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Dodici

Post n°27 pubblicato il 07 Maggio 2012 da PapaveriSparsi

Il dolore ha grandi mani.
E le usa per stringere, per strangolare, per attanagliare.
Agendo in silenzio. In quel piccolo spazio che dal Cuore porta all'Anima, in modo da detonare nel mezzo e distruggere tutto.
Nulla distoglie il dolore dal suo compito.
Il suo movimento segue rotaie solide ed infinite, rette parallele che trafiggono ogni ostacolo, ogni speranza, ogni sorriso e seguitano a trapanare la vita senza sosta.
Chiara era ferma davanti allo specchio.
Come ad una fermata di un treno senza meta, uno di quei luoghi nebbiosi che confonde i contoni, ma rende visibili gli aloni dei lampioni accesi in una sera qualunque.
Alori che le contornavano gli occhi cerchiandoli di fatica, di sonno mancato, e le palpebre gonfie a rendere lo sguardo sottile e sfuggente.
Una cornice di sgomento teneva al centro un viso quasi sconosciuto, in cui lei a stento ritrovava i lineamenti antichi che disegnavano la sua identità.
Con le dita seguiva quelle rughe ostili, come se una carezza leggera potesse alleviare il loro solco, la loro implacabilità. Come se si potesse cancellare il grigiore del sudario che il dolore stende sul volto.
In certi momenti malediva il suo stesso respiro, il suo essere viva ed inerme di fronte alle sberle della vita.
Avrebbe voluto chiudere gli occhi, sentire il cuore fermarsi, e non avvertire più nulla, solo il conforto del silenzio assoluto, dell'assenza di alito vitale.
Ma la fuga non è una buona soluzione, forse nemmeno dignitosa.
E la dignità per lei era un valore assoluto.
Cercò di pensare ad altro. Si lavò il viso con acqua fredda, massaggiò la sua crema e pettinò i capelli, raccogliendoli poi sulla nuca con una pinza.
Era venerdi. Lui stava per arrivare.
Si vedevano solo durante i fine settimana, lui abitava in un'altra città, aveva una vita che si intersecava con la sua solo per due giorni alla settimana.
Un singhiozzo di rapporto portato avanti così da anni, in modo meccanico, asettico.
Una collaborazione silente. Stanca. Vuota.
Lui aveva appoggiato il suo cappello sull'appendiabiti di lei, aveva preso possesso dei suoi spazi, riempito di cose sue i cassetti, lasciato lo spazzolino in bagno e questo lo faceva sentire stabile, radicato. Tanto statico ed indifferente da non doversi neppure preoccupare di commentare i silenzi di lei, o le lacrime che spesso scendevano in silenzio sul suo viso, così, senza un apparente motivo, senza un fattore scatenante, come chi è triste dentro da una vita e non ha nemmeno bisogno di un motivo per piangere perchè il motivo è la vita stessa.
Si mise a preparare la cena.
Iniziò a pulire ed affettare le verdure per un minestrone e aggiunse una crosta di parmigiano per insaporire.
Ripensò per un attimo al suo incontro del pomeriggio, all'uomo della vetrina.
Non era stato solo un altro cappello nella sua vita, ma un timido desiderio di speranza, un piccolo giro in una giostra che lei amava moltissimo e di cui aveva un dannato bisogno. La giostra in cui ci si prende per mano e si cammina insieme, condividendo ogni sensazione, guardandosi negli occhi, ascoltandosi sul serio, partecipando alle emozioni dell'altro.
L'essere stata così bene con lui aveva reso insopportabile la serata e il ritorno alla solita vita, alle solite cose fatte ormai meccanicamente, alle solite frasi che si sarebbero dette, alla solita noncuranza che avrebbe subito, alla solita sensazione di incompletezza a cui ormai si era abituata, alla solita tristezza che la possedeva completamente.
Le lacrime di Chiara scaldavano una notte fredda, ma il calore della sofferenza nasconde un nodo serrato di gelo che paralizza.
"Accidenti alle cipolle! " pensò.
Il dare la colpa a qualcosa che non fosse lei, la aiutava ad odiarsi di meno, a sentirsi meno inadeguata nei confronti di se stessa.
Era un conforto che durava un secondo.
Ma anche un solo secondo di pace aveva una sua importanza.

 

(continua...)

 
 
 
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