Creato da NeverInMyName il 09/11/2005

NeverInMyName

Gli orrori della guerra, una macchia sull'umanità. Per non vanificare il sacrificio di tante vittime, per non assistere inermi a un altro Vietnam, per non giustificare un'altra invasione come quella in Iraq. Per dire mai più a un altro Darfur: stand up togheter!

 

 

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Crisi umanitarie dimenticate

Post n°54 pubblicato il 13 Gennaio 2006 da NeverInMyName
 

Non se ne parla abbastanza o non se ne parla mai...

Liberia: I violenti scontri dell'estate del 2003 nella capitale della Liberia, Monrovia, sono costati la vita a oltre 2.000 persone. A più di un anno dalla fine di questa debilitante guerra civile quindicennale, i liberiani continuano a vivere in una situazione di crisi. Resta ben poco delle infrastrutture nel paese e la maggior parte della gente è privata dei servizi di base, come acqua e impianti igienici. Oltre 300mila persone sono ancora sfollate, mentre 300mila attendono di rientrare dai paesi confinanti. L'assistenza medica, già ridotta nelle città principali, è quasi inesistente nelle aree più remote del paese. Oggi ci sono solo 30 medici liberiani che lavorano in un paese di oltre 3 milioni di abitanti. Nella Contea di Bong, MSF effettua 7.000 visite ogni mese su 60mila sfollati. Alcune famiglie stanno rientrando nella Contea di Lofa, ma trovano ad attenderli servizi essenziali inesistenti. Il rientro di rifugiati alla Contea di Nimba, in cui MSF effettua 5.600 visite ogni mese, potrebbe acuire le tensioni etniche. Le donne continuano a essere vittime di violenze sessuali e solamente tra ottobre 2003 e luglio 2004 si sono presentate a MSF per essere curate oltre 800 persone provenienti da campi a nord di Monrovia, che ospitano 35mila sfollati. 

Colombia: Dimenticato da gran parte del mondo, il lungo conflitto in Colombia continua a infliggere forti sofferenze ai civili. Oltre tre milioni di persone sono sfollati all'interno del paese, di solito in grandi baraccopoli nei sobborghi delle principali città, e la violenza continua a essere la principale causa di morte. Mentre il controllo su cocaina, olio, legname e altre risorse alimenta il conflitto che dura da decine di anni, metà dei colombiani vive in estrema povertà. In molte regioni, è quasi impossibile restare fuori dal conflitto, in quanto l'esercito governativo e quello antigovernativo vedono tutti come potenziali informatori o collaboratori. In regioni in cui il controllo cambia di mano, i civili intrappolati possono essere minacciati, aggrediti, o uccisi. Varie fazioni armate si battono per controllare le bidonville, esercitando violenza e intimidendo quotidianamente la popolazione. Il personale medico viene minacciato, i pazienti sono stati trascinati fuori dalle ambulanze e giustiziati, e le strutture sanitarie sono state più volte saccheggiate. Persino il materiale medico è diventato un obiettivo strategico. Gli strumenti diagnostici e le terapie contro la leishmaniosi sono tenuti sotto stretto controllo governativo, in quanto la malattia, che colpisce principalmente le zone rurali, è vista come un segno della presenza di possibili ribelli o loro sostenitori. 

Somalia: Quattordici anni di violenza hanno colpito tragicamente i nove milioni di abitanti della Somalia: circa due milioni di persone sono sfollate o sono state uccise dallo scoppio della guerra civile nel 1990 e quasi cinque milioni non hanno accesso ad acqua potabile o assistenza medica. Il collasso del sistema sanitario e della maggior parte dei servizi statali, ha colpito in modo particolarmente duro donne e bambini: una donna su sedici muore di parto; un bambino su sette muore prima di compiere un anno; e un bambino su cinque muore prima dei cinque anni. Le calamità naturali come le alluvioni nella parte bassa delle valli di Juba e Shabelle hanno solo peggiorato la catastrofe umana, causando un alto tasso di malnutrizione cronica e malattie prevenibili. Anche se il recente insediamento di un governo centrale offre una scintilla di speranza, la violenza continua a sconvolgere la vita della popolazione, mentre milizie aguzzine e signori della guerra usano il loro potere per ottenere profitti. Da gennaio a novembre, a Galcayo, in una delle aree più stabili della Somalia, MSF ha curato quasi 1.000 persone per traumi collegati alla violenza, comprese 262 vittime di sparatorie. 

Indonesia: Sconosciuta al pubblico italiano se non per le poche isole meta turistica, l’Indonesia è balzata agli onori delle prime pagine solo dopo l’immane tragedia che ha colpito la provincia di Aceh il 26 dicembre 2004. Il più grande paese mussulmano del mondo conta oltre 217 milioni di abitanti, molti dei quali afflitti da enormi problemi ignorati dai media. La mortalità infantile tocca picchi di 45 decessi ogni mille bambini. Già prima dello tsunami le tensioni politiche rendevano la vita difficilissima per la popolazione di Aceh, sottoposta a legge marziale. Anche la provincia di Ambon è afflitta da un conflitto religioso: la più recente esplosione di violenza tra cristiani e mussulmani risale all’aprile 2004, ma la tensione continua ha spinto MSF ad avviare programmi di assistenza psico-sociale per le vittime dei traumi psicologici. Anche nelle province lontane dagli scontri la vita delle persone è continuamente messa in pericolo da malattie mortali come l’Aids (in continua espansione), la malaria o la TB per le quali le cure efficaci mancano o sono irraggiungibili per i pazienti. MSF ha avviato programmi di trattamento dei malati. 

Repubblica democratica del Congo: Ancora una volta i civili della RDC orientale sono stati cinti d'assedio all'esplodere delle ostilità nel Nord Kivu lo scorso dicembre. Per salvarsi la vita quasi 150mila persone sono fuggite da Kayna, Kanyabayonga e Kirumba, solo poche settimane dopo la fuga di altre migliaia di persone dalle ostilità nella regione di Mitwaba. Questi sono solo gli ultimi capitoli di una guerra decennale, che è costata la vita a circa tre milioni di persone e ha distrutto le poche infrastrutture di un paese già impoverito. Città come Bunia, nella provincia di Ituri, mostrano le cicatrici lasciate delle ostilità dell'anno scorso. Intanto continuano irrefrenabili gli stupri. Spesso lungo le linee etniche esplodono divisioni politiche, che interessano intere aree di un paese grande come l'Europa occidentale, dove molti congolesi non riescono a soddisfare neppure i bisogni primari. Le milizie locali e le truppe governative tormentano i civili in tutta la zona orientale. Nella provincia di Katanga, gruppi armati hanno incendiato strutture sanitarie, mentre militari non retribuiti tormentano, derubano e sfruttano la gente. I servizi medici, quando esistono, sono tristemente inadeguati nell'intero paese.

Etiopia: Oltre il 10% dei bambini non supera il primo anno di vita in Etiopia. La scarsità di terra coltivabile negli altopiani aridi e sovrappopolati lascia circa 5 dei 69 milioni di abitanti dell'Etiopia in cronica carenza di cibo. Gravi siccità nel 1999 e nel 2001 hanno peggiorato la situazione. Anche se recenti piogge hanno dato un po' di respiro, la mancanza di piogge consistenti dall'inizio del 2003 ha portato alla morte circa il 50% del bestiame. Per gestire questa continua insicurezza alimentare, il governo sta realizzando un programma pluriennale di reinsediamento volontario di oltre 2 milioni di persone nelle pianure più fertili del paese. L'assistenza prevista dal programma non è all'altezza delle promesse del governo e il reinsediamento è stato letale per alcune comunità, esposte per la prima volta alla malaria in regioni in cui questa malattia è endemica. I medici etiopi hanno poche risorse per combattere contro malattie infettive come l'HIV/AIDS, la malaria, la tubercolosi, e il kala azar, le cui cure sono costose e spesso inaccessibili. La malaria è diventata particolarmente letale in quanto la resistenza ai farmaci ha reso praticamente inutile il più comune trattamento antimalarico.

Burundi: In Burundi, paese che lotta per uscire da una guerra civile decennale, un sistema a pagamento (il  così detto “recupero dei costi”) è diventato la base per il finanziamento del servizio sanitario. Di conseguenza, la parte più povera della popolazione paga un prezzo enorme. Una recente indagine medica di MSF ha evidenziato tassi di mortalità doppi rispetto alla soglia d'emergenza, e poca o nessuna assistenza medica per coloro che non potevano pagare. In regioni coperte dal sistema a pagamento, i decessi per malaria erano due volte superiori rispetto a quelli delle regioni che adottano un sistema a ticket simbolico. Una persona intervistata su cinque ha raccontato di non essersi recata presso un centro sanitario neppure quando era malata, in quanto non poteva permetterselo; e ciò non stupisce in un paese in cui quasi il 99 percento della popolazione vive con 1 dollaro al giorno. Per molti, persino una semplice visita costa in media la paga di 12 giorni di lavoro. Per accedere a cure salvavita, il malato rischia di peggiorare il suo stato di povertà, svendendo tutti i suoi attrezzi e il suo bestiame o prendendo in prestito denaro che potrà restituire solo in molti anni. Gli ospedali hanno persino trattenuto dei pazienti fino a che i familiari non hanno trovato il denaro per pagare le cure. Il sistema di finanziamento statale inadeguato e le priorità dei donatori internazionali consolidano ulteriormente il sistema.

Uganda: Per 18 anni, la popolazione dell'Uganda settentrionale ha vissuto uno spietato conflitto, subendo conseguenze che il mondo esterno non ha quasi avvertito. Più di 1,6 milioni di persone, l'80 percento dell'intera popolazione dell'Uganda settentrionale, è sfollata e oggi vive in condizioni misere. I civili sono stati attaccati e uccisi dalla Lord’s Resistance Army (LRA) nei loro villaggi e nei campi in cui hanno cercato rifugio. La LRA ha rapito decine di migliaia di bambini, costringendoli a combattere e riducendoli in schiavitù sessuale; la paura spinge ogni notte 50mila bambini a rifugiarsi in città o in campi del nord, dopo aver percorso a piedi anche 10 miglia in cerca di un posto sicuro dove dormire. L'esercito ugandese ha spostato centinaia di migliaia di civili contro la loro volontà in "villaggi protetti", che offrono poca sicurezza e assistenza quasi nulla, e ha imposto angherie ai civili con brutali incursioni contro sospetti militanti della LRA. La violenza diretta è costata la vita a decine di migliaia di persone, ma anche la carenza cronica di viveri e acqua nei 200 insediamenti improvvisati nel nord ha imposto un alto tributo di vite umane. Solo nel novembre 2004, MSF ha registrato sconcertanti tassi di mortalità in 6 campi nei distretti di Lira e Pader, con molti decessi dovuti a malattie prevenibili come malaria, malattie respiratorie e diarrea.

Afghanistan: Con i suoi 28 milioni di abitanti, oggi l’Afghanistan si trova di fronte a una realtà cruda e disperata, risultato di oltre 25 anni di guerra, di cambiamenti ai vertici della politica e di anni di siccità. La ripresa, lenta e difficile dopo decenni di conflitti fa i conti con un’economia allo stremo, dominata dalla coltura dell’oppio. Bombe e mine, ancora seminate in tutto il territorio, causano quotidianamente morte tra la popolazione e anche gli omicidi sono all’ordine del giorno. Gli afgani rimangono molto poveri e altamente dipendenti da aiuti esterni, agricoltura e commercio con i paesi confinanti. La mancanza di infrastrutture sanitarie causa un’alta mortalità materno-infantile, grandi sofferenze e morti evitabili dovute a un’assistenza medica insufficiente o inesistente e a condizioni di vita precarie. Ancora oggi solo il 30% della popolazione riesce ad accedere a cure sanitarie di base e il 10% ha acqua potabile. La maggior parte della popolazione continua a soffrire anche per la mancanza di acqua potabile, elettricità, lavoro, alloggi. Il Governo e i donatori internazionali si sono impegnati a migliorare l’accesso a questi bisogni primari dando priorità allo sviluppo di infrastrutture e abitazioni, all’educazione, al lavoro e a una riforma economica. Dopo 24 anni di assistenza indipendente alla popolazione MSF ha lasciato l’Afghanistan in seguito all’uccisione di 5 suoi operatori, il 2 giugno 2004 e alle continue minacce generate dalla confusione dei ruoli tra operatori umanitari e militari.

 
 
 
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