Entrano in classe come un'onda colorata. Vocianti, allegri, col sorriso brillante sui visetti abbronzati. Hanno addosso il profumo dei libri nuovi e del dopobarba dell'ultimo bacio ai papà prima del ciao. L'estate ha regalato centimetri e portato via qualche altro dente. Sono cresciuti tanto, ma è bello piegarsi ancora sulle ginocchia per cercare i loro occhi e leggervi la gioia di ritrovarsi. Le lacrime di tre mesi fa per il mio presunto addio, sono un ricordo lontano. La ricreazione, oggi, è una danza ed io il totem al centro della nostra felicità. Stretta da trentaquattro braccia che sgomitano per avere un angolino di maestra da accarezzare. È questo meraviglioso abbraccio asfittico, la festa mia più dolce per la nomina in ruolo.
I salti dell'acqua in cascate che si arrendono alla calma luccicante di un verde quasi irreale. L'apatia della capitale, le sue strade costipate di tavolini e la nostra corsa in tram. Le tre notti nell'hotel simil-Mercedes e i sermoni stereotipati del proprietario a scandire la colazione. I cartelli bugiardi di una città monumentale che esiste solo sui depliants turistici, ma offre un cambio assolutamente favorevole. L'anfiteatro romano e l'attesa interminabile per quei due risotti da record. Il silenzio di un'isola a farsi scrigno di un passato restituito dal bianco e nero di foto che indulgono al mito. E la tenerezza di un fagottino scuro tra le braccia di un uomo che ha scelto di farle da padre. Il mare limpido a carezzare i piedi incerti sul fondo sassoso, col gioco di luce riflessa che sbianca la pelle. Il porfido delle viuzze che si inerpicano verso la cattedrale e la tua mano ad evitarmi ripetutamente la caduta. Il campanile che guarda verso l'Adriatico e i colori caldi dei palazzi addossati tutti intorno. I gabbiani a pochi passi e la vivacità del mercato della frutta a far da sfondo. I vestiti fradici di pioggia e, il giorno dopo, i fuochi d'artificio a tenerci col naso in su. I mosaici e l'ultima banconota soffiata via dal vento... Ho visto più di quanto abbiano saputo catturare gli occhi, perché ho potuto fermarli nei tuoi e tenerti tra le mie braccia, sorreggendo il viso di un uomo che non ha smesso di essere bambino e riesce ancora a restare ammirato davanti al bello del mondo, lasciando che la sua poesia gli tocchi il cuore.
Abito, non ho radici. Napoli alle spalle e nessuna malinconia nostalgica. Modena è mia senza appartenermi, distante nel dialetto e nelle geometrie. Ci penso mentre sorvolo Vienna e sorrido all'idea che tra qualche giorno si riparte, ma stavolta in due. Col mare a cullare le nostre notti. È bello viaggiare così, avendo un ritorno che ancora non è veramente casa... Piedi apolidi e cuore saldo nel cuore dell'altro: approdo simmetrico di un sentire che mi spinge ancora un po' più a nord, per essere NOI.
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il 21/12/2013 alle 17:51
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