del DPA), si succedono sul campo diversi tentativi di mediazione per arrivare a un accordo: dapprima l’iniziativa congiunta ONU/UA per il dialogo tra governo di Khartoum e movimenti di opposizione; poi il tentativo del Sudan People’s Liberation Movement/Army (SPLM/A, movimento di opposizione del Sudan meridionale e protagonista degli accordi del gennaio 2005 che ha posto fine a oltre 20 anni di guerra civile e ha portato il movimento all’interno del governo di unità nazionale), per la ripresa del dialogo all’interno dei diversi movimenti di opposizione; ancora l’iniziativa del mediatore dell’UA Djibril Bassolè per favorire il raggiungimento di una posizione comune tra le diverse fazioni; infine l’iniziativa promossa dal Qatar. Quest’ultima, ha permesso di arrivare pochi giorni fa (17 febbraio), alla firma un accordo tra il JEM e il governo di Khartoum, che prepara il terreno a dialoghi successivi per porre fine al conflitto. All'avvio dei dialoghi tra le parti, oltre al Qatar, hanno partecipato anche l’ONU, l'UA e la Lega Araba, che hanno sottolineato che le discussioni sono solo preliminari e preparatorie per aprire la strada ad un più ampio processo di pace nel Darfur. La notizia è certamente positiva, anche se esistono forti perplessità perché l’accordo sembra essere soprattutto il riflesso di una temporanea confluenza di interessi tra il governo, il JEM e la Lega Araba, ciascuno dei quali ottiene importanti vantaggi dall’accordo. Il JEM perché tramite esso si vuole proporre come principale interlocutore politico, oltre che militare, nella regione; il governo (soprattutto il presidente Bashir) perché spera così di recuperare la sua immagine sul piano internazionale (anche perché “invitato” da alcuni paesi, es. Francia, a fare di più sul piano diplomatico); infine la Lega Araba, che si pone come “sponda” privilegiata nel processo di pace.

La missione di peacekeeping congiunto ONU-Unione Africana (UNAMID)

Il 31 luglio 2007 il Consiglio di Sicurezza ONU approva all’unanimità la risoluzione 1769, che sancisce l’avvio della missione UNAMID (African Union – United Nations Hybrid Operation in Darfur), la più ampia forza di peacekeeping multilaterale mai dispiegata, con oltre 31.000 uomini tra militari (circa 20.000), polizia (circa 4.000) e personale civile. Dopo un primo anno caratterizzato soprattutto da ombre, il 31 luglio scorso (risoluzione 1828), la missione è rinnovata per un altro anno, con la clamorosa astensione degli Stati Uniti. La missione si trova in una situazione di grande difficoltà, soprattutto per la mancanza di collaborazione di Khartoum. La risoluzione 1769 prevedeva il dislocamento completo della forza di peacekeeping entro il 31 dicembre 2007: alla fine del 2008 non erano presenti più di 10.300 uomini (circa un terzo rispetto a quelli previsti in origine), considerati poco più del minimo necessario, e si prevede che entro il 2009 saliranno ad 11.000 . L’UNAMID inoltre non ha risorse logistiche e finanziarie sufficienti, con lacune anche nel supporto di base; i militari hanno difficoltà a essere pagati e, in qualche caso, dato che gli “elmetti blu” non sono in numero sufficiente, addirittura sono costretti ad indossare sopra l’elmetto buste di plastica di colore blu. In particolare, è considerata molto grave la mancanza di elicotteri, essenziali per operare in maniera efficace e reagire con prontezza in una regione grande come la Francia. L’Italia è fra i pochi paesi che hanno accolto gli inviti da parte di diverse organizzazioni internazionali (e della stessa ONU) e, nell’ambito del recente decreto di proroga per le missioni internazionali, ha messo a disposizione dell’UNAMID due velivoli per il trasporto aereo di personale ed equipaggiamenti per un periodo di sei mesi (dal gennaio al giugno 2009). Tuttavia, le esigenze della missione sono ancora ben lungi dall’essere soddisfatte, visto che avrebbe bisogno anche di garantire il flusso costante di materiali ed equipaggiamento tra Port Sudan e il Darfur, di mezzi di trasporto (soprattutto camion), di un’unità per la ricognizione aerea, di un’unità logistica poli-funzionale e di un numero sufficiente di personale tecnico aggiuntivo (soprattutto ingegneri).

La campagna istituzionale di Italians for Darfur

Il costante impegno e il fermento delle azioni dell’associazione – tra cui tre Global Day e due eventi - hanno permesso a ‘Italians for Darfur’ di accreditarsi da subito presso le Istituzioni e i mezzi di informazione. Dal 2006 sono stati presentati numerosi atti di indirizzo parlamentare dai deputati e dai senatori che sostengono la campagna del movimento per il Darfur. Tra i più importanti la mozione bipartisan del marzo 2007 - approvata all’unanimità in Senato e che impegnava il governo ad affrontare in sede di Consiglio di sicurezza dell' Onu la questione Darfur e a promuovere in tutte le sedi internazionali competenti iniziative appropriate a far sì che cessassero le gravissime violazioni dei diritti umani in Sudan - e l’ordine del giorno del novembre 2008 - con primo firmatario l’onorevole Gianni Vernetti e sottoscritto anche da esponenti della maggioranza - che impegnava il governo a reperire le risorse per dare sostegno alla missione Unamid dispiegata in Darfur. Da questi atti sono scaturiti provvedimenti concreti quali la disposizione in Finanziaria 2007 (Governo Prodi) di un finanziamento di 40 milioni di euro per l’emergenza in Darfur e in Somalia e l’approvazione, nel gennaio 2009, del decreto di rifinanziamento delle missioni italiane all’estero che prevede l’invio di due velivoli e un contingente di circa 250 militari in Darfur (Governo Berlusconi). Italians for Darfur è stata, inoltre, promotrice di una missione in Darfur (luglio 2007 Commissione Esteri Camera dei Deputati) e di tre audizioni parlamentari (207, 2008, 2009) presso il Comitato parlamentare per i diritti umani. Nel 2008 Italians for Darfur ha presentato alla Camera dei Deputati il Dossier sull’Unamid che segnalava le carenze della missione Onu-UA.

La campagna on-line


L’ottima presenza su Internet del movimento è anche data dalla necessità di compensare attraverso la Rete, la scarsa presenza, sulle televisioni nazionali, di notizie sul conflitto nel Darfur” Terzo Settore n°10, Il Sole 24 Ore


La scommessa di Italians for Darfur è stata sin dagli inizi l’uso della rete quale strumento di amplificazione dell’informazione e di aggregazione sociale affinché si costituisse anche on-line un vero e proprio movimento a favore di una maggiore copertura mediatica della crisi umanitaria in Sudan. Diversamente da altre associazioni ed organizzazioni, per le quali, soprattutto nel panorama italiano, internet resta una vetrina della struttura e delle attività esterne alla rete, Italians for Darfur ha ritenuto da subito che Internet, indipendente dai tradizionali media ma non ancora alternativo a questi in termini di accessibilità e penetrazione, esprima potenzialità comunicative finora inattese di riverberazione dell’ informazione, della cui qualità continuano ad essere garanti i professionisti del settore: è quindi attiva, dal 2006, una campagna on-line (vedi allegato) che fa leva sulla partecipazione degli utenti dei blog e dei principali social network italiani e internazionali, quali Facebook, Myspace, Flickr, Youtube, senza dimenticare le esperienze di citizen journalism grazie a collaborazioni con siti e servizi del settore, per chiedere ai media mainstream italiani una maggiore copertura della crisi in Darfur e nelle altre regioni del mondo dimenticate. Il blog ufficiale del movimento, denominato Italian Blogs for Darfur, è il corpo centrale della campagna, recensito anche dalla rivista Terzo Settore del Sole 24 Ore e ospitato più volte al salone PiùBlog della Fiera di Roma. Nel solo 2008 ha registrato oltre 17.000 visite, non poche considerato il tema purtroppo non così popolare, delle quali ben il 34% provenienti da collegamenti esterni da altri siti e blog associati, a riprova della rete in questi anni formatasi in maniera trasversale attraverso tutta la comunità on-line non solo italiana ma anche internazionale, grazie alla partecipazione a simili campagne nel resto del mondo e collaborazioni con blogger sudanesi; è significativo il fatto che nel 2008 il blog sia stato visitato 63 volte anche in Sudan, dal quale riceviamo testimonianze di operatori umanitari che prestano servizio nel Paese. Sempre in Sudan, Italian Blogs for Darfur è risultato essere tra i primi 13 blog visitati dalla community online sudanese secondo la classifica stilata dalla stessa blogosfera sudanese del Sudan’s Daily Voices. La bloglist ufficiale consta di oltre 100 bloggers registrati, che espongono nella loro homepage i banner di Italian Blogs for Darfur e ne riprendono i contenuti. A partire dal 2009, è inoltre attiva, anche su Facebook, oltre al gruppo e a pagine dedicate, una applicazione sviluppata in ambiente FBML con pagine informative e l’immancabile appello per una maggiore qualità dell‘informazione sulla crisi in Darfur. Nel giro di poche settimane l’applicazione è stata aggiunta da oltre 2500 persone. Molta importanza è stata data anche alle collaborazioni con il mondo della musica on-line, tra le quali quella con i Negramaro, che nel 2008 hanno sponsorizzato la campagna on-line di Italians for Darfur nel loro spazio Myspace, producendo un clip video per la giustizia in Darfur proiettato anche prima del loro concerto a San Siro, Milano, il maggio scorso. • Il Darfur in rete Contrariamente a quanto accade nei principali telegiornali italiani, nei quali, secondo la ricerca condotta dall’Osservatorio di Pavia per Medici senza Frontiere, il Darfur occupa solamente poco più di un’ora all’anno di notizie, gli utenti della rete hanno la possibilità di seguire con continuità l’evolversi della crisi umanitaria in Darfur, soprattutto grazie all’accessibilità di aggregatori di notizie ed edizioni telematiche dei principali quotidiani esteri. Scarsa è invece la copertura del conflitto nelle agenzia di stampa italiane in rete, nelle quali viene confermata la tendenza a preferire comunicati o iniziative pubbliche di sensibilizzazione di noti personaggi dello spettacolo, soprattutto se hollywoodiani, o di avvenimenti comunque riconducibili alla realtà politica italiana, piuttosto che gli stessi tragici sviluppi del conflitto in Darfur. E’ risultata essere di particolare impatto, anche alla luce di queste considerazioni, la diffusione della canzone Living Darfur dei Mattafix, che pur essendo stata prodotta nel 2007, è stata ripresa da tantissimi utenti della blogosfera italiana anche nel 2008. In definitiva, mentre la rete anglofona dimostra una maggiore attenzione alla crisi, in Italia le iniziative on-line di Italians for Darfur restano l’unica realtà strutturata di promozione e sensibilizzazione della community on-line sui diritti umani in Darfur.

 
 
 
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