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Post N° 11

Post n°11 pubblicato il 23 Ottobre 2006 da LaPanceraRosa

The Black Dahlia (Usa 2006)

Titolo
e Credits:



The
Black Dahlia (id.) Usa 2006 – Col-B/N 122 min – Regia.
Brian DePalma – Interpreti:
Josh Hartnett, Aaron Eckhart, Scarlett Johansson, Hilary Swank, Fiona Shaw –
Sceneggiatura: Josh Friedman (da James Ellroy)



Trama:



Il
brutale assassinio di una giovane aspirante starlett hollywoodiana,
soprannominata da giornali e polizia La Dalia
Nera, e le indagini conseguenti, innescano una spirale di
intrighi e mettono in luce la corruzione della Los Angeles del 1947, dove nulla
è quello che sembra.



 



Film d'apertura della 63a Mostra del Cinema
di Venezia.



Brian DePalma torna dopo un silenzio di
quasi 4 anni con questo film definito Noir, ma che di tale mirabile genere
ormai (irrimediabilmente) perduto ha ben poco.



L’ambientazione nella Los Angeles del 1947,
sulla carta perfetta, diviene qui superficiale quasi che il regista non abbia
collaboratori in grado di scovare locations ideali (ed essendo molti gli
edifici di LA realizzati nel periodo dai tardi anni ’20 ai primi ’50, riesce
difficile credere che non se ne siano trovati…un po’ come si dicesse che a Roma
è impossibile ritrovare edifici del Rinascimento…).



La sceneggiatura (di J. Friedman, che già
realizzò quella de La Guerra
dei Mondi nel 2005), parte dal romanzo di James Ellroy, tirando fuori un racconto
un po’ sgangherato con attimi di concitazione estrema alternati a lunghi momenti di pause e di più o meno
inutili chiacchere (compresa la voce fuori campo del protagonista che stende la
narrazione), quando non diventano dei veri e propri “vuoti narrativi”.



Ma se già in passato (in special modo mi
riferisco a quel Il Grande Sonno, di cui lo stesso Chandler asseriva mancassero pezzi perché non riusciva a legare gli eventi) tali “vuoti”
sono diventati fattore determinante dello stile narrativo, nel film di DePalma
spiazzano lo spettatore pur senza mai coinvolgerlo completamente.





Certo, DePalma è sempre un grande regista e
i suoi movimenti di macchina (quando si impegna) sono sempre superbi, come la
magistrale lunga scena del ritrovamento del cadavere della Dalia, realizzato con un dolly a gru che dal livello stradale si innalza a
superare un edificio per sorvolare il luogo dove giacciono i resti della
vittima e, senza esitazioni o inutili e rocambolesche trovate, continua inesorabile la
sua corsa virando di quasi 360 gradi e riatterrando al punto di partenza.



Alcuni ralenty (a lui tanto cari) che
aumentano in parte il pathos e in special modo nella scena dell’assassinio di
Lee (peccato solo che sia la copia esatta -anche se al contrario- di quella
famosa delle scale della stazione in the Untouchables, a sua volta ripresa da
quella famosissima della Corazzata Potemkin), o una scena interamente in
soggettiva ci dicono che Brian proprio un principiante insomma non è: certo è
invece che un autore che cita se stesso e usa troppe volte

l’espediente del ralenty, ci da da pensare.



Ci da da pensare che forse questo film non
lo voleva fare, o comunque un po’ controvoglia l’abbia fatto.



La scelta degli attori (di Lucy Boulting
e Johanna Ray)
sarebbe poi da carcere preventivo: Josh Hartnett che sembra il pupo della porta
accanto, ma interpreta –male- un duro; Aaron Eckhart, che la faccia da duro ce
l’avrebbe pure, non fosse che qui sembra uno stralunato generico che abbia

sbagliato teatro di posa; Hilary Swank che più che una dark lady sembra una
improbabile drug queen, con un cipiglio degno di Joe Lewis; la Johansson delicata come
una miniatura, stupenda con il suo perfetto abbigliamento d’epoca (di Dante
Ferretti) ma monocorde e afflitta da un più o meno oscuro passato (che non ci è
dato se non di afferrare a tratti, e certo non per merito dell’espressività
dell’attrice…).



 



Una grande caratterista come Fiona Show
(con un gagliardo passato da attrice shakespeariana) come Ramona
Linscott, madre di Madeleine, al contrario degli altri, rende benissimo la sua
follia con una recitazione che definire sopra le righe è semplicemente
riduttivo.



Interessante invece la trovata della
narrazione di Elisabeth Short, la vittima, che mai apparirà da

viva bensì solo attraverso spezzoni di provini da lei fatti nel tentativo di
una improbabile carriera hollywoodiana.



Il soprannome della vittima, Dahlia
appunto, le viene attribuito dal successo del film di G. Marshall “The Blue Dahlia” (da Chandler) che, essendo uscito nel 1946, era una
pellicola molto nota ai tempi, mentre quel “black” viene dall’abbigliamento
preferito della ragazza (anche se nel romanzo di Ellroy si fa riferimento ad un
fiore che Betty amava portare)



Sorvolo poi sugli errori sia nel materiale
di scena, che di auto e abbigliamento, errori che sono si

sempre in agguato nelle ambientazioni non in tempi coevi, ma che proprio per
questo meritano grandissima attenzione da parte degli addetti ai lavori.



Nella scena dell'autopsia della Dahlia ad
esempio, quando il patologo solleva la sua mano per mostrare delle ferite, è
lampante la mollezza di un manichino, particolare che, personalmente, mi ha
dato il senso stesso dell'approssimazione di questa pellicola.



Un DePalma asfittico e fuori forma.



 



** Da vedere con riserva



 



 

 
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Commenti al Post:
Arvalius
Arvalius il 27/05/10 alle 12:37 via WEB
Uno dei pochi... anzi, l'unico film di DePalma, che non mi è piaciuto :)
(Rispondi)
smile.new
smile.new il 05/01/11 alle 09:27 via WEB
Non l'ho visto... e sinceramnete dopo averti letto, non penso che ne avrò più voglia!!
:))
(Rispondi)
concalmaeperpiacere0
concalmaeperpiacere0 il 09/02/11 alle 06:18 via WEB
Buongiorno...un sorriso da me per te.....
(Rispondi)
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