Pennello su garze a brandelli trasudando tinte a palpebre serrate su polpastrelli e polsi imbottiti. E presto fede nella luna, occhio di genitrice divelto. Vorace famelica di silenzi che nell'aura s'inoculano. Ordito intreccio di cruore sul collo. Un sorriso incrinato veglia sul costato, lo allieta. Poppa ingordo dalle ammorbate mammelle. Mentre il dolore non soddisfa e non pasce abbastanza. Si rimurgina ancora con il funicolo ombelicale attorto. Figlio cupido di dilapidarsi nelle stelle. Figlio smarrito nella terra. Polvere dilamata nei bulbi. E mentre umette e corteggia le cosce. Sbuccia lumi di lucciole nell'alveo di Venere. Il giorno s'approda sui palmi consumati. Sacrilego sulle vene il languore perdura fino a tarpare il mattino.
"La fame sono io. Per fame, intendo quel buco spaventoso di tutto l'essere, quel vuoto che attanaglia, quella aspirazione non tanto all'utopica pienezza quanto alla semplice realtà: là dove non c'è niente, imploro che vi sia qualcosa."
Inviato da: OssimoroTossic0
il 01/12/2017 alle 19:05
Inviato da: spageti
il 18/09/2017 alle 16:43
Inviato da: ilkappafl
il 26/12/2016 alle 01:44
Inviato da: canesciolto15
il 15/11/2016 alle 08:00
Inviato da: EMMEGRACE
il 10/11/2016 alle 21:16