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Solo il nulla

 

 
 

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concedimi la serenita' di accettare ciò che non posso cambiare
il coraggio di cambiare le cose che posso cambiare
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Post N° 420

Post n°420 pubblicato il 01 Novembre 2007 da Makron81


Le luci si sono accese, la strumentazione illuminata.

E tutti i discorsi di parenti e amici, sulla pericolosità
delle due ruote, la disattenzione degli altri e tutti i pericoli che la
strada può riservare sono stati, almeno in quel momento,
dimenticati completamente. In quel momento c’eravamo solo io
e lei. Io e la mia moto.

L’aria che scivola tra le dita, che scorre sul cupolino e poi
oltrepassa il casco. Un susseguirsi di emozioni e sensazioni di
libertà che solo la moto ti sa dare.

E ogni giorno che passava, ogni nuovo “giro” sulla
moto mi facevano lentamente dimenticare tutte le raccomandazioni che mi
venivano puntualmente fatte.

Mi sentivo invincibile.

Poi sono arrivati i primi acquisti “seri”, quelli
che ti vengono utili alle velocità un po’
più sostenute. Giubbini con protezioni dovunque, la visiera
scura per le giornate di sole, guanti con le protezioni maggiorate per
le dita e nocche, stivaletti per una migliore sensibilità
sulle pedane e sul freno posteriore. Ed ecco che quelle raccomandazioni
si sono fatte sempre più lontane, quasi non ci pensavo
più. O meglio ci pensavo, ma mi
dicevo: “Qualche protezione in più ce
l’ho. Se cado sono protetto. Tanto non vado forte”.

Tutto era meraviglioso, tutto era perfetto. Nulla poteva rovinare
quelle giornate di sole che sembravano uscite apposta per farmi fare un
giro in moto. Nulla di così complicato, solo un piccolo
giretto in moto vicino casa.

Cosa mi sarebbe potuto succedere?

Parto, sono tranquillo. Tranquillissimo. Non penso a nulla se non alla
strada. Proseguo nel mio giro, sempre più tranquillo. La
strada che percorro è dritta per qualche chilometro. Anche
lei quel giorno è un paradiso: solo sporadicamente
sopraggiunge qualche auto. Ci sono degli incroci, di tanto in tanto, ma
null’altro disturba.

Vedo, in prossimità di uno di questi incroci, una macchina
ferma e fumante contro uno di quei paletti che sostengono le
indicazioni stradali. Accosto. La macchina davanti è
semidistrutta, deve essere stata una bella botta. Mi sembra strano
però che un paletto abbia potuto ridurla così.
Alzo lo sguardo.

Vedo un gruppetto di moto ferme a bordo strada. E in mezzo, ancora
più avanti, pezzi di lamiera sparsi ovunque. Riconosco una
parte: è lo scarico di una Yamaha.

Avverto un senso di pesantezza al petto, come se un mattone me lo
stesse opprimendo. Mi slaccio il casco. Ho il respiro pesante, come se avessi appena
finito una corsa.

Mi avvicino agli altri motociclisti a passo svelto. Voglio vedere come
sta l’amico caduto. Nella testa un pensiero: “Dai,
adesso vado là e lo trovo seduto sul ciglio della strada.
Magari qualche osso rotto, ma cosciente. Vedrai che sarà
così”. Avvicinandomi sempre di più al
gruppetto, vedo altre parti della moto: il copri-serbatoio, la leva del
freno…

Mi giro. In mezzo al campo che costeggia la strada vedo fumare
qualcosa. Cerco di capire cos’è: riconosco la
ruota posteriore, ancora attaccata al blocco motore fumante. O meglio,
a quel che resta del blocco motore.

Mi sento morire.

Ho paura.

Ho paura di vedere il motociclista sdraiato per terra, privo di sensi,
contratto in una posizione innaturale. Ho paura di vedere dal casco gli
occhi chiusi, col viso rigato da qualche rigagnolo di sangue dovuto a
qualche ferita.

Il cuore batte all’impazzata, quel mattone che ho sul petto
è sempre più pesante.

Rigiro lo sguardo verso il gruppo. Qualcuno parla al telefonino, credo
con i soccorsi.

Aumento ancora il passo. Sono vicino ormai, ma non riesco a distinguere
chiaramente le voci, sono confuse. Qualcuno ha la maglietta sporca di
sangue, qualcuno qualche vistosa ferita che si tampona con qualche
garza tirata fuori dal kit di soccorso di qualcuno che sta facendo
prima assistenza. Sono quelli che erano sulla macchina. Loro sono
coscienti per fortuna. Ma il conducente della moto? Lui come sta? Mi
avvicino, con la speranza che la mia presenza possa essere di qualche
aiuto. Vedo il motociclista: è sul bordo della strada, ha
indosso la tuta e il casco. La visiera, nell’urto, si deve
essere però staccata. Vedo il suo viso, quella piccola parte
che il casco lascia intravedere. Gli occhi sono sbarrati, il sangue
è dovunque. Ho una tremenda voglia di piangere. Non conosco
la dinamica dell’incidente, non so chi sia il povero ragazzo
che giace esanime sull’asfalto.

Ma ho una tristezza incredibile nel cuore.

Nel frattempo, tutto si fa più lento: i gesti delle persone
lì intorno, le macchine che di tanto in tanto sopraggiungono
senza fermarsi sembrano andare al rallentatore.

Anche i miei pensieri sono al rallentatore.

Uno dei ragazzi di quel gruppetto di motociclisti mi si avvicina. Non
conosco nemmeno lui, non l’ho mai visto prima, non so cosa
voglia dirmi.

Quel peso che ho sul petto diventa sempre più pesante, mi
sembra insostenibile.

Il centauro mi è ormai di fronte, a pochi centimetri.

Non dimenticherò mai le parole che mi disse con un filo di
voce, quasi con un sussurro:

“E’ stato un attimo…”

Senza aggiungere altro, si allontana, raggiungendo
l’autoambulanza che nel frattempo è arrivata.

La vita è fatta di centinaia di migliaia di attimi, penso.
Ma in quell’attimo i sogni di quel ragazzo si sono fermati.
E' bastato quell'attimo e quei sogni sono stati portati via in
un’ambulanza che non accende le sirene.

Ormai non c’è più nulla da fare.

Non posso non pensare alle sue parole. Perché quel ragazzo
sdraiato, privo di vita su quell’asfalto duro, ruvido e
insanguinato potevo essere io. Probabilmente anche quel ragazzo, poco
prima dell’incidente, stava assaporando il gusto della vita,
quella sensazione di libertà e di invincibilità
che tutti, a cavallo della nostra moto, abbiamo provato.

Questa esperienza mi ha segnato profondamente. Non so se
vivrò ancora la moto come la vivevo prima.

Ma mi ha fatto riflettere, forse davvero per la prima volta, sulle
raccomandazioni di amici e parenti che, giro dopo giro, avevo
dimenticato.

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Un blog di: Makron81
Data di creazione: 20/11/2005
 

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Io sono il Lupo
la fame è mia compagna
la solitudine la mia sicurezza.

Io giaccio di notte 
freddo è il mio letto
il vento la mia coperta.

Io sono il silenzio
un'ombra nella foresta
impronte lungo il fiume. 

La mia corsa
è un lungo inseguimento
di scintille di fuoco 
dalla pietra focaia della notte.

Io sono ucciso ma mai distrutto

Io sono il Lupo.

 

 

 

 

 

 

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