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Ex comunisti al soldo della finanza e sinistra neoliberale di Eugenio Orso (I, II e III capitolo)

Post n°6 pubblicato il 16 Gennaio 2013 da eugenioorso58

(I) Sinistra politica neoliberale ed ex comunisti

Le metamorfosi della cosiddetta sinistra politica in liberaldemocrazia, all’interno della quale, nei decenni del dopoguerra si situavano sempre di più i comunisti “occidentali”, dagli anni cinquanta e soprattutto dal sessantotto a oggi sono numerose e qualitativamente rilevanti. Per quanto riguarda i comunisti italiani costretti nel campo occidentale, il percorso, lungo e accidentato, che li ha portati dallo stalinismo alla dissoluzione del pc, e oltre nel postmortem con la sequenza pds-ds-pd, ha determinato, una volta giunto a compimento, la loro sostanziale internità alla sinistra neoliberale, quale componente di rilievo dell’ala sinistra nell’unico partito neocapitalistico. Un partito opaco, non troppo visibile soprattutto in occasione delle campagne elettorali, ma fortemente centralizzato e costruito intorno agli interessi privati della classe neodominante globale, l’unica che può decidere le politiche strategiche da applicare nei paesi occidentali, e quindi anche in Italia. L’internità degli ex comunisti alla sinistra tributaria del grande capitale finanziario, l’accettazione piena del sistema politico liberaldemocratico occidentale, sempre più assolutista e lontano da una (presunta) “volontà popolare”, ha comportato un “giù la testa” di rilevanza storica sul piano socioeconomico, che ha favorito, all’interno di paesi europei occidentali come l’Italia, le peggiori dinamiche neocapitalistiche oggi in pieno sviluppo: globalizzazione economica delocalizzante, imposizione di una moneta straniera e privata, distruzione della socialità, svalorizzazione del lavoro, liberalizzazioni e privatizzazioni, eccetera, eccetera.

Non a caso oggi, la sinistra politica neoliberale e in particolare gli ex comunisti ammaestrati, fagocitati nel sistema di potere vigente, sovente mostrano di essere i servitori più zelanti di questo capitalismo, zelanti come furono, in altri evi della storia umana, i “conversi” che aderivano per imposizione (e paura) a una religione dominante. Quei conversi che desideravano accreditarsi, agli occhi dei nuovi padroni, offrendo una prova di continua devozione e, appunto, di zelo. Altrimenti avrebbero perso i loro beni e forse la loro stessa vita, o avrebbero dovuto vagabondare per il mondo, per terra e mare cercando un nuovo approdo, come fecero gli ebrei irriducibili. Se gli ebrei conversi, in forza di paura o per opportunismo, hanno assunto nel vecchio continente cognomi che testimoniavano la loro devozione religiosa, ad esempio, in Italia Amadio, Graziadio o Servadio, gli ex comunisti superstiti, passati attraverso numerose metamorfosi “devozionali” capitalistiche nei decenni passati, oggi aderiscono numerosi al pd, che è, appunto, un partito democratico approssimativamente sul modello dei democratici americani, e difendono a spada tratta, per conto delle Aristocrazie finanziarie dominanti, il lager euroglobalista della moneta unica in cui è costretta l’Italia. Senza le metamorfosi “devozionali” degli ex comunisti il direttorio euroglobalista di Monti non avrebbe potuto reggere per tredici mesi, a suon di finanziarie e controriforme antipopolari, e Marchionne non avrebbe potuto imporre i suoi modelli contrattuali con venature schiavistiche in questo paese. Sovranismo, dirigismo economico statale, nazionalismo (o meglio, nazionalitarismo) rappresentano per gli ex comunisti espressioni blasfeme, non tanto perché memori dei precetti comunistico-marxisti otto e novecenteschi (internazionalismo proletario, collettivismo, scomparsa dello stato nello stadio finale comunistico), ormai definitivamente abiurati e dimenticati, ma in quanto espressioni radicalmente contrarie alle logiche nuovo-capitalistiche, finanziarie e globalizzanti.

La globalizzazione di matrice neoliberista ha sostituito impropriamente il vecchio internazionalismo proletario. I processi di globalizzazione economico-finanziaria, quali insiemi di politiche strategiche e di trattati imposti ai paesi, hanno una sostanza concreta, sono reali, causano profonde trasformazioni sociali e determinano il futuro dei popoli, mentre l’internazionalismo proletario, preconizzato nel Manifesto del Partito Comunista del 1848 da Marx ed Engels, non ha avuto luogo, non è mai stato realizzato. La rivoluzione nel punto più basso dello sviluppo capitalistico, l’Ottobre Rosso, non ha impedito la continuazione della grande guerra, né ha potuto “contaminare” i punti più alti dello sviluppo, nell’Europa occidentale e insulare, realizzando l’internazionalismo comunista proletario, che è sopravvissuto come mito e pura speranza fra le masse dominate. Il dirigismo economico dello stato presuppone la piena sovranità, monetaria e politica, dello stato stesso. Ma ciò che sarebbe rimasto, dopo la rivoluzione proletaria, era un semi-stato leniniano nella fase socialista, in attesa della scomparsa definitiva e liberatoria dello stato nello stadio finale comunista. Le attese dei vecchi comunisti non si sono concretate, e la storia è andata in tutt’altra direzione. In verità, la stessa URSS di riferimento è diventata la prima potenza comunista della storia umana dotandosi di un apparato statale esteso e solidissimo (almeno fino a una certa epoca), di potenti forze militari, e accettando la realtà del socialismo realizzato in un solo paese.  Da un paio di decenni a questa parte, il capitalismo neoliberista e finanziarizzato sta ridimensionando in modo efficace e progressivo gli stati – vedi quello italiano prigioniero dell’unione europide – privandoli della sovranità, a partire da quella monetaria, e riducendone le funzioni. La prospettiva, in Europa, è quella del superamento degli stati nazionali e dell’avvento di un unico governo sopranazionale, che deciderà per tutti, ma che non sarà “eletto dal popolo” e non sarà una sua espressione.

Globalizzazione neoliberista e governo sopranazionale possono apparire, anche se non lo sono per genesi e sostanza, come veri e propri sostituti nuovo-capitalistici dell’internazionalismo proletario unificante e del semi-stato socialista destinato a scomparire con il pieno avvento del comunismo. Possiamo affermare che la globalizzazione in atto è l’esatto opposto dell’internazionalismo proletario di marxiana memoria, e il governo sopranazionale atteso, nell’Europa dell’euro, è uno strumento di dominazione globalista e non una sorta di approdo storico definitivo, che comporterà la liberazione dell’uomo dall’oppressione del vecchio stato “borghese e imperialista”. Ma forse è vero che gli opposti in qualche misura si attraggono, e sono nate persino folli teorie che postulano una “globalizzazione buona”, democratizzata, a vantaggio delle masse (denominate capziosamente moltitudini), in grado di realizzare la “democrazia globale” sull’intero pianeta. Sopravvivenze truffaldine e alterate, nei loro connotati, dell’internazionalismo proletario e dell’approdo definitivo allo stadio comunistico? Utili sostituti ideologici e propagandistici, non corrispondenti alla realtà economica, sociale e politica del presente, dei miti marxistico-comunisti ormai smessi, che hanno attraversato più di un secolo di storia?  Sta di fatto che il neocapitalismo ha vinto, affermando la sua realtà economica, sociale e politica, mentre il comunismo storico novecentesco realmente esistito (secondo l’espressione di Costanzo Preve) è stato sconfitto e si è dissolto, trascinando con sé nella caduta i suoi miti.

 

(II) Affermazione della sinistra neoliberale e morte del comunismo storico

La grande svolta storica e sociale, il cambio di evo e di modo di produzione sono stati annunciati, una prima volta, dal sessantotto apparentemente antagonista, quando la sinistra ideologica si è separata da quella sociale e operaia confluendo in seguito e in buona sostanza, negli apparati ideologico-culturali e propagandistici del capitalismo. Altri consistenti segnali del cambiamento, drammaticamente concreti, sul piano politico e sociale ce li offrono le sconfitte operaie degli anni ottanta. Per quanto riguarda l’Italia, possiamo ricordare la sconfitta degli operai Fiat, in sciopero da più di un mese, a causa della “marcia dei quarantamila” nella Torino dell’automobile il 14 ottobre 1980, e il successivo blitz confindustrial-governativo per l’abolizione della scala-mobile, nel 1984, con il decreto di San Valentino dell’allora esecutivo Craxi. Ma è stata la crisi irreversibile del cosiddetto blocco orientale e dell’Unione Sovietica, nel triennio 1989-1991, che ha dato nuovo impulso al neocapitalismo rampante, eliminando il suo più insidioso nemico, e di conseguenza ha accelerato la trasformazione politica, economica e sociale. La dissoluzione finale dell’URSS ha rappresentato un momento topico della trasformazione della sinistra politica e del riciclaggio dei comunisti sconfitti, a quel punto diventati ex a pieno titolo, almeno nell’Italia della svolta occhettiana della Bolognina. Oggi, giunti a compimento del processo di trasformazione, si parla indistintamente di sinistra, o al più si distingue per stigmatizzare l’”eterodossia” di qualche frangia falsamente radicale e massimalista nella sinistra (sel di Vendola, i resti di rc e del pdci). Ma si tratta pur sempre di una sinistra complessivamente neoliberista e neoliberale, rispettosa dei rapporti sociali e di produzione dell’epoca, che non violerebbe mai e poi mai, se non ambiguamente a parole rivolgendosi al suo elettorato, i tabù sociali, economici e politici imposti dal neoliberismo. Vietato ipotizzare seriamente il ripristino della sovranità nazionale, vietato anche soltanto immaginare l’uscita dall’euro, vietato negare apertamente, con chiarezza spietata, che precarietà e licenziamento libero servono per la futura crescita economica, per l’impulso all’occupazione e per la modernizzazione del mercato del lavoro. Il “capitalismo concorrenziale” è la nuova divinità, per tutti, anche per i sinistri neoliberali e i comunisti riciclati. E pensare che un tempo lontano i comunisti, quando esistevano veramente e si chiamavano bolscevichi, erano nemici giurati non solo dello sfruttamento capitalistico di massa e della proprietà privata dei mezzi di produzione, del parlamentarismo introdotto dalla classe dominate, ma della stessa sinistra, allora borghese, alla quale attribuivano la funzione di “quinta colonna” e il compito di imbrogliare le masse, rendendole inoffensive per il sistema capitalista. Oggi soltanto un personaggio del calibro di Silvio Berlusconi, quando si trasforma in macchietta politico-mediatica davanti alle telecamere, agita in campagna elettorale il “pericolo comunista” come se fosse incombente e reale.

 

(III) Unificazione della sinistra e degli ex comunisti nel partito unico neocapitalistico

La distanza storica (ed etica) fra i comunisti storicamente esistiti e questa sinistra, che è un prodotto nuovo-capitalistico e neoliberale, ci pare incolmabile, addirittura plurisecolare, anche se l’intero processo di trasformazione, velocizzatosi a partire dagli anni novanta, ha richiesto soltanto qualche decennio. Incommensurabile ci sembra la distanza fra un Togliatti, o un Pajetta, e un Occhetto, o ancor peggio, un Veltroni, un D’Alema e un Bersani (chiedo umilmente perdono per il paragone!). Lo stesso Enrico Berlinguer che ha staccato definitivamente la spina del filosovietismo creando l’eurocomunismo occidentalistico, accettando l’”ombrello” atomico della Nato e dichiarando di sentirsi al sicuro nell’occidente a guida americana, era comunque ancora un comunista, al vertice di un partito ormai orientato verso la socialdemocrazia rivendicativa, ma con tracce ancora visibili di solidarietà operaia e di anticapitalismo. Oggi il cordone ombelicale con la tradizione comunista novecentesca, da Antonio Gramsci fino a Palmiro Togliatti, e persino con quella berlingueriana del dopoguerra, è stato definitivamente tagliato, e anzi, i “conversi” tendono a nascondere pudicamente, con vergogna, le loro lontane origini. Il “mai stato comunista” di Veltroni, tende sempre di più a diventare: comunismo, e che cos’è? Persino un certo patriottismo presente nel vecchio pci, che mal si sposava con l’internazionalismo proletario, è venuto definitivamente a mancare, se gli ex comunisti sono disposti ad affidare, senza battere ciglio, il controllo della moneta, la politica economica e quella estera alla Bce, alla Ue e alla Nato. Ciò che conta, nel concreto, sono le politiche che questi camaleontici apostati di una religione “atea”, eredi degeneri di ascendenti gloriosi, sottoscrivono acriticamente e avallano.

Pensiamo al caso grottesco di Pier Luigi Bersani, ex comunista riciclatosi con successo al servizio dell’unionismo europide e del liberalismo politico, che prevede sciagure bibliche per i ceti meno abbienti (in parte significativa suoi elettori) nel caso dell’uscita dell’Italia dall’euro, sostenendo che ciò avvantaggerebbe soltanto i più ricchi, i quali possono permettersi di investire grandi capitali all’estero, mentre comporterebbe un impoverimento generale in termini di redditi e piccoli patrimoni per il resto degli italiani! La minaccia bersaniana, in poche parole, è quella di una miseria più grande che seguirebbe l’attuale impoverimento in caso di abbandono dell’euro e di riacquisizione della sovranità monetaria. Impaurire elettorato e popolazione con la minaccia di piaghe bibliche, se si abbandonerà la strada segnata dal neoliberismo, come nel caso dell’abbandono dell’euro, è una caratteristica comune a tutti questi individui, in relazione ai compiti assegnatigli dai dominanti globali. E’ chiaro che così dicendo Bersani, ex comunista e devoto cameriere neoliberista, mente sapendo di mentire e cerca di terrorizzare i suoi elettori, perché è proprio la moneta unica da lui difesa strenuamente che avvantaggia i più ricchi, e in primo luogo quelle élite finanziarie euroglobaliste al cui servizio lui stesso opera. In pratica, milioni di dominati postproletari, ivi compresa una buona fetta del ceto medio, non hanno oggi alcuna rappresentanza effettiva all’interno del sistema, anche se votano “a sinistra”. La spinta che un pd al governo darà alla diffusione del denaro elettronico e alla scomparsa del contante costituirà un’altra evidente prova di quanto qui si afferma. Il risultato non sarà il recupero dell’evasione fiscale, come millantato, ma commissioni in crescita per i gestori delle carte di credito, che si arricchiranno ancor di più, e controllo orwelliano delle abitudini di ciascuno, attraverso i pagamenti elettronicamente tracciati. La sinistra pidiina al governo, con o senza Monti continuerà sulla strada montiana dell’aumento di una fiscalità razziatrice e punitiva nei confronti della popolazione, dai lavoratori dipendenti alla piccola impresa, e quindi proseguirà il trasferimento di risorse dal lavoro al capitale finanziario, in buona parte esterno all’Italia. Le produzioni nazionali non solo non saranno incentivate, ma in nome del nuovo “internazionalismo globalista” e antisovranista saranno progressivamente smantellate in molti settori, o offerte su un piatto d’argento agli Investitori esteri.

Le manifestazioni devozionali ultraliberiste non sono una caratteristica esclusiva degli ex comunisti e della sinistra neoliberale, ma anche di personaggi politici nati a sinistra e poi riciclatisi a destra senza alcun pudore. Pensiamo agli ex socialisti italiani schieratisi a destra dello spettro politico, come Maurizio Sacconi, ministro del lavoro e del welfare con Berlusconi, che ha contribuito a mazziare in ogni occasione i lavoratori dipendenti (da lui odiatissimi), o come Renato Brunetta, la cui statura etica aderisce perfettamente a quella fisica, che ha perseguitato a lungo, in quanto ministro del IV esecutivo Berlusconi, i dipendenti pubblici, non soltanto con l’imposizione (piuttosto ridicola) dei tornelli negli uffici. Lo spostamento di risorse dal lavoro alla grande finanza internazionalizzata (giornalisticamente nota come Mercati & Investitori), la cessione della sovranità nazionale e l’occupazione dell’Italia, hanno avuto il fattivo sostegno di ex comunisti “metamorfici” come Giorgio Napolitano, in posizione chiave nelle istituzioni repubblicane, mentre al grande attacco scatenato contro i “santuari” del lavoro dipendente, regolare e stabilizzato, hanno partecipato individui come Pietro Ichino, giuslavorista al soldo del capitale, che fu comunista, poi diessino, poi pidiino e oggi montiano di ferro posizionato al centro. Non necessariamente, quindi, gli ex comunisti, e gli ex socialisti e altri ancora di sinistra, si sono riciclati nei ranghi della sinistra politica neoliberale. Ma tutti questi individui hanno qualcosa di molto importante in comune: una sola tessera in tasca, che non mostrano mai agli elettori. Fanno parte dell’unico, opaco partito della riproduzione neocapitalistica, programmaticamente coeso e diviso in fazioni solo nel momento elettorale liberaldemocratico.

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