Adopero il timone con leggerezza e decisione,
piegandolo al mio volere con maestria tutta femminile,
ora a destra, ora a sinistra,
con l'arte del fuso che tende un filo d'oro.
Scanso ad una ad una quelle forme dure che preannunciano la terra,
avverto lo spirito del grande Genovese che mi guida
verso la meta solida fatta di sassi, alberi e acqua sorgiva, forse.
Lo spero con tutte le mie forze,
desidero più d'ogni altra cosa l'acqua madre dolce
che laverà il mio corpo, i miei capelli e i miei ricordi.
Dopo due ore di navigazione dentro il labirinto del Minotauro,
la vedo finalmente!
E' un'isola piccolissima ma straordinariamente bella,
sicuro dono del dio Apollo,
memore dei canti in suo onore con la mia cythara
quando, al sorgere del sole,
mi recavo sulle sponde d'Itaca per implorare notizie felici d'Ulisse.
Lascio cadere l'àncora in mare che affonda
dentro una melma sabbiosa,
mi tuffo in acqua e procedo a nuoto incurante della mia incredulità.
Ma volo nonostante il mare freni la mia corsa,
il cuore è in gola,
Le vene scoppiano, è terra!
Terra! Capisci, Ulisse? T-E-R-R-A!!
La mia prima terra dopo giorni d'una dimensione quasi eterea.
Cado sulla rena chiara e luminosa,
piccoli diamanti luccicano dentro alle pupille sgranate,
quasi m'accecano per bellezza e purezza.
E grigio, e verde, e azzurro cielo, e azzurro mare,
e ancora verde d'arbusti, e di alberi, e verde di palme piegate al vento
che scompiglia le mie previsioni,
che soffia sulla speranza,
che mi sfinisce in un sonno ristoratore
su quel suolo provvidenziale e salvatore.
Ho conosciuto lì, su quell'isola, Crusoe, compagno di sogni infiniti.
Mi risveglio nel primo meriggio bagnata dalla marea che sale,
fresca marea che mi ricordi d'esser viva sopra una nuova terra!
Sono padre e madre di me stessa,
è ora che prepari il mio giaciglio per la notte
e sfami il mio ventre digiuno da tanto.
Non c'è ombra d'uomo su quest'isola
ma sento il canto d'uccelli indigeni,
e guizza pesce a volontà nelle acque cristalline.
Li catturo con la mia tunica,
accendo un fuoco e mangio a sazietà quei sapori freschi di vita.
Più in là, dove sorgono le alture rocciose,
dal muro verdeggiante d'una macchia,
scopro una sorgente d'acqua freschissima
che si raccoglie in una vasca scavata nella pietra da mani divine.
L'hai scavata per me, Apollo,vero?
Tu che m'hai amata sempre d'un amore speciale, ne sono certa.
M'immergo quasi fossi la venere formosa di Botticelli,
e danzo sinuosa come Anita Ekberg ne" La dolce vita".
Godo a lungo del bagno soprannaturale,
annusando e raccogliendo i miei capelli
che sanno finalmente di frescura boscosa.
Sopra una palma nana,
ondeggia al vento il mio peplos lavato da poco,
é la bandiera della mia sopravvivenza,
un inno sfacciato alla libertà sofferta
e per questo ancora più inebriante.
Ho portato con me una piccola ampolla
colma d'olio persiano profumato,
ne ho sparso un po' sul mio corpo
come in un rito d'iniziazione,
voglio essere profumata solo per me,
voglio amarmi come non fece né Ulisse,
né uomo d'altro nome.
Dentro la piccola capanna d'arbusti e foglie fresche
ho disposto tutto quello che di più caro ho rapito dalla mia casa:
una foto di Telemaco,
una vecchia tunica ricamata di mia madre,
un anello d'oro con un grosso rubino che mio padre mi donò appena giovinetta.
"Un giorno sarai regina, figlia, porta quest'anello,
ti darà forza e ti propizierà l'aiuto degli dei."
Stesa sul pagliericcio naturale,
ascolto la mia canzone preferita
e le note di Battiato diffondono energia nel mio piccolo universo
dove c'è calma nell'animo e nelle membra ristorate.
" Ti proteggerò dalle paure delle ipocondrie,
dai turbamenti che da oggi incontrerai per la tua via.
Dalle ingiustizie e dagli inganni del tuo tempo,
dai fallimenti che per tua natura normalmente attirerai.
Ti solleverò dai dolori e dai tuoi sbalzi d'umore,
dalle ossessioni delle tue manie.
E guarirai da tutte le malattie,
perchè sei un essere speciale
ed io avrò cura di te."
( "La cura" di F. Battiato)
Sai, Ulisse,ho capito una cosa nel mio viaggio.
Non c'è mago o sciamano che possa guarire le nostre ferite interiori,
e nessun intruglio d'erbe di nutrice,
e nessuna amante giovane e bella;
nessuna notte amorosa con l'odalisca di turno,
nessuna guerra vinta
e nessuna corona regale.
C'è solo una grande medicina:
il perdono e l'amore per sé.
"Perchè siamo esseri speciali
e noi avremo cura di noi."
"Voglio trovare un nome a quest'isola.
Non è Ogigia e non è Scheria,
non vi sono stregoni ammaliatori
e principi illusionisti,
e il suo nome sarà dolce come il miele.
Da questo momento, sarà chiamata "Agape".
Agape significa "amore".
Questa è l'isola dell'amore per me, solo per me,
perchè sono un essere speciale
ed io avrò cura di me.
Così dissi e così sarà."
Paenelopees