ElOqUi DiSoRgAnIcI

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 Pennello su garze a brandelli trasudando tinte a palpebre serrate su polpastrelli e polsi imbottiti.E presto fede nella luna, occhio di genitrice divelto.Vorace famelica di silenzi che nell'aura s'inoculano.Ordito intreccio di cruore sul collo.Un sorriso incrinato veglia sul costato, lo allieta.Poppa ingordo dalle ammorbate mammelle.Mentre il dolore non soddisfa e non pasce abbastanza.Si rimurgina ancora con il funicolo ombelicale attorto.Figlio cupido di dilapidarsi nelle stelle.Figlio smarrito nella terra.Polvere dilamata nei bulbi.E mentre umette e corteggia le cosce.Sbuccia lumi di lucciole nell'alveo di Venere.Il giorno s'approda sui palmi consumati.Sacrilego sulle vene il languore perdura fino a tarpare il mattino. "La fame sono io.Per fame, intendo quel buco spaventosodi tutto l'essere, quel vuoto che attanaglia,quella aspirazione non tanto all'utopica pienezzaquanto alla semplice realtà:là dove non c'è niente,imploro che vi sia qualcosa."-Amèlie Nothomb-