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A PIEDI NUDICAPITOLO I LONTANO DA DOVE PARTE TERZA La mente vagava lontana quando il treno arrestò la sua marcia in uno stridore di freni: il cigolio lamentoso della vecchia ferraglia riscosse i pensieri di Elisa riportandola al presente. L’intercity 9432 riposava stanco sulle rotaie dell’Eterna tenendo in standby i passeggeri, mentre intorno la gente sembrava non accorgersene, presa dal ritmo frenetico dei propri impegni. Di colpo la voce del mondo bloccò il flusso dei ricordi e Elisa si ritrovò catapultata nella confusione assordante della stazione Termini che esplodeva da fuori i finestrini. Accanto a lei una donna faceva scivolare via dal collo un foulard beige mentre, ancora in piedi, le chiedeva delle informazioni. Le sue labbra si muovevano senza che alle orecchie di Elisa giungesse suono alcuno; come immersa in un acquario la vedeva aprire e chiudere la bocca senza avvertire sonoro. Era ancora lontana, i suoi sensi faticavano a ritornare dal lungo viaggio a ritroso negli anni per concentrarsi sulla realtà contingente. Poi pian piano focalizzò sguardo e attenzione su quel viso interrogativo e cominciò a colmare la distanza: “….libero?” Percepì i frammenti di quella che pur completa, doveva essere una domanda banale; in un gesto meccanico, ancora quasi assente, fece di sì con la testa e la tizia le si sedette accanto accavallando le gambe con eleganza, mentre indolente sfilava dalla borsa il cellulare per interrompere il metallico volo del vecchio calabrone di Rimsky-Korsakov e rispondere. Pigiò il tasto verde e fu come se assieme alla sua conversazione avesse dato il via anche al treno che ripartì all’unisono col suo “Pronto”. Il cicaleggio sdolcinato della telefonata fu coperto dal frastuono della corsa sulle rotaie e dalla lotta del vento contro le tendine malconce calate sui finestrini, poi la galleria ingoiò il convoglio spalancando la sua bocca scura e la linea cadde. Elisa ne fu quasi sollevata, le sembrava come se la disinvoltura di quella gente, pronta a gestire placidamente in pubblico le proprie chiamate, si compiacesse di costringere i presenti ad ascoltare, crogiolandosi in un esibizionismo spavaldo al punto da affrancare i ficcanaso dall’ingrato compito di origliare. Discrezione, era ciò di cui avvertiva la mancanza. O forse solo l’angolo spazioso dietro il quale si nascondeva giustificando il suo vivere in punta di piedi, leggera, in assenza di peso dai giorni degli altri tangenti coi propri. Gioco a scomparire per non invadere e non legarsi e non dipendere. Ed ecco le mani corsero a consumare nuova eclissi ridisegnando i contorni del romanzo lasciato distrattamente da parte: fu come bussare in cerca di nuova accoglienza estraniandosi ancora. La lettura era rifugio e ricerca di un’alterità bugiarda eppure plausibilmente reale. Era melodia polifonica, intreccio di voci da cui lasciarsi trasportare purché coprissero la sua fornendone eco. Sfilò la matita dalla pagina che era stata pausa ed offrì nuovamente ascolto all’inchiostro, isolandosi nel suo concerto. Contemporaneamente, intorno, lo spazio si muoveva lungo la linea del tempo e presto si esaurirono le nubi, il tramonto e le campagne toscane. Prima che girasse l’ultimo foglio, la stazione di turno smise d’esser transito per diventare approdo. Elisa richiuse il libro e prese i suoi bagagli lasciando nello scompartimento il carico di voci e visi e gesti sostenuto durante il viaggio. Scendere dal treno fu come cancellare le otto ore precedenti e farsi tabula rasa, in mente un unico desiderio: acqua. Acqua sugli occhi stanchi, acqua lungo la schiena, acqua a dissetare la gola rimasta a lungo muta. Entrò in un bar: due passi verso la cassa ed altrettanti indietro. Oltrepassare la città madre-matrigna non poteva significare superare i propri limiti. E per Elisa chiedere anche la cosa più semplice, era ogni volta una prova, un esame severo al quale, negligente, continuava a sottrarsi. Decise che la sete avrebbe aspettato e cercò di capire quale fosse la strada giusta in grado di condurla alla porta di cui stringeva le chiavi. Vecchia casa presa in affitto mesi addietro in uno scatto di rabbia che ribolliva di istinto di fuga. Quattro mura in prestito a dar consistenza alla sua ribellione. Firma veloce su un contratto strappato ad un weekend di noia in solitudine e siglato mentre Vittorio si negava al telefono, troppo impegnato a curare clienti e profitti. |
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