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Altre...

Post n°4 pubblicato il 07 Giugno 2006 da Patonsio

Altre meraviglie dal carro bestiame.

(2° parte)

Il treno irrigidiva intanto le sue pulegge e i suoi volani per la sosta in una stazione. Non senza stridere nelle severe sue guide. Era il colosso dacciaio serrato entro ceppi di ferro che si ribellava, a suo modo, contro la schiavitù che un forte patisce da un vile, pur sapendo che il regime imposto fu, è, sarà ineluttabilmente, lunica vita possibile.

Un solo viaggiatore, barcollante per i guizzi con cui il treno aveva voluto, ancora uninutile volta, scrollarsi di dosso i metallici gioghi, entrò nello scompartimento.

E sedette.

Sì! Lamico benigno che sorveglia premuroso le vicissitudini dei nostri beniamini, vale a dire il vigile lettore (a questo punto affratellato ai casi degli eroi affidati al suo affetto dall’Autore), avrà di già capito dove, sedette.

Proprio in quel, posto.

Ecco che, appena ripresa la corsa, la porta cominciò a dondolarsi, negligente, svogliata quasi, prima lenta e trasandata, poi molesta e petulante, infine inarrestabile, invasata da perversi geni maligni.

Il nuovo arrivato, degno sostituto di Carmine, il quale era, dal suo canto, ben attento e concentratissimo a causa della forte curiosità con un picciol gesto del gomito, azzardò, ignaro, lo stesso tentativo saggiato da Pat.

( ..! )

La porta era più indemoniata di prima.

( … )

Patònsh, reso lugubre dal fiele ingurgitato, prese un espressione da deportato malgascio digiuno, e rivolse senzindugio al nuovo viaggiatore quegli intensi sentimenti di spregio che si rivolgono ai vespasiani cittadini, quando, impraticabili, sono abitati ormai solo da infette deiezioni e marcescente putredine.

Carmine meditava melanconicamente per risarcirsi delle passate incomodità che proprio in quel modo le generazioni che vengono dietro alle generazioni ripetono gli stessi sforzi per ottenere sublime e crudele inanità dellumane cose! gli stessi inesorabili insuccessi. Con queste meditazioni ascendeva alle vette olimpiche signoreggiate dai sereni pensatori greci, tuttavia non trascurando di compassionare il poveraccio che, ormai in pieno potere della porta, rigirava su e giù la maniglia, palpava il buco, studiava il mistero, investigava il nulla.

La porta, lei, si lasciava palpare lasciva e paziente, con quellebetudine degli infermi che, intorpiditi dal farmaco, si lasciano sballottolare dal medico inesperto che dissimula con zelo ipocrita la propria inettitudine.

Sembrò che volesse rassegnarsi al destino, il viaggiatore, ma non così quel bilioso segaligno che ora, con attenzione impaziente e cattiva, seguiva le sperimentazioni della nuova vittima.

La quale vittima, dopo essersi convinta, come Carmine, che ogni sforzo sarebbe inutile, raggiunse questultimo nelleliso degli stoici, rinunziando decorosamente ad ulteriori collaudi, e senza cambiar di posto salzò con virile forza danimo il bavero e si rannicchiò nel sedile.

Patonsio, ritornato splendidamente nella patria morale che accoglie tutti gli orgogliosi ormai vendicati, salutò tale risoluzione con lo scherno che si serba in caldo per gli stupratori infami caduti finalmente in mano alla giustizia con questastiosa espressione sibilata tra i denti:

…[Getta]… sangue dal… [ la coda ] ..![1]mentre Carmine, appartenendo ad unaltra scuola filosofica, pareva volesse premiare con il più cordiale sorriso il provvedimento di resa senza condizioni adottato dal novello sconfitto.

Allo smilzo disseccato, invece, questa condotta parve colmare la misura alla pazienza, e, dardeggiando intorno a sé sguardi infuocati come anatemi, o fatture malefiche dagli occhi iniettati dun vivo rossore di rabbia, o, chissà, di congiuntivite blenorragica con ferocia di spettro disturbato nel sonno delleterna condanna, strappò una pagina del suo giornale, la piegò esaltato in due, in quattro, in otto, in sedici, in trentadue, forsanche di più!  e drizzandosi come lAngelo Sterminatore andò a incastrare quella specie di cuneo tra gli stipiti della porta insolente; poi le assestò un calcio formidabile, ma così dosato e perfetto, che la porta pervenne a combaciare senza lamento o tentennamento alcuno, là dove doveva per lappunto, e se ne ristette immobile, forse vergognosa, forse pentita, ma bloccata saldamente! Chiusa!

Cera da scimunire davvero!

Pat il paonazzo, infatti, esibendo nel volto delicate sfumature tra il rosso-prugna e il viola-esangue, senza pôr tempo, scimunì.

Certo, per quanto gli fu possibile, data la sua natura collerica, ma scimunì: il sedile gli bruciava sotto e sembrava tormentarlo, e le mani, le mani non riusciva più a mantenerle ferme, benché si sforzasse; i piedi condividevano la stessa agitazione delle mani ma non quella del ventre, che anzi si rimuoveva con scossette ondulatorie, ritmicamente, come obbedisse ad una suadente musica esotica, ricordando, per contrasto, il grembo armonioso ed incantatore della più sensuale danzatrice del ventre evocata dagli antichi regni delle Favole Persiane.

Il secco odioso, forse imboriosito dalle erotizzanti beh, quasi movenze delladdome patonsiesco, tornando a sedere, propinò al baiadero nostro prima, agli altri poi, uno sguardo bruciante, e sorrise cilestrino il carogna come un depravato ramarro, al vederli confusi e screditati, dentro la più persuasa impotenza.

Ebbe un bel da fare, Carmine, per ammansire Patonsio che voleva, novello conte Ugolino, ripagare lultimo affronto pascendosi del cranio presto scoperchiato di quegli: evitando prudentemente i temi ancorché fondamentali della fratellanza universale e della pace fra le genti, fece appello al coraggio di Pat, che mai, suvvia, mai si misurerebbe con un individuo tanto inferiore per robustezza muscolare. Ciò nondimeno il rotondo camerata voleva almeno testare lequilibrio cinetico di colui con linstallarlo turpemente sullindice della propria mano sinistra, – barbaro perno invasivo nell’innominabile cavità – la destra riservandosi per imprimere un vorticoso moto rotatorio.

Rabbonirlo, far passare il momento critico in cui gli ormoni ammattiti facevano scorribanda pel corpo corroso dellamico ammainando la bandiera dellanarchia più devastatrice, ecco, il difficile compito scelto da quel saggio.

Ma sì, vi riuscì, per fortuna.

***

Perché nasconderlo? Una tecnica così rapida e precisa, così dannatamente efficace, non poteva non conturbare Carmine, il quale cominciò a ruminare deduzioni circa:

A) Limponderabilità dello spirito strategico che cova in taluni individui e che non fa intorno mostra di sé a volte per mancanza di nicchia ecologica favorevole, a volte per colpa di un destino nemico.

B) La felicità della soluzione trovata, con magnifico colpo docchio e più magnifica calcagnata, in una circostanza tanto seccante, segnalava quel signore come lembrione di un Napoleone in germe, una specie dAlessandro Magno in potenza, labbozzo di un Gordio appena tracciato, il feto dun Dario mancato, lidea di un Pompeo andata a vuoto.

B.1) Limpossibilità oggettiva della conquista di terre dEuropa o dAsia, relegava il fenomeno in questione al destino deccellere nella chiusura delle porte impossibili nei vagoni ferroviari.

Ergo: laborto scarnito era il disilluso trionfatore solitario e reietto di imprese ordinarie, ma pur sempre incresciose, come bloccare porte e farsi scannare dal non meno leggendario Patonsio.

***

Ragionava così, quando venne a distoglierlo dal fecondo ragionamento un inatteso accidente: si aprì con violenza la porta perché entrò il controllore, avido di biglietti da sforacchiare.

Cadde alfine quella pagina ripiegata le trentadue volte e più, e limpiegato ignavo si appoggiò sulla porta per bucare indisturbato. LAnnibale di tutti i battenti ribelli, velenoso di bile e spoglio della padronanza di sé, vomitò allora:

È un schifo! Non funziona mai niente! Però noi paghiamo, caro lei! E con soldi buoni, no con soldi fasulli come il servizio che ci viene dato! »

Lodio bolliva nella sua voce stridula, facendo vibrare ogni parola come gagliardetto in battaglia.

Si…ma infatti... Non si chiude bene… È vero… sbadigliò annoiato il controllore, ineffabile.

So io bene con chi devo protestare, caro amico! tuonava lo scheletrico Il viaggiatore è buono solo a pagare, vero? Ma io non mi faccio mettere la museruola da nessuno, ha capito? e si riduceva il collo gonfio oltremisura, tutto arabescato di minacciose vene varicose, a rischio di procurarsi un qualcheccosa.

Ma sì, gli fischiettava laltro con la più bella noncuranza capace che[2] ora laggiustano. Se non è oggi è domani. Io penso, almeno, secondo me, che tanto laggiustano, prima o poi…  Ma sicuramente.

Ma che prima o poi mi va contando? Sono quattro mesi che viaggio in questo vagone, proprio in questo scompartimento, e quella porta sbatte sempre! Sempre! Non se ne può più di… ma non poté terminare la frase, a motivo di un violento attacco di singulti e ronchi di tosse catarrosa, e vischiosa forte, mica da ridere! Cercava, soffocando penosamente, di trovare una direzione da cui attingere meglio il respiro, che aveva guasto e corto da far pena anche a un Patonsio.

Per dire.

Ma Patonsio, assiso nella sua postazione in atteggiamento da dissoluto sibarita ben satollo di vizio, schioccava deliziato i labbrucci che un tempo irretirono ben più duna smorfiosetta grassottella, ma adesso pasteggiavano i ghiotti bocconi consentitigli dal vedere in difficoltà il nemico, umiliato e costretto a spruzzare soffi dasma nervosa insieme ai sorrisi più altezzosi del suo repertorio, tanto per darsi un contegno da sano, allincirca.

Carmine si rituffò in una meditazione profondissima, che aveva il seguente oggetto: l’apparenza ingannevole delle cose, testè palesata da un fortuito intervento, rivela con sufficiente chiarezza che:

α) La presunta strategia altro non è che un pietoso caso di adattamento alla circostanza.

β) La presunta perfezione tecnica è, essa pur anche, il risultato di mesi quattro suppergiù spesi in faticosi tentativi.

γ) Il tirocinio quadrimestrale ha certamente preso avvio, come nel caso del gran Patonsio, col tentativo canonico e ingenuo della gomitata.

δ) Esservi sostanzialmente disuguaglianze solo apparenti tra il saturnale consunto e il venereo Patonsio, al modo approssimativamente analogo della distribuzione omogenea degli stessi elementi nelluniverso celato dai freddi spazi siderali.

Ergo: altro non esser la vita stessa che uno stravagante caleidoscopio che rimanda, ebbro e confuso, immagini che ritornano nei tempi e nellepoche, lasciando alluomo, osservatore smarrito, limpressione di aver vissuto ma dove? quando? esperienze che di già sfibrarono i suoi bisnonni ed oltre…

***

Non stette troppo a torturarsi su, dal momento che fu richiamato dalla necessità di trasferire in altra e più pacifica vettura sé stesso e il suo compagno, cui lappetito pernicioso per il cranio nudo dellavversario cominciava a risvegliarsi irresistibile, in ragione della solenne caduta in bassa fortuna di questultimo:

E se ancora non lo sai, gli mugghiava contro uno solo me ne basta! Con un morso solo ti scippo la testa, faccia di... [ vespasiano ][3]

***

Nella nuova vettura, dopo poco che si installarono i Nostri, si aggiunse una famigliuola composta da babbo, mamma e sei (!) innocenti () frugoletti.

I frugoletti, per prima cosa, vollero stare in piedi sulle poltrone, poi infìlarcisi sotto, ed infine saltare sulla reticella delle valigie. Urlarono, frignarono, e pareva persino che bestemmiassero.

Se non furono essi a bestemmiare, dovette essere un anziano signore che si trovava in fondo allo scompartimento ma è anche lecito farsi persuasi che i frugoletti fossero più che capaci di tuonare terribili bestemmie, dal momento che non economizzavano in fatto di detonazioni daltre stomachevoli ariette ammorbanti. Uno dei mocciosi si impossessò del finestrino, tolse il cuscino dalle mani di Patonsio, gli pestò i piedi. Il fumo e la sporcizia lo annerirono tanto, che non si capiva come i genitori potessero riconoscerlo.

Quando il treno passò su un ponte, cadde nel fiume.

Non poteva esser vero, come giunse a dire la madre, che il buon Patò lo avesse spinto facendo finta di niente. Le madri – è noto – esagerano molto. Carmine disse solamente con tutta sincerità, e con il virtuoso desiderio di consolarla, che il bimbo, quando era caduto, era talmente sudicio che ormai non poteva servire più a nulla. Sembra che la madre non fosse daccordo con tale equilibrata opinione.

Il signore anziano, dopo, nel corridoio, si congratulò con Patonsio, la testa del quale occupatissima a coordinare i muscoli buccinatori delle guance e quelli orbicolari delle labbra al fine di zufolare un allegro motivetto popolare  rimirava con incanto e rispetto religioso.



[1]  La decenza ci vieta di riportare quella terribile espressione, se non opportunamente depurata della feccia. In effetti la lectio difficilior prevederebbe un testo leggermente diverso, dove si fa realistica segnalazione sulle precise modalità di espulsione del liquido tessuto, con precisi riferimenti anatomici che sono ricorrenti nei vernacoli plebei dei tipici lazzaroni. N.d.A.

[2]  Forse. N.d.C.

[3]  Ma non era proprio questa, la parola usata, però come il lettore sa, etc., etc. N.d.A.

 
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Altre meraviglie...

Post n°3 pubblicato il 07 Giugno 2006 da Patonsio

Altre meraviglie dal carro bestiame.

Morchiato di petrolifero untume sudava il treno cicciuto, e ansante di ferraglia impaziente si scaldava gli ordigni propulsori, sbuffando insolente alla maniera del burocrate ministeriale cui sia concesso leffìmero potere di tormentare il richiedente dun servizio dovuto.

Ahuiiìii..! – e – Heiaàaah..! – come pure – Rrràaahh gli facevano eco, in un toccante pittoresco coro merdicolore (in cui distinguevansi il virtuoso della espettorazione, lartista del vituperio, il maestro dellinvettiva, il campione di villania), sulle banchine lerce, capitreno, addetti,  facchini, operai, ed altri sfaccendati stipendiati del trasporto ferrato, fini a se stessi.

Ah! Mirabile scorcio del girone dei condannati al cabotaggio ferroviario di quei tempi lontani e felici!

Basta.

Bando ai cedevoli sentimentalismi.

Per ritornare ai nostri limpidi eroi, si dirà in tutta inalterata franchezza che, infiltrati nellaromatico scompartimento, naturale empireo dogni eletto bacterio, paradiso vagheggiato dogni vibrione emigrante, eden di delizie dello schizomiceto globe-trotter, si abbatterono avviliti sui primi sedili a portata di natica. Qui si resero conto che una qualche ragione disciplinava la convergenza degli sguardi ironici di tutti i più o meno compagni di viaggio.

Sguardi perfidi, sgarbati, e perciò stesso meritevoli noncuranza, eppure quelle guardate prive di amabilità affondavano, come scostumata lingua porcina nella ghianda dentro lindifferenza di Carmine, il quale aveva notato, nello stesso tempo, qualcosa dincomodo, di assai più incomodo e preoccupante che non la curiosa impertinenza di quei viaggiatori, ed era una indisponente corrente daria che filtrava dalla porta socchiusa.

Sapeva benissimo dove dirigersi per dar più imbarazzo che potesse, lo spiffero screanzato: elesse infatti sua naturale foce lorecchio di Patonsio, il quale distese, con la sveltezza di chi è abbonato aglimpicci provvigionati senza richiesta, la seguente risoluzione:

Eccheccè dubbio..? Sempre a me mi trovano bello confessato le camurrìe[1] quando si tratta di scassare la..![2]

E consegnò al battente, per farlo stare a dovere, il sollecito donativo di una brutale gomitata ricevendone in ricompensa un dolore acuto che prese ad irradiarsi per tutto larto con soverchio formicolio e agli altri viaggiatori la soddisfazione maligna e lo sprezzo sufficienti a destinargli sguardi che pressappoco significavano:

«Infelice! Ti figuri che nella vita tutto sia molle e adattabile come il grasso che ti ricopre? Che le cose difficili si possano risolvere con una zampata di bestia? Ah poveretto! La vita è qualcosa di più spigoloso e inclemente, per fortuna, sì, per fortuna, un po per tutti!»

Constatato linsuccesso dellamico, che tanta appagante voluttà aveva regalato ai presenti, chi più, chi meno Carmine misurò la maniglia, la girò, bene attento la rigirò, esaminò il dente della serratura, il buco dove avrebbe dovuto far incastro, cercando, ispezionando, investigando sulla causa occulta di quellinconveniente.

Palpò dolcemente la porta come se incitasse un amico per unimpresa difficile, poi la spinse, la tenne, di nuovo la spinse, la guardò con odio e infine, cominciando a preoccuparsi di perdere sconvenientemente bussola e pazienza, labbandonò al suo grigio destino.

Ma sì. Era inutile!

Dietro cento giornali spiegati saffacciarono gli occhi infidi di coloro ai quali la sfida:

Carmine & Patonsio

contro

la Porta maledetta

doveva promettere godimenti più succosi della lettura delle storie di corna del personaggio famoso o delloroscopo redatto dallermafrodita in voga al momento.

E così, dato che la presenza di un pubblico suole eccitare lamor proprio, Patonsio il curvilineo sincaricò di compiere un altro tentativo, e si diresse con la baldanza dei cavalieri senza macchia e senza paura alla volta del meccanismo incantato.

Pensò allora di alzarsi da dove era seduto per guardare il nemico in faccia. Cavò di tasca un temperino e lo ficcò nel pertugio rimestandovi per benino qua e là; ma quel dente che avrebbe dovuto chiudere la porta non veniva fuori nemmeno a pregarlo.

E cerca, e scava, e scuoti, e sbatacchia, niente.

Non cera verso.

Resisteva con caparbietà pari alla testardaggine di Patò di stanarlo e trionfare sulla materia bruta.

Nel sedile in fondo, due signorine ridevano tra loro e guardavano impietosite.

In particolare, una brunetta pingue e rosea con tutte le attrattive di un timido e vezzoso maialino, scoccava occhiatine dincoraggiamento allimpavido competitore: non diversamente nel medioevo le dame avrebbero incoraggiato i cavalieri alla vigilia di sanguinose tenzoni!

Ma ad uno degli altri spettatori, ossuto e privo dogni senso dumana compassione, brillavano nella pupilla scintille duna infernale allegria, e implacabile, dal profondo del suo animo corrotto, mentalmente cè da giurarci scagliava questa catilinaria verso il detentore di tutti le afflizioni endocrine:

«Impara. Impara ciò che vuol dire soffrire! Sudalo tutto, quel grasso ributtante che ti gonfia, porco pasciuto! Vedi ora se ti serve a qualcosa la stupida prosopopea di prima..!»

Carmine era preoccupato per il contegno degli altri viaggiatori, per i quali tanto lui quanto il suo compagno stavano interpretando né più né meno che un penoso numero da miserevoli artisti di strada, se non da bestie da combattimento clandestino per cui presentiva che se lo scontro fosse durato, sarebbero cominciate le più odiose scommesse sul risultato finale.

Ora, bisogna che lo si divulghi: Carmine non aveva mai nutrito nessuna vocazione per la carriera di domatore di porte, bensì un vero debole per la filosofìa; cosicché realizzò nella sua mente quello che uno scolastico chiamerebbe un fiorito sorite alla maniera di Zenone e Crisippo, ovvero un onesto sillogismo:

1) Esservi accidenti superiori alle forze delluomo.

2) Gli imperscrutabili innesti che il caso manda a effetto nel percorso vitale dell’uomo fanno sì che uno di questi accidenti possa prender forma di porta dun vagone.

3) Malgrado florido di carni e arricchito di gremito pelame, lottimo Patò è, in spregio alle apparenze, un uomo, ergo: le sue forze, come quelle mie, del resto, non sono che forze umane.

4) La dotazione di forze da noi fruibili è inferiore agli accidenti di cui si fa menzione sub articolo 1.

Alter ergo: noi non « possiamo » chiudere la porta.

***

Per onorare dun fondato corollario le astrazioni suesposte, risolse di abbandonare subito limpresa, invitando il compagno ad abbracciare lesempio e a lasciare che la porta fatale seguitasse a dondolarsi a capriccio sopra i suoi gangheri, aggressiva e trionfante, e che dalla fessura filtrasse empia quella malefica corrente daria che usa germogliare in polmonite. Quindi assunse un contegno da filosofo pragmatista: non potendo adattare la realtà alle proprie convenienze, preferì adattare le convenienze alla realtà.

E vi riuscì, con ponderata manovra.

Concertò col fido confratello di occupare altri posti ove schivare la fredda pugnalata dellaria.

Fatto questo lasciò cadere dallalto, su gli altri passeggeri, una guardata carica di dignità e dorgoglio, supponendo di riscuotere una qualche approvazione a quella assennata e sobria politica.

Macchè!

Fuori questione.

Ogni singolo occhio sera di nuovo eclissato dietro loroscopo del nostalgico ammaccatello alla moda, dietro glincroci enigmistici di parole, la posta del cuore di Madame Samantha, i necrologi con i defunti dai nomi bizzarri, gli annunci per farsi erogare massaggi dove si sa abbastanza benino.

Neppure le due signorine, neanche la provvisoria incapricciata del beau garçon Patôns, guardavano più.

Lamore chera gemmato in quello spazio darmoniosi istanti in cui due cuori sentono il supremo richiamo chè lanciato dal sapersi marchiati della stessa ferita impressa col fuoco, o se si preferisce, dal riconoscersi devastati dal medesimo sfregio fatale, o segnati dalla stessa piaga che riversa lo stesso pus, deturpati da unidentica fistola ulcerata che sprigiona lo stesso miasma, insomma, quelleffimera passione concepita nel cuoricino paffuto della sferoidale sconosciuta, quellattrazione labile e colpevolmente fugace, aveva cessato di esistere.

No, più non palpitava di brama per il convesso Path…

Ah! Se non temessimo di far ruberia di versi ai poeti immortali, diremmo che la botte rinnegò il fusto o piuttosto che, tramontata la fregola, la vacca si sgravò del capriccio di manzo.

Lo scalognato giovanottazzo era tornato, per quella capricciosa vergine, ( … ) nel giro di un breve conflitto vano, un qualunque Patonsio mortale. Soltanto il signore ossuto pretese annichilirlo, con unocchiata ultima di disprezzo, come schifando il disertore dei più sacri doveri civili.



[1]  Fastidî, seccature. N.d.C.

[2] Il lettore amico e le indulgenti lettrici sapranno perdonare qualche omissione concernente le impoetiche trivialità pullulanti nel primordiale lessico di Patonsio, anche se, quando un fedele schiavo della verità - qual simpone dessere lautore - scrive per la posterità, questi dovrebbe negarsi per sempre il diritto di accomodare o abbellire le cose. N.d.A.

 

 
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La chiave (2° parte)

Post n°2 pubblicato il 07 Giugno 2006 da Patonsio

Carmine aveva perso il conto seppur approssimativo delle scale, ma nel suo intelletto si aprì un varco la consapevolezza che era salito per dodici o tredici piani. Sedette a riposare, cercando di ottenere il controllo degli eventi che prendevano un corso del tutto marcato dalla più inopinata ingovernabilità. Non avendo ottenuto dal cielo segni rivelatori di una svolta decisiva alla sua sorte di proscritto, ricominciò, frastornato, a salire ancora per sedici piani altezza notevole davvero sui tetti della città di *.                   

Gagliardo della sua disposizione al raccoglimento e al conforto della filosofia, cercò di ragionare ostentando una illusoria serenità.

«La casa in cui siamo entrati,» pensò «non possiede tanti piani quanti ne ho, per così dire, peregrinati, ergo: io non sono in quella casa. E nemmeno Patonsio, che Dio me lo faccia incontrare ancora integro di corpo e di cervello! si trova colà. Per la verità egli non si trova neppure costì. In fede mia, costui non si trova in alcun dove! Un giorno lo rivedrò e rideremo insieme di questavventura così stramba. Daccordo, mi sono sbagliato. La debolezza fisica e nervosa mi ha causato questo stupido e risolvibilissimo equivoco. Tranquillo. Vediamo un po’…» si disse con laria più amichevole che riuscì ad assumere «quale edificio, dunque, vediamo vediamo, ha, ventotto, trenta, o più piani a *?»

Mentre il cuore, furiosamente, iniziava a palpitare, e le mani andavano angosciosamente a congiungersi incrociate, gli occhi gli si sgranarono dilatati dallo spavento: non poteva dare a sé stesso altra risposta che questa:

«Non ce né nessuno!»

Era sicuro! Non cera in tutta * alcun edificio di trenta piani.

«Ma se è così, se a * non cè casa di trenta piani… io non mi trovo a *!»

Fu costretto a sedersi a causa di un nuovo soprassalto demozione. Sudò freddo.

***

«Calma, calma,» prese ad esortarsi quel forte, «Carminello, Carminello, cerca di ricordare… Quali azioni hai intrapreso? In che treno sei salito? Qualera lesatta destinazione?» e abituato comera allintrospezione e allanalisi, diede ancora in pasto allavide fauci del raziocinio suo cibo ancor più indigesto, dicendosi: «Carmine, oh Carmine, chi sei tu? Dove vai Carmine? Donde vieni? Ma soprattutto, cosa ti spinge?»

Avrebbe, quel generoso giovane, vieppiù mosso in profondità la penetrazione nei meandri dellIo, se un crepuscolo di lucidità non lo avesse indotto ad arrestarsi in tempo, proprio quando era ormai arrivato sul punto di chiedersi, insieme al poeta: «Carmine, chi fûr li maggior  tui? »

Lidea del grattacielo, e cioè che un colosso dacciaio e cemento tenesse sequestrati lui e il camerata, si fece quindi strada nella sua mente estenuata:

«Mi trovo a Nuova York,»   sospirò «ancora non so come, ma mi trovo a Nuova York o forse a Tokio. Quelle due parole dInglese, magari, le conosco… ma il giapponese? Che gli racconto se mi interrogano in giapponese, o magari in qualche lingua a me  sconosciuta? Sono perduto.»

Sedette sulle scale affondando il viso tra le mani, e si abbandonò a una cupa meditazione.

«La mia vita è distrutta per sempre. Ignoro il giapponese, e mi sarà difficilissimo, quasi impossibile, farmi strada in questo paese. Rifarmi una vita dignitosa, crearmi una posizione accettabile… sarò io luomo capace di affrontare questa nuova sfida che il destino mi getta senza risparmiarmi amarezza e tormento? Sarò io pur sempre quelluomo abile a trar fuori dallinghippo lottimo Patonsio, che a me si affida come farebbe un fratello? E se pure io potessi ritornare in Italia, che cosa potrebbe apparecchiarsi, per me, che a quanto pare sono così irrimediabilmente sbalestrato da vagare, senza rendermene conto, dalluno allaltro emisfero terraqueo, e che non son nemmeno capace di difendermi dalle conseguenze trascendentali di tale condotta?»

Linfelice andava confermandosi che la sua vita era spezzata per sempre, coartata senza chegli potesse opporvi limpido rimedio: tornato a casa, come reagirebbe se sparisse ancora una volta, per ritrovarsi ad un piano imprecisabile di uno sconosciuto edificio londinese, o in una puteolente cantina di un sobborgo di Calcutta, od anche, chissà, in una caverna della foresta del Borneo infestata da presenze nemiche? Un uomo il cui cammino è così nocivamente minacciato da repentini quanto inattesi sconvolgimenti, come moverebbe innanzi a sé il piede non temendo ad ogni passo una nuova terribile sciagura?

***

Il silenzio di sonno eterno in cui era avvolto labisso tetro, ad un tratto, sembrò squarciarsi e da esso si animarono segnali che suggerivano lidea daltre forme di vita.

Strani rumori giunsero alle orecchie di Carmine: profondi sospiri, un tramestìo confuso e lieve, il tic tac smorzato dun grande orologio, un irregolare scalpiccìo e colpetti di tosse.

Una scala buia, nel cuore della notte, nasconde ineffabili risonanze, mistero vuoto e sospeso, incompiute entità daltri mondi, come ben sa linquieto lettore che in una notte insonne abbia accostato lorecchio al buco della serratura. E abbia ascoltato. Sentito…

In quellora indefinita, in quegli istanti smembrati, abortiti e vendicativi, in quei momenti in cui le regole condominiali e le leggi fisiche persino tacciono, accanto alle soglie trascorrono i fantasmi triviali che impauriscono i bimbi e le fanciulle, insieme ai fantasmi dei sogni interrotti con lansia e la trepidazione che par volere esplodere dal petto affannoso, e con essi, pallidi perchè sempre di notte lavorano le altre ombre prive dappoggio che sussultano dasma e si lagnano nelloscurità. Trascinano i piedi, arrivano o partono, tossiscono, si disperdono senza quiete per i piani tutti… qualcuno arriva addirittura a schiarirsi la voce, gracchiando, scatarrando, grattandosi la gola oscena gonfia di risentimento verso la vita e il decoro umano…

No, tutto ciò non è davvero piacevole, lettore caro, per un uomo agitato da ponderosi interrogativi riguardo alla propria esistenza, per un Carmine non certo nel pieno delle sue facoltà che ha perduta la chiave di casa in una scala sconosciuta e oscura. Si arrese, quel nobile? Lasciò forse che loccorrenza trista lo sovrastasse inerme?

Eh sì..!

Purtroppo.

Patonsio… di quando in quando implorava sottovoce, di modo che fosse udito soltanto dallamico e non dai fantasmi brutti Patonsio, oh Patò… ma ché  lo fai apposta? Mi senti Patò..? Oh Signore, GesùGiuseppeemMarìa… oh Patò..! Niente! Ma cose di restare lesi !

Ciònondimeno tornò alla sua fatica. 

Percorse un vasto spazio pianeggiante, alla fine del quale le sue mani, che esitanti saggiavano laria densa di mistero e insidia, urtarono un cancello. Cercò tastoni e trovò un chiavistello.

 «Dove mi trovo?» pensava «Che rumore è questo che viene da laggiù? Senti come pesta! Ma che, si avvicina? Altro che..! Qua è!»

Erano già molto vicini i rumori.

Oh! Chi va là? gridò.

Il nuovo venuto sarrestò. Allora una voce, che sembrava con tutta verisimiglianza originarsi dalla suola delle scarpe di Carmine, pretese:

Chi è lì?

E là chi cè? insisté Carmine.

Silenzio.

« ..? »

Silenzio nero.

La voce tornò:

Che sta facendo, lei?

Ma niente… il fattore è che mi sono perso.

Hmm! fece luomo del buio, poi chiese ancora:

Dove sta ora?

Io, secondo me, mi trovo sulla porta di uno chalet circondato da uninferriata; comunque non so se mi trovo dalla parte esterna o da quella interna. Qui ho trovato per caso il chiavistello, ma non oso aprire…

Sarà il cancello dellascensore.

Tacque Carmine, qualche istante.

Ma no, rispose perché i miei piedi giacciono su un prato, dal quale ora sto strappando manciate di erba secca…

Ho capito, grugnì lo sconosciuto lei sta devastando lo stuoino della signora Pesciabbella. Allora non si offenda se le chiedo: le piacciono gli alcolici?

Non bevo. Lei ha fraint…

Allora lei è un ladro..? Su, parli con franchezza.

Ma noo… non sono un ladro… tu guard… glielo assicuro sul mio onore… può salire tranquillissimo..!

Hmmm!

Si sentirono allora lievi fruscii, attutiti, e questo poteva esser soltanto segno che lo sconosciuto discendeva di nuovo, in punta di piedi. Poi, però, la paura dovette morsicarlo allimprovviso nei calcagni, poiché scese a saltelloni, e con gran rumore…

  Patonsio, oh Patonsio…? fece Carmine sdegnato e oppresso dalla mestizia Ô Patò..? e le braccia da sole sallargavano, senzintervento di sua volontà, ricordando un po alla lontana, se si vuole il Santo Crocifisso.

Quindi si lasciò cadere, scivolando di spalle sullinferriata, e non disse nulla.

Attese larrivo del giorno.
 
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Post N° 1

Post n°1 pubblicato il 07 Giugno 2006 da Patonsio

La notte in cui, finalmente, i nostri giunsero nella stazione dellincomparabile città di*, Carmine non avrebbe saputo con quali accordi intonare le meste lamentazioni che gli affollavano lanimo  tali erano lo sconforto e la stanchezza che lo tenevano soggetto  quando la cosiddetta Provvidenza  almeno questo divenne il suo fiducioso convincimento  accorse in suo aiuto per mezzo di un inatteso incontro con un paesano che  quando si dice la combinazione!  da parecchio tempo non aveva più incontrato.

Ma tu che ci fai qui?

No, che ci fai tu qui?  commossi si dicevano abbracciandosi e scambiandosi i rallegramenti più vivaci.

No, prima tu dimmelo che ci fai 

Tu me lo devi dire, ché ti ho visto per primo 

Ah! No! Io già ti avevo visto allangolo quando hai girato e poi ti sei asciugato il sudore 

Vabbè, Carminello, siccome ti voglio bene, mi arrendo prima io: ché non lo sapevi che sto qui da un anno e mezzo ormai..? E insomma, niente, lavoro, mi sono impiagato in una ditta privata, mi sto portando avanti, e … mi trovo bene. È bella *, sai? C’è un sacco di divertimenti, e se ci sai fare, certo non manca lo schiticchio![1] E tu, che fai?

Io sto arrivando ora e 

Porca la miseria! Ma che peccato! Io invece sto partendo, ché devo andare a trovare mia sorella che gli è nato un bambino proprio oggi.

Allora tanti auguri, e salutami tanto tanto anche tuo cogn 

No, fermo! Quanto ti fermi? Dove vai a stare?

Veramente io non 

Perché non vieni da me, la casa si presta, sai?

Il fatto è ch 

Ma quale fatto! Non ti permettere di cercare scuse! Ché non lo sai che per me tuo padre è stato meglio di un padre mio! Ma cheffài scherzi? No, no, vai a casa mia, mettiti bello comodo, sdovàcati,[2] questo è lindirizzo,  lo scrisse infatti su un cartoncino strappato al pacchetto di sigarette  questa è la chiave, e poi, ah! quando torno io dopodomani, ti faccio fare una mangiata che ti faccio dire: «Signùri buono più![3]»

No, no, niente, niente, vai a casa, questa è la chiave, e … ma che è con te quello?  e indicò con lo sguardo Patonsio, già nervoso di suo e ancor più risentito per la scarsa considerazione ricevuta durante lasimmetrica conversazione  E vabbé, portalo, niente ci fa 

***

Alle due di notte, logorati e non privi di una certa serpeggiante inquietudine barbicatasi nellossa, i due sinsinuarono nel portone dingresso, alla cerca dellabitazione generosamente offerta. Allorché il pesante battente si richiuse alle loro terga, una minacciosa coltre di tenebra li imprigionò a tradimento, rendendoli poco meno che ciechi ed afflitti ancor più.

Ma troppo, troppo scuro!  schiumava Patonsio, cui loscurità non prometteva granché di bello.

Questione di poco, ormai… siamo arrivati per fortuna … altri quattro piani soltanto, mi pare che già ne abbiamo fatti due … o erano tre? Tu che dici?  sospirava Carmine non meno umiliato e presago.

Io, solamente, so che prima mi abbandono in un letto fisso, bello fermo e senza più movimenti, e prima faccio il fosso[4] caro mio, abbasta, abbasta per carità … non ne posso più di caminàre come ’nu scéccu![5]

Tranquillo, ci siamo ormai … è tutto finito. Per stanotte ormai ci corichiamo e domani se ne parla 

Ma, nel prendere la chiave, questa gli sfuggì di mano, andando a urtare nella cabina dellascensore prima, emettendo poi tintinnii sempre più distanti e tristi, ed infine fu inghiottita nel gorgo lugubre che restituì soltanto, laggiù, in fondo, molto in fondo, dopo un tempo impossibile a computarsi, un rumore proveniente di sicuro dal fosco regno degli incubi e delle visioni mostruose, se mai se ne potesse commentare lenigmatico suono, assai lontano e spettrale.

Carmine aveva conosciuto alcune disgrazie, aveva letto molti romanzi dappendice, aveva sentito raccontare di parecchie sventure, con tutto ciò non si rese subito conto della gravità dellaccaduto, e immobile rimase, come saspettasse che la chiave, da sé sola, potesse risalire, lamentarsi o chiamare soccorso. Indi, percorso da un brivido di raccapriccio, saffacciò pavidamente nel buio reggendosi al corrimano: sperava, linfelice, che altri segnali lo raggiungessero dallo spazio profondo!

Si è uccisa..!  fremette.

***

Quando si riebbero dalla sorpresa e si arenarono in un nuovo stato danimo,  una sorta di mistico terrore  una forza superiore  quasi attirati da un imperscrutabile sortilegio  li spinse a scendere giù per gli scalini, infondendo in entrambi, mercé la recondita speranza che la chiave potesse trovarsi in uno dei primi piani  magari al pianterreno, perché no?  un rimasuglio di fiducia su un plausibile, propizio ritrovamento.

Discendevano con circospezione estrema, tastando ogni poco con la punta delle dita, nella pressoché completa assenza di luce, luno il corpo dellaltro, come temendo che allimprovviso la tenebra informe potesse rapinare un de due compagni, riconfortandosi un pochino ad ogni conferma tattile.

Ma non avevano fiammiferi, e nemmanco uscir per strada potevano, poiché il buio pesto impediva loro daccedere a qualsiasi meccanismo dapertura del portone.

Quando credettero di essere arrivati al primo piano, si risolsero a scendere di spalle, palpeggiando, accarezzando ad uno ad uno gli scalini aspettandosi con tali gesti di entrare in contatto con loggetto malefico che aveva scelto la fuga e la clandestinità in modo così vile e meschino.

Calcolarono dessere arrivati al pianterreno.

Ricominciarono a salire.

La chiave disonesta non mostrava intenzione alcuna di saltar fuori.

Tornarono a scendere.

Signore Benedetto, pietà!  si affliggeva Patonsio, mentre Carmine anfanava, brusendo molto simili orazioni, preda ormai della convinzione desser imprigionati in un incognito limbo dal quale difficilmente uscirebbero vivi, o quanto meno orbati della ragione.

Inutile.

Sudavano, e non poco! Saddentravano in uno stato di disordine mentale prossimo allabbandono e alla resa senza condizioni a un nemico orripilante e abbietto.

Escogitarono allora questo espediente: Carmine sarebbe sceso giù sino al portone, per contare gli scalini, e Patonsio lo avrebbe aspettato, saldo di mente e di corpo, nel pianerottolo da cui partivano le indagini.

Così fecero.

Brancicando nelloscurità impenetrabile e ladra, Carmine discese appena tre rampe per ritrovarsi nellandrone, cosa che lo foraggiò di nuovo sgomento, perché credeva di essere al terzo piano. Riprese con coraggio lascensione, quando, contati cinquantasei scalini, dovette arrendersi allevidenza che la scala era terminata  dal momento che dovunque stendesse le mani non trovava altro che muri ostili  senza che gli fosse consentito dincontrare il confratello salutato poco prima con affetto e turbamento non lieve.

Il terrore lo morse al collo e gli serrò le viscere con stretta dacciaio.

Non perdette del tutto il controllo:  «Io scenderò e conterò meglio»  salmodiò.  «Qualcosa deve essermi sfuggito. Ero un po confuso e non ho fatto i conti come si deve, non cè ragione di preoccuparsi. Va tutto bene, non ci sono problemi.»

Per ritrovare il portone discese e conteggiò centoventisette scalini: chiunque avrebbe perso la calma, ma non il nostro paladino, che si limitò a perdere  forse per sempre  lincarnato naturale e molti capelli che, può darsi, avevano comunque già fissato la dipartita in una occasione adatta  e certo dovettero rimanere favorevolmente impressionati dalla contingenza presente.

Una nuova manovra fu decisa: risalire con animo e piè fermo.

La scala allora mutò del tutto e si trasformò in maniera che i gradini assumessero, tutti, proporzioni disuguali tra loro: quando Carmine stava per appoggiarvi il piede, uno dessi cresceva a dismisura fino a raggiungere altezza proibitiva financo per un atleta ottimamente allenato e fresco di forze; un altro bruscamente spariva livellandosi al precedente, formando una nuova zona piatta; un altro ancora sinabissava rispetto a quello appena calcato, sottraendo così terreno al piede insicuro e tremante.

Oh Patò,  frusciava il derelitto fuor dalla strozza soffocata  tu non te limmagini che storia mi sta capitando  ma era solo per non sentirsi lunico essere superstite sul pianeta terrestre  poi ti racconto… va bene Patò? Mi senti, no?

Invece di risposta, udiva da assai lontano, da una remota dimensione immaginaria, da unaltra epoca probabilmente, suoni indistinti, certo quelli che dovettero tentare Odisseo legato dai suoi marinai per uscire indenne dallincanto delle sirene ammaliatrici.

(continua....)

[1]  Il divertimento in senso ampio, le avventure galanti. N.d.C.

[2]  Mettiti comodo, rilassati. N.d.C

[3]  Basta, per carità, grazie! N.d.C

[4]  Mi sprofondo nel materasso. N.d.C.

[5]  Trascinarmi come un asinello. N.d.C.

 
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