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Democrazia e partecipazione

Post n°22 pubblicato il 19 Novembre 2012 da portorecanatimagazin
Foto di portorecanatimagazin

Ogni giorno che passa il sistema politico italiano è sempre più attraversato da una crisi di rappresentanza e di democrazia. La cosiddetta seconda Repubblica è la viva rappresentazione di questo stato di crisi. All’indomani di un doppio movimento tellurico, uno internazionale, connesso alla disgregazione del blocco dei paesi del socialismo reale dell’est, l’altro interno, con il crollo dei partiti della prima Repubblica a seguito di Tangentopoli, la seconda Repubblica si è manifestata come un lungo processo di ristrutturazione materiale e simbolico del nostro paese.

Il fenomeno più evidente è stato quello dell’ascesa di Silvio Berlusconi, capace di essere il dominus di un campo politico fino a quel momento diviso e persino esterno alla tradizione costituzionale dei partiti esistenti. Quel progetto politico è stato, per usare un termine gramsciano, egemonico negli ultimi vent’anni, in quanto ha modificato profondamente gli assetti politici del nostro paese, riuscendo a cambiare le priorità del sistema italiano. La cancellazione della questione meridionale a favore di una sedicente “questione settentrionale” e l’introduzione in Italia dei partiti personali (poi sorti anche all’opposizione), sono state due peculiarità italiane. Intanto, in tutto il mondo e ovviamente anche nel nostro paese, la ristrutturazione neoliberista metteva sempre più in evidenza la tendenziale incompatibilità tra il liberismo e la democrazia.

In Italia, complice il grado di corruzione interna del sistema politico, tale trasformazione ha avuto dei riflessi sui processi istituzionali materiali. Si sono individuate le assemblee elettive come i luoghi dove avvenivano le distorsioni, i ritardi colpevoli, i traffici oscuri inerenti le decisioni da prendere per nome e conto dei cittadini. Cosicché, prima si è partiti dall’elezione diretta dei sindaci e poi si è arrivati fino al Parlamento.

La sistematica adozione della decretazione d’urgenza, non a caso, occupa oramai la quasi totalità dell’attività parlamentare. Infine, abbiamo assistito alla trasformazione più antipolitica, il governo Monti/Napolitano, che in nome della supremazia della tecnica ha introdotto una condizione d’eccezionalità permanente che consente all’esecutivo di vantarsi, addirittura, di non dover dipendere da una maggioranza politica (salvo poi non inimicarsi mai il suo azionista di maggioranza Berlusconi su provvedimenti che lo potrebbero turbare, dall’asta sulle frequenze alla patrimoniale) ma solo da un consenso prono e indistinto del Parlamento. In nome, ovviamente, del bene dell’Italia.

È logico che, a partire da Berlusconi, molti abbiano pensato di trasformare questo stato di fatto in uno stato di diritto. Le proposte per introdurre sistemi presidenziali, semipresidenziali, del “sindaco d’Italia” sono state il corredo di una classe politica che non sopportava i vincoli della costituzione e che, pur aggirandoli in continuazione, avrebbe voluto vederla cadere sotto i colpi di salvifiche “riforme”. Per ora la Costituzione ha retto, grazie anche al voto popolare del 2006 che bloccò una sciagurata riforma proposta dalle destre di Berlusconi.

È legittimo che ci si guardi intorno. Non penso che il presidenzialismo sia un male assoluto. L’esempio del buon funzionamento, sul piano della stabilità politica, del sistema statunitense alimenta le suggestioni. Così la seduzione del semipresidenzialismo alla francese. Eppure il sistema statunitense è dotato di un sistema di contrappesi reali che sono stati affinati per oltre due secoli, mentre il semipresidenzialismo della V Repubblica in Francia è pieno di falle e contraddizioni e già da tempo si parla di ritornare ad un maggior potere del Parlamento.

In Italia aprire al presidenzialismo equivarrebbe a legittimare la struttura oligarchica che si è costruita in questi anni. Uno degli elementi fondanti della costruzione dell’oligarchia è stata ovviamente la continua ricerca di una legge elettorale che potesse rendere sempre più passivi i parlamentari. Il porcellum, in quest’ottica, è stato il completamento di un progetto di occupazione del potere.

Penso, dunque, che sarebbe necessario ripartire dalle cause di questa crisi, non cercare di affrontarla con l’ennesima scorciatoia a danno della nostra Costituzione. Per questo, considero fondamentale ricostruire un sistema politico a partire da partiti democratici, che vanno regolamentati attuando l’articolo 49 della Costituzione. Oggi non esiste più un sistema di partiti democratici ed è per questo motivo che si sono affermate le oligarchie. Infatti, nell’assenza di forme politiche realmente rappresentative, l’unica strategia che ha rotto il potere degli oligarchi è stata quella delle primarie (non a caso invise tanto ai tecnici, tanto ai padroni del vapore). Se si stabilirà un’alleanza virtuosa tra i cittadini che reclamano partecipazione, a partire proprio dall’uso sistematico delle primarie, e un nuovo Parlamento che possa fare una riforma a favore della costruzione di una democrazia rappresentativa più solida, allora potremo immaginare di ricostruire un percorso che argini la frana in atto. Senza uomini del destino, presidenti e populisti di ogni genere.

Gennaro Migliore

 
 
 
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