(dis)Ordine nel Caos

L'EROS - Sete di vita e relazione


Sete di vita e relazione  L’eros: lo conosciamo soltanto nella distanza del fallimento. Prima del fallimento non si dà conoscenza. Quella giunge, sempre, quando il frutto è già stato mangiato. . un’esperienza che rivive in ogni amore l’assaporare il paradiso e il perderlo. L’eros: soltanto se esiliati dalla pienezza di vita che esso elargisce lo facciamo tema nostro di studio. Nell’esperienza dell’eros siamo tutti Adamo ed Eva. Nulla, a suo riguardo, ci insegna l’esperienza altrui. Esso è, per ciascuno di noi, il primordiale e massimo insegnamento della vita, il primordiale e massimo inganno. Massimo insegnamento, perché studiamo nell’eros il modo della vita. E massimo inganno, dato che tale modo si dimostra inaccessibile alla nostra umana natura.La nostra natura umana (questo indefinito miscuglio della nostra anima e del nostro corpo) “sa”, con un’incredibile perspicacia che travalica i concetti, che la pienezza di vita si ottiene soltanto nella reciprocità della relazione. Nella reciproca e integrale offerta di sé. Per questo la nostra natura investe nell’eros tutta la sua sete, abissale, di vita. Sete del corpo nostro e dell’anima nostra. Abbiamo sete di vita, e l’eventualità della vita passa solo attraverso la relazione con l’Altro. Nella persona dell’Altro ricerchiamo la possibilità della vita: la reciprocità nella relazione. L’Altro diviene il “significante” della vita, la risposta sensibile al desiderio più profondo e imperioso della nostra natura. Forse non siamo innamorati della persona dell’Altro, ma della sete nostra incarnata nella persona di lui. L’Altro è forse pretesto, e l’offerta di noi stessi illusione. Anche questo, tuttavia, trasparirà soltanto nella distanza del fallimento. Dopo il fallimento sappiamo che l’eros è il modo della vita, ma un modo inaccessibile alla nostra umana natura. La nostra natura ha disperatamente sete di relazione, senza saper esistere con il modo della relazione. Non sa spartire, mettere in comunione; sa solamente appropriarsi della vita, possederla, trarne un profitto. Se assaporare la pienezza equivale a creare una comunione di vita con l’Altro, la pulsione della nostra natura aliena la comunione in esigenza di proprietà e di possesso dell’Altro. Perdere il paradiso non è mai una pena: à soltanto un esilio che da noi stessi ci infliggiamo.da CHRISTOS YANNARASVariazioni sul Cantico dei cantici Dal sito http://www.monasterodibose.it/content/view/5113/1908/lang,itGrazie a chi mi ha fatto "dono" di questo