NeverInMyName
Gli orrori della guerra, una macchia sull'umanità. Per non vanificare il sacrificio di tante vittime, per non assistere inermi a un altro Vietnam, per non giustificare un'altra invasione come quella in Iraq. Per dire mai più a un altro Darfur: stand up togheter!
Messaggi del 22/10/2006
Post n°305 pubblicato il 22 Ottobre 2006 da NeverInMyName
Adultera lapidata da seguaci di Al Qaeda BAGDAD - Una donna irachena di 22 anni, accusata di adulterio, è stata condannata a morte dai seguaci di Al Qaeda e poi lapidata in pubblico ad Al-Qaim, una cittadina situata 320 chilometri a nord-ovest della capitale Bagdad. Repubblica, 22 ottobre 2006 Cosa penso della pena di morte l'ho scritto più volte. L'atrocità di questo metodo punitivo, ancora attuato in tanti paesi del mondo, mi desta una profonda rabbia e un'angoscia senza fine. E se è possibile la lapidazione amplifica ulteriormente tali sentimenti. Lapidare qualcuno a morte non è solo un’orrenda violazione dei diritti dell’uomo, è una pratica abominevole, crudele oltre ogni umana comprensione. Ho letto un articolo di un giornalista testimone di una lapidazione: racconta di gente eccitata, priva di ogni segno di terrore e pietà sul volto, anzi. Sembrava che nel compiere un atto barbaro come quello provasse soddisfazione. E tutto ciò è terribile quanto la condanna stessa. Vi segnalo i paesi dove i governi permettono di utilizzare questo metodo per punire una donna riconosciuta adultera. Alcuni non la praticano da anni e la usano solo come minaccia. (Il testo è lungo e capisco quanti non se la sentano di leggerlo tutto...) Dall'Afghanistan allo Yemen, la minaccia della lapidazione serve in genere a intimidire le donne che cercano di affermare se stesse. E' stato comunque l'Iran il primo paese in cui la lapidazione è tornata in auge con gli integralisti. In Arabia Saudita non c’è un vero e proprio codice penale, né un sistema giudiziario regolamentato. Gli imputati non hanno diritto ad un avvocato e i processi sono segreti e si basano esclusivamente sulla confessione, spesso estorta sotto tortura. Gli imputati non vengono informati della condanna e non vi è possibilità di appello: nei casi capitali il loro dossier viene soltanto “riesaminato” dal Consiglio Giudiziario Supremo, i cui membri, nominati dal Re, sono ritenuti responsabili dell’applicazione della shari’a. La pena consuetudinaria per l’adulterio è la morte tramite lapidazione. In Bangladesh, i tribunali del clero del villaggio, chiamati salish, emettono una fatwa contro quelle persone - in genere donne - ritenute colpevoli di aver violato il codice morale islamico. Tali condanne vanno dalla rasatura della testa alla lapidazione, passando per la fustigazione. Ogni anno si hanno notizie riguardo a decine di casi del genere. Va notato che ci sono anche ragioni economiche dietro questi editti religiosi; infatti i membri del salish ricevono una donazione, chiamata fatwabaz, ogni volta che emettono una fatwa. Inoltre, come evidenziato dal Relatore speciale delle Nazioni Unite sull’intolleranza religiosa, le fatwa costituiscono un chiaro tentativo di “rintuzzare ogni tentativo di emancipazione delle donne”. In Bangladesh infatti sono stati i movimenti femministi i primi a schierarsi contro questo sistema giudiziario parallelo, senza regole, né leggi. In Nigeria, con l’introduzione del diritto islamico negli stati del nord, è stata introdotta la pena della lapidazione, oltre che altre pene crudeli e disumane come il taglio degli arti e la fustigazione. Safya Husseini, nello stato di Sokoto, è stata la prima ad essere condannata alla lapidazione per adulterio. Dopo la mobilitazione internazionale, la condanna è stata ritirata in appello nel marzo scorso, e il governo federale ha dichiarato incostituzionale la Shari’ia. Le condanne alla lapidazione per adulterio però continuano. Amina Lawal Kurami, nello stato di Katsina, è stata condannata nel marzo 2002 e la sentenza è stata ribadita nell'agosto dello stesso anno. La Comunità di Sant’Egidio ha lanciato una petizione per salvare Amina, che può essere sottoscritta sul loro sito. Anche un uomo, Yunusa Rafin Chiyawa, è stato condannato per aver confessato di aver avuto rapporti sessuali con la moglie di un amico, Aisha Haruna. La donna ha detto di essere stata ipnotizzata e per questo è stata scagionata, l’uomo invece ha confessato in tribunale, dove la seduta è stata aggiornata per permettergli di pensare alle conseguenze della sua ammissione di colpa, ma l’uomo ha ribadito la sua confessione ed è stato condannato alla lapidazione alla fine di giugno del 2002. In Somalia, a causa della guerra civile, le strutture giudiziarie sono collassate. I tribunali islamici nati a livello locale sembra abbiano spesso condannato a pene quali il taglio delle mani o dei piedi e anche alla lapidazione. Ad esempio nell’aprile del 2000 un tribunale islamico vicino a Merca nella regione Shebelle inferiore sembra abbia giudicato colpevole una donna per poligamia e l'abbia condannata a morte per lapidazione. L’esecuzione sarebbe stata sospesa perché la donna era incinta. In Sudan il 17 gennaio del 2002 è giunta notizia di Abok Alfa Akok, una ragazza di 18 anni cristiana della tribù Dinka, condannata alla lapidazione per adulterio dalla da un tribunale islamico a Nyala, Darfur meridionale. La rete dei tribunali islamici locali era stata creata dal fondamentalista sudanese Hassan el Turabi; il loro controllo da parte del governo centrale è difficile. La sentenza è stata revocata dalla Corte suprema non appena la notizia era divenuta un fatto di pubblico dominio. Nello Yemen, si ha notizia di un uomo "giustiziato" tramite lapidazione nel gennaio del 2000. L'esecuzione sarebbe durata oltre quattro ore prima che l'uomo morisse. Era stato ritenuto colpevole di aver violentato e ucciso la figlia. In Pakistan, invece, la Legge sulla fornicazione (zina) rende punibile questo “reato” con flagellazione pubblica o lapidazione. Vengono ritenute colpevoli di zina anche le donne violentate che non riescono a provare di non essere state consenzienti, e per farlo è necessaria la confessione dello stupratore o la testimonianza di 4 musulmani di buona reputazione che siano stati testimoni oculari del fatto. La testimonianza delle donne non è considerata valida. Nel 1987 Shahida Parvin fu condannata alla lapidazione dopo che un tribunale aveva deciso che la relazione con il suo secondo marito non era valida perché il primo marito aveva negato di aver divorziato da lei. In appello però fu prosciolta. Di recente (maggio 2002) Zafran Bibi è stata condannata a morte tramite lapidazione per adulterio. Era rimasta incinta mentre il marito era in prigione. L'avvocato ha fatto ricorso e il caso sarà esaminato dalla Corte di Appello. Il marito infatti la difende e sostiene essere riuscito ad avere un incontro clandestino con la donna mentre era in carcere. Se non verrà assolta, Zafran Bibi sarà la prima donna ad essere lapidata legalmente in Pakistan. In Iran, l’articolo 83 del Codice Penale, chiamato legge dello Hodoud, prevede la pena di 100 frustrate per coloro che, non essendo sposati, commettono sesso fuori dal matrimonio; gli adulteri invece vengono puniti con la lapidazione. Dalla rivoluzione islamica di Khomeini si ha notizia di almeno una sessantina di casi di lapidazione, nella stragrande maggioranza dei casi di donne. Tali notizie, raccolte da agenzie stampa e organizzazioni femministe, riguardano prevalentemente casi accaduti in grandi città, mentre resta difficile avere notizie dei casi di lapidazione accaduti in zone più remote. Tali cifra quindi va presa come un flebile indizio di quanti casi possono essere realmente accaduti. |
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