ARMONIA NASCOSTA

G L A D * * * * * * *


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    **   Salta un battito il mio cuore quando la parola Herat viene pronunciata.   E la nuvola del sogno si posa su di me. L’arrivo ad Herat si ripete nel mio ricordo.. continuo da sempre ad arrivare ad Herat e l’emozione palpita nella mia gola.    Attenti.. perché Herat non si vede.. potreste superarla.. dicevano tutte le guide.    E’ vero: Herat giace.. non si erge.. giace nella pianura desertica e nel passato.    Io sto ad occhi spalancati.. fremente. Ci siamo lasciati alle spalle la frontiera afgana e corriamo da un’ora.. sulla strada dissestata.. nell’ocra e nella polvere.    Siamo attenti e silenziosi. Poi l’ocra si fa verde ai lati della strada.. verde brillante e intenso. Il grano si piega e ondeggia. Dopo tutta quell’aridità.. quella secchezza disperata.. il verde del grano è come una carezza.. come un bacio sulle palpebre.Siamo vicini.. vicini. Su una curva una vecchissima pompa di benzina di quelle a mano ed accanto una stradina di terra rossa che piega verso destra. La imbocchiamo come chiamati.. è qui.. deve essere qui.    La stradina si allarga.. diventa un viale e il viale ad un certo punto è fiancheggiato da pini altissimi. Sono maestosi.. si allineano in due file per lato.. nascono direttamente dalla terra rossa e soffice.. sulla quale le ruote della macchina affondano un po’.. incipriandosi.    Poi appare la prima casa. Mura di terra e paglia.. lavorate a disegni geometrici.. colorate di turchese e rosa spento. La terra è ancora terra rossa.. non c’è asfalto ad Herat. Le case basse.. si susseguono. Nell’aria si sente l’odore dei pini e gli uccelli che curiosano sulla strada si sollevano in volo davanti a noi. Due mucche bevono nel djub.    Poi cominciano ad apparire le prime persone: uomini nei larghi pantaloni verdi.. lilla.. marroni.. bianchi.. pedalano lungo la strada. Il viale corre per diversi chilometri.. tra i pini e le case basse. Man mano che avanziamo.. nel silenzio tranquillo si intensifica la presenza di uomini e bambini su asinelli che trotterellano. Ancora non abbiamo incontrato neanche una donna. Gli uomini si girano a guardarci mentre avanziamo a passo d’uomo.. ci salutano con un gesto della mano.. ci sorridono. Accolti da quei sorrisi.. da quel silenzio.. dal primo illanguidirsi della luce del sole.. penetriamo nella città.    È tutta così Herat.. viali di terra rossa scanditi dai pini solenni.. niente luce elettrica nelle strade e niente asfalto.. non il più piccolo tratto asfaltato.. e sulle porte delle case lumi di petrolio appesi. Nell’aria l’odore di resina e di ginestra e quello di legna fresca. Cataste ordinate stanno accanto alle case. La gente si muove a cavallo.. sugli asini o in bicicletta. Le case sono di fango e paglia.. piccole o grandi.. modeste o lussuose.. decorate con arabeschi complicati o versetti del Corano o con semplicissimi fregi.. tutte fango e paglia. Al secondo piano hanno verande aperte.. che aggettano sulla strada.. sono senza vetri o imposte e uomini e donne guardano in giù.. sulla strada.. bevendo il tè e conversando.    Grandi drappi di stoffe colorate avvolgono i pali di legno che sostengono le verande.. e si agitano fluttuanti nell’aria. Si sta facendo sera.. ma è una sera come un’alba: una luce dolce.. morbida.. colpisce la leggera polvere rossa che si solleva da terra. Ogni tanto i viali sono interrotti da piccole piazze che hanno al centro un giardino di un verde brillante e uomini e donne siedono sulle sedie di casa e parlano.    Il solo mezzo di trasporto pubblico che si scorga sono le carrozzelle.. condottte da cavalli infiocchettati e decorate con decine di campanellini tintinnanti. Sulle carrozzelle viaggiano le donne.. dietro le grate dei loro burqa gialli.. viola.. verdi.. rossi e si girano a guardarci bisbigliando tra di loro. Ad un tratto un cavaliere passa al galoppo.. sollevando la terra rossa. Cavalca a pelo. L’uzbeco dal berretto multicolore continua a passare al galoppo accanto a me.. e io continuo a seguirlo con lo sguardo. Da trent’anni lui galoppa e nel superarmi si piega un po’ sul collo del cavallo e volge indietro il capo a guardarmi. Da trent’anni io lo seguo con lo sguardo.    E sto fermo di fronte alla Moschea del Venerdì. Immensa.. solenne.. posa direttamente sulla terra rossa e rifulge di verde e turchese. In cima al minareto volto ad occidente.. brilla un fuoco. È scesa la sera e poiché la vita è buona.. nel cielo azzurro fondo di Herat.. la luna si è alzata. La vela appena il fumo che si alza dai camini a legna.    Da trent’anni continuo ad arrivare ad Herat e mi fermo davanti alla Moschea e la guardo con gli occhi sgranati di un bambino e l’emozione è tale che mi porto una mano al petto a contenere il cuore.   La guerra strappò Herat al secolo diciannovesimo in cui allora viveva e la fece approdare nel nostro tempo. Un secolo vale l’altro.. lo so.. non esistono le età dell’oro.. il dolore.. l’ingiustizia.. la violenza.. rotolano attraverso i secoli e attraverso le regioni del mondo. Herat non era l’Eden. L’Eden non esiste!      Ma mi concederete che esistono momenti speciali.. piccoli miracolosi momenti.. in cui elementi diversi si accostano e si compongono.. e stanno là in equilibrio perfetto.. in una nicchia protetta del tempo.    Chi ha vissuto uno di questi momenti non li dimenticherà mai e li chiamerà con il solo nome appropriato: felicità.  **  
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