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L’”offerta politica” per le prossime elezioni di Eugenio Orso

Post n°4 pubblicato il 07 Gennaio 2013 da eugenioorso58

Offerta e mercato elettorale

Offerta è un’espressione riferita al mercato e fa da contrappeso alla domanda. E’ sufficiente che la domanda e l’offerta si incontrino in qualche punto perché il mercato regga, si autoregoli e funzioni ottimamente, assicurando le magnifiche e progressive sorti dell’umanità, o almeno così fanno credere schiere di economisti, giornalisti e politici, diffusori dell’ideologia liberista. Il libero mercato senza lacci e lacciuoli ottimizza e democratizza, anche se qualche bieco “comunista” (come lo scrivente) sospetta che abbia soltanto la funzione di concentrare la ricchezza nelle mani di pochi, escludendo progressivamente le masse. Cosa centrano le elezioni anticipate italiane con questo discorso? Semplice: anche quello della politica liberale e democratica è ormai diventato un mercato in piena regola, che vende con sistematicità i suoi prodotti valendosi del marketing elettorale, della pubblicità e dei media. Solo che qui il prezzo da pagare non è facilmente quantizzabile, perché si tratta del nostro stesso futuro. Un economista classico, agli albori del capitalismo, ha deciso che ogni offerta crea la sua domanda – J.B. Say interpretato da J. Mill nel 1808, secondo il quale la domanda sarà sempre pari all’offerta. Ammettendo per assurdo che ciò sia vero, è vero, in buona sostanza, anche per il mercato elettorale, che è uno fra i tanti e nemmeno il più importante. Per questo assistiamo impotenti allo spettacolo della politica ridotta a mercato, meno determinante della finanza, ma ancora più importante dell’ortofrutta. Se c’è un mercato ci devono essere dei prodotti da vendere, e più di uno possibilmente (anche se in molti casi abbastanza simili) visto che siamo in democrazia. In estrema sintesi, ecco una lista di prodotti che il sistema è in grado di offrire per soddisfare la domanda, nell’occasione denominata corpo elettorale, in vista delle prossime elezioni:

-        Bersani con Vendola

-        Ancora Monti (e, in subordine, Casini, Fini)

-        Maroni

-        Ingroia

-        Berlusconi, ma controvoglia

-        Rimasugli e frattaglie

Infine, ci sono gli abusivi o i semiabusivi, non proprio di marca anche se si danno il bollino blu:

-        Beppe Grillo e i suoi

Segue una breve analisi, non tecnico-politologica o rigorosamente programmatico-economica, dell’”offerta politica” liberaldemocratica nella futura rappresentazione scenica elettorale.

Prodotti italiani sul mercato elettorale

-        Bersani con Vendola. Il lib-lab che avanza, fintamente sbilanciato a sinistra. Vedi Fassina in aperta polemica con Monti, che lo attacca per ricambiarlo, il tremebondo Damiano già ministro del cs con Prodi, o lo stesso Vendola, animale politico non di primo pelo che fu delfino di Bertinotti. Si tratta di un’”agenda Monti” un po’ addolcita, come si fa con la pillola per i bimbi costretti a ingoiarla, fidando ancora una volta sull’inganno ultradecennale del lib-lab, lo stesso che ha indotto i lavoratori ad accettare l’abolizione della scala mobile e le continue riforme delle pensioni. Le controriforme fatte da Monti sono intangibili, e il pd-cs non violerà mai e poi mai il divieto di rimetterci mano per disfarle. Napolitano docet e i suoi severi moniti di non toccare ciò che ha fatto Monti saranno vangelo per i democrat al governo. Tuttavia, poiché il mercato del lavoro e le pensioni dovranno essere ancora riformati, approfondendo e velocizzando i cambiamenti strutturali in senso neoliberista, la sola cosa che potranno fare questi guitti, arrampicandosi sugli specchi, sarà di diluire un po’, nel tempo, le ulteriori perdite di diritti e di reddito dei lavoratori e dei pensionati. Il tutto con la piena complicità della cgil, ormai completamente integrata nel pd-cs, che sventola il gagliardetto laburista soltanto in campagna elettorale. In ciò il senso più proprio dell’unione elettoralistica fra “Il coraggio dell’Italia” di Bersani e l’”oppure Vendola”, che hanno movimentato il cinodromo delle primarie correndo contro il levriere Renzi.

 

-        Ancora Monti, con contorno di “società civile”, partitini già in parlamento e ex ministri del suo governo. E’ chiaro che si tratta delle liste predilette dai dominanti globali e dall’alta finanza occidentale, oltre che dalla chiesa cattolica. Mai nessuno come Monti, mi pare, ha avuto un così grande “consenso” fuori dall’Italia, dalle istituzioni private sopranazionali ai media stranieri che contano, dalle principali cancellerie europee (senza fare nomi, perché non serve) ad una chiesa cattolica, sempre meno universale ed eterna, ma sempre più sottomessa al neocapitalismo e squallidamente opportunista. Logico che sia così, perché la germania è ancora il paese dominante in Europa che contribuisce a schiacciarci, l’unione è il nostro lager nell’era della globalizzazione e il Vaticano è pur sempre uno stato estero, con una propria bandiera e propri interessi. La più pura ed autentica espressione delle politiche euroglobalistico-neoliberiste è racchiusa nell’agenda del professore, non in quella di Bersani, che è soltanto un’imitazione un po’ edulcorata, il voglio ma non posso di chi deve rigare dritto davanti allo sguardo del padrone, ma nel contempo lusingare il suo elettorato. L’originale è sempre meglio delle imitazioni, per chi ha scelto di stare da quella parte e di servire, più o meno consapevolmente, gli interessi dominanti. Le sparate montiane sulle tasse, in campagna elettorale, non spostano i termini della questione, perché le tasse che alimentano la spesa pubblica saranno sempre di più a carico delle cosiddette classi subalterne, ben monitorate nella (finta) lotta all’evasione. Che poi siano della partita politici professionisti come Casini e Fini, portatori d’acqua con le orecchie e tutto il resto del corpo (non escluse le parti intime), o individui come Ichino, ex comunista riciclato nemico dei lavoratori pubblici e privati, poco conta. Le linee programmatiche, in agenda, sono già tracciate da tempo, e tali rimarranno, con o senza di loro.

 

-        In un impeto di forzato orgoglio, Maroni che gestisce una lega ridimensionata, mazziata dagli scandali e dalle inchieste giudiziarie, simula il ritorno ai vecchi “valori” leghisti, alla padania dei mille campanili e alla difesa intransigente dei soli interessi del nord.  Nel gioco delle parti rifiuta in toto Monti e il suo programma. Fa sempre comodo un piccolo serbatoio di voti, e di partecipazione “popolare”, anche se fortemente sospetto di populismo. Sensibile agli umori di ciò che rimane della base leghista e desidero di riconquistare qualche voto perduto, da un lato, e dall’altro consapevole che da solo – in compagnia dei “duri e puri” superstiti e di nessun altro – concluderà ben poco, l’ex ministro degli interni sta ancora procedendo tastoni a meno di due mesi dall’appuntamento elettorale. Ma sembra che propenda, per ragioni di sopravvivenza e di giunta in alcune regioni all’accordo con il cav.

 

-        Ingroia. Antonio, celebre magistrato fuori ruolo prestato alla politica. Come dire, l’immagine “vincente” dietro la quale si nascondono i massimalisti edulcorati, decaffeinati, o addirittura castrati, i falsi verdi del business ecologico, della moda e della voga, la sinistra radicale del “giù la testa!”, gli arancioni del de Magistris, i resti dell’idv, disintegrata sapientemente dai media e dai suoi stessi esponenti. Su questo c’è ben poco da dire. Una particina, nel grande spettacolo liberaldemocratico, spetterà anche a loro. Il compenso? Qualche seggio e qualche posto nelle commissioni parlamentari. Probabilmente saranno briciole, ma l’istinto di sopravvivenza, che anima queste screditate burocrazie politiche, prevale su ogni altra considerazione. Personalizzazione delle liste, parlamentarismo sfrenato e subalternità alla liberaldemocrazia: Lenin e Gramsci rabbrividirebbero.

 

-        Berlusconi, ma controvoglia. Nel senso che il sistema politico italiano, controllato da forze esterne, ci offre le ultime performance del cavaliere senza troppa convinzione, talora a denti stretti. I media riflettono la sua immagine di redivivo, ma si scatenano polemiche, come in passato, sulle sue numerose presenze televisive. Si spera, in certi ambienti, che il suo sia un falso populismo ad uso e consumo di una parte del corpo elettorale, per farlo tornare al voto con la lusinga antieuro, antiunionista e antitedesca. Il personaggio è contradditorio, disposto per convenienza (e sondaggi) a cambiare idea in una manciata d’ore. L’ha dimostrato ampiamente, dopo l’improvviso rientro da una sorta di semipensionamento, proclamando prima il fallimento dell’esecutivo di Monti e poi chiedendo al Quisling di guidare tutti i moderati. Uno come lui non è del tutto controllabile, ma solo se messo con le spalle al muro potrebbe dare il “peggio” di sé. Ad esempio, potrebbe essere portato a esagerare con antieuropeismo e ritorno alla lira, con gli attacchi alla germania e allo spread, dietro il quale si celano gli interessi sovrani della classe dominante, e lo farebbe senza mezze misure, scatenando polemiche, rinfocolando odi e rancori in Italia e anche nel resto d’Europa. Solo in questo ultimo caso – Berlusconi che si gioca il tutto e per tutto, senza tener conto dei danni che potrà fare al sistema e all’eurounionismo – si potrà rompere il sacro voto astensionista e andare alle urne, per il cav in divisa da guastatore avversato da tutti, ma con tutte le cautele del caso: turandosi il naso, tappandosi le orecchie, trattenendo il respiro e guardandosi le terga.

 

-        Rimasugli e frattaglie. Si tratta delle comparse meno importanti. Fra queste – che meritano soltanto un fugace cenno (e forse neanche quello) – ci sarà la lista-movimento del fanatico liberal-liberista Oscar Giannino, giornalista al servizio dell’omologazione mercatista e noto pagliaccio mediatico, per come si veste, per come si rade e come si atteggia. Deluso da Monti, Giannino correrà da solo rischiando il flop elettorale, ma naturalmente lo farà per “Fermare il declino”. Povero Giannino! Il solo “voto utile” ultraliberista è quello alle liste di Monti, e al suo movimentino resteranno forse le briciole.

Fra tutte le “offerte politiche” precedenti soltanto quella di un Berlusconi impazzito, messo alle strette – che si scaglia a corpo morto contro euro, unione, germania, lista monti e sinistra neoliberista – potrà tornarci utile, applicando alle prossime anticipate l’unica logica oggi possibile, in morte (apparente?) dell’antagonismo politico, quella peggiorista del tanto peggio tanto meglio. Scardinare è meglio che morire nella più assoluta impotenza, perché ci porge comunque una speranza, una prospettiva futura di lotta pur fra mille difficoltà e sofferenze. Se coloro che si oppongo al liberismo e alla liberaldemocrazia sono definiti nella migliore ipotesi “populisti” (nel senso neolinguistico di comunisti + fascisti), e nella peggiore “terroristi”, allora, in queste contingenze sommamente negative, è necessario che i “terroristi” cerchino finalmente un detonatore per far esplodere la bomba.

Infine, non resta che il semiabusivo Grillo, con i suoi M5S:

-        Beppe Grillo e i suoi. Su questo tema ho già scritto qualcosina, in passato, e quindi non mi dilungherò. Nonostante la chiara presa di posizione a favore del reddito di cittadinanza (ma senza troppe specifiche in merito), l’impianto programmatico dei grillini è piuttosto confuso. Tracce di liberismo che si confondono con la difesa e il ripristino del sociale. Accettazione della democrazia parlamentare a fronte di un rifiuto dei soliti e tradizionali partiti, sui quali una democrazia parlamentare, pur ridottasi a validare scelte politiche esterne come quella italiana, dovrebbe reggersi. Eccetera, eccetera. Il voto alle liste di Grillo – non a Grillo come leader maximo, che non si presenta – potrà di certo significare che una parte degli italiani, comunque minoritaria, ha riconquistato un po’ di coscienza sociopolitica, ed ha compreso che il sistema, così com’è, ci porta dritti alla morte o a nuove forme di schiavitù e alienazione, attraverso il suicidio con motivazioni economiche, la mancata assistenza sanitaria, la carenza prolungata di lavoro e di reddito. Ma l’internità al sistema liberale e democratico, del quale inevitabilmente si accettano le regole se si corre per i seggi in parlamento, funge da contraltare al positivo, ancorché parziale ritorno di coscienza di una parte dell’elettorato che vuole “cambiare le cose” e vota i candidati della lista. La riaffermazione della coscienza politica e sociale si frangerà inevitabilmente contro gli scogli sistemici, per (a) l’impossibilità di ottenere un’ampia maggioranza dei seggi in questa situazione, ampia maggioranza assoluta che può consentire di modificare la costituzione da soli, partendo, ad esempio dall’art. 81 del famigerato fiscal compact, per (b) il “cordone sanitario” che si creerà intorno ai parlamentari M5S con il fine di isolarli, per (c) i tentativi di spaccare quella rappresentanza parlamentare con la lusinga, o attraverso gli scandali mediatici e le inchieste della magistratura, per (d) la difficoltà di “cambiare le cose” a livello legislativo e di contrastare validamente l’esecutivo in parlamento, se si farà ampio uso del voto di fiducia. E per altri motivi ancora. I parlamentari M5S rischieranno, nella prossima legislatura, un nulla di fatto o addirittura la dissoluzione del loro movimento. Se il prodotto, corrispondente al movimento di Grillo, diventerà anche lui di marca, entrerà nei ranghi, parteciperà alla divisione dei pani e dei pesci del sub-potere politico nazionale, e addio reddito di cittadinanza, insieme a tanti altri buoni propositi, mentre se non lo farà quasi sicuramente lo distruggeranno. Del resto, nel parlamento italiano c’è una lunga storia di scissioni e frammentazioni in gruppetti e partitini, che parte dal dopoguerra e arriva ai giorni nostri.

Vista l’”offerta politica” che il mercato elettorale italiano ci riserva, si potrebbe concludere che non ci resta che piangere. E’ quasi certo che sarà così, ma c’è pur sempre la probabilità, statisticamente piccola, del verificarsi di un evento imprevisto di grande portata, del manifestarsi di una “singolarità” che sconvolga la pianificazione degli spettacoli elettorali e rimetta in discussione la sorte del paese, che oggi ci pare segnata. Quanto potrà reggere ancora il fiscal compact, e tutta l’architettura della falsa Europa dell’euro, e quali rischi concreti per l’economia mondiale si nascondono dietro il fiscal cliff, nonostante l’accordo raggiunto?

 
 
 
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