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PAROLE MAI SCRITTE.

Post n°10 pubblicato il 09 Gennaio 2011 da ORO4EVER
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Risalì dalla lavanderia. Era tardi e si sentiva stanca, però la sua giornata non poteva finire così. Si era occupata di tante cose, per sé e per altri, ma il suo pensiero era rimasto fisso su quello che più le stava a cuore, la verità. Ne aveva fatta una ragione di vita, nella verità sapeva di poter vivere, anche se a volte per trovarla doveva scavare tanto che la testa le doleva.

Pensò di scrivere un breve messaggio, che avrebbe stimolato una conversazione, ma, e se non avesse avuto successo? …se ad una domanda non fosse arrivata una risposta bensì un’altra domanda, come avrebbe ripreso le fila del suo discorso?

Forse una breve lettera sarebbe stata sufficiente a spiegare cosa provava, ma tante erano le parole che si affollavano nella sua mente, si scavalcavano, ritornavano in primo piano per poi dare spazio ad altre nuove che si accendevano ad intermittenza come lampadine di una decorazione natalizia e che volevano primeggiare, io, io, io!, che decise di buttar giù dei pensieri per poi raccoglierli in una sequenza che fosse comprensibile al suo interlocutore. Lui era molto abile con le parole, e lei doveva fare attenzione a come si esprimeva.

E se avesse scritto in italiano? Per motivi che non conosceva e che non aveva mai pensato di investigare a fondo, le veniva più facile scrivere in quella lingua acquisita che nella sua lingua madre. D’altra parte, se il suo scopo era trovare la verità, avrebbe fatto meglio ad usare un linguaggio comune: aveva imparato a caro prezzo che anche la più sottile sfumatura linguistica può cambiare lo spirito di una frase e non voleva rischiare di essere fraintesa.

Una sigaretta l’avrebbe aiutata a scrivere la prima parola, quella più difficile ad uscire, come il  tappo di una bottiglia di champagne che blocca bollicine esplosive e se ne accese una, mentre il pensiero di mettere nero su bianco le faceva venire il batticuore. Un conto è pensare, si disse (anche se era convinta che i pensieri non si dissolvono dopo esser volati via dalla mente…), e un altro è scrivere; l’idea di una parola che si srotolava, lettera per lettera, davanti ai suoi occhi le dava un senso di ansia: poteva  sempre cancellarla, no?... sostituirla, ma l’occhio avrebbe inesorabilmente trasmesso quella parola al cervello, dandole un senso di indelebilità.

L’orologio non è amico di chi scrive, scandisce i minuti come bugie, e invece di un’ora ne sono passate due, tre, la mano è indolenzita e aggiunge pena al faticoso lavoro di comunicare. Avrebbe voluto lasciar perdere tutto, spegnere la sigaretta, le luci, la mente, il cuore e andare a letto, ma si sa, un tarlo che ricerca la verità non si assopisce tanto facilmente e trascina nella sua insonnia chi invece cerca solo pace. Da molte notti ormai non dormiva bene, il suo viso tradiva la mancanza del riposo di cui aveva tanto bisogno e un amico poco discreto le aveva chiesto se tutto andava bene.

Ma certo, va tutto meravigliosamente, ho solo perso un po’ di peso e si sa, il viso ne soffre per primo!... E la sua verità, a chi poteva dirla, se non allo specchio della sua camera che la conosceva tanto bene? Lui non aveva bisogno di molte spiegazioni, avrebbe capito la sua malinconia se solo si fosse decisa a confessargliela… Una volta, tanti anni prima, si era trovata in una città straniera, sola, nel giorno del suo compleanno. Si era seduta su una panchina, accanto ad una donna di colore che la guardava con occhi buoni, ma con cui non avrebbe potuto comunicare. Aveva ricambiato il sorriso gentile e si era messa a fissare il selciato, frugando nella sua testa come se fosse un vecchio baule dimenticato in soffitta alla ricerca di una parola, almeno una, da offrire all’unica persona che quel giorno avesse notato la sua esistenza.

E nel cerchio disegnato dal suo sguardo, dondolando la testina avanti e indietro, era entrato un piccione, coi suoi occhietti rossi e indiscreti, il petto gonfio e un’impeccabile divisa di piume grigie che lo faceva sembrare il portiere di un albergo di lusso… e senza accorgersene, lei aveva cominciato a parlare alla creatura, prima con qualche timido suono e poi più articolatamente fino a confidargli che quel giorno compiva gli anni, che non aveva nessuno con cui festeggiarlo e che se avesse potuto avrebbe condiviso le briciole di una torta che nessuno aveva preparato per l’occasione. Con lo specchio avrebbe fatto lo stesso, qualche smorfia, tanto per rompere il ghiaccio e poi il fiume inarrestabile delle sue emozioni.

La terza sigaretta si stava consumando nel portacenere, mescolando il suo aroma a quello dell’incenso che si dissolveva lentamente nell’aria e il foglio era ancora bianco, la mano stretta su una penna arida che quella sera non se la sentiva proprio di cooperare, neanche con uno scarabocchio, un geroglifico, un simbolo: forse così era nata la scrittura, dalla voglia prorompente di esternare un sentimento, una gioia, un dolore e a questo pensiero, lentamente, la mano aveva cominciato a muoversi, un piccolo cerchio e poi un altro e un altro ancora, uniti ma individuali, come pensieri e lettere di parole mai scritte.

 
 
 
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