Una scopa, dei pezzi di stoffa colorati, un vecchio dondolo e le scarpe col tacco della mamma.
Questi erano gli ingredienti per la magia del mio piccolo teatro di bambina.
Arrivava all’improvviso l’idea astratta di un qualcosa che scaturiva da un piacevole e giocoso desiderio, di qualcosa che chiedeva di prendere forma attraverso la mia creatività. Allora correvo negli angoli più disparati della casa alla ricerca di quelli che sarebbero poi diventati i miei tesori di scena.
Ritagli di stoffe che mia madre non usava più, le più belle erano quelle lucide dai colori brillanti, sarebbero diventate degli splendidi mantelli oppure con qualche aggiustamento in più, degni abiti per una principessa. Alcuni grossi bottoni, dal colore celestino trasparente, si sarebbero trasformati in incredibili diamanti, parti di un misterioso bottino nascosto da qualche parte dai pirati.
La scopa avrebbe dato vita ad un maestoso cavallo bianco, fedele destriero delle avventure di un coraggioso cavaliere.Quando ne avevo trovati a sufficienza, correvo dai miei compagni di gioco: volevo coinvolgerli nella mia fanciullesca rappresentazione teatrale e sapevo che con sufficienti “argomenti” sarei riuscita a trascinarli in quel magico mondo. Infatti, non era sempre facile convincerli, ma io avevo bisogno di attori e alla fine li travolgevo con il mio entusiasmo.
Appena formato il gruppo, si discuteva principalmente per i ruoli : le femmine volevano fare tutte la principessa , mentre i maschi erano talmente pochi che dovevano ricoprire più ruoli.
Fra noi bambine, raggiungevamo un accordo, stabilendo di fare tante rappresentazioni quante il nostro numero, così a turni ognuna di noi poteva fare il ruolo tanto desiderato e alla fine eravamo tutte accontentate.
Una volta assegnati i ruoli, iniziavano le prove. Gli spazi e il tempo non erano, per noi, un problema. Di solito ci ritrovavamo o nel giardino della casa di uno oppure in quello della casa dell’altro. Non ci disturbava nulla, perché quando iniziavamo era come se vivessimo in un’altra dimensione, ogni rumore o stimolo esterno giungeva a noi come qualcosa di sfocato e di molto distante. Non avevamo alcun copione, decidevamo a voce quali erano le battute e la trama si creava da sé.Oggi sorrido ricordando la nostra stessa meraviglia nel trovarsi di fronte ad un inaspettato finale.
Allora si rideva di gusto, perché era un po’ come se ci prendessimo gioco, con la nostra fantasia, di tutte le storie che i grandi ci avevano raccontato. Poi arrivava il giorno del debutto. Per questa occasione, ci trovavamo tutti, con i nostri costumi, a casa della mia amica Riccarda, o meglio nel suo giardino. Gli amici che si erano esclusi dallo spettacolo diventavano i nostri spettatori e si andavano a sedere sopra il grande dondolo che si trovava a fianco dell’ingresso di casa.Erano sempre giornate d’estate e si stava bene in quel giardino, sotto il grande albero che ci proteggeva dal caldo e dal sole abbagliante.Il palcoscenico era il pianerottolo dell’ingresso di casa. Aveva una forma quadrata ed era un po’ piccolo per le nostre esibizioni, ma ciò non costituiva un ostacolo per noi che, lasciandoci trascinare dalla storia, ci espandevamo come meglio credevamo e senza alcuna regola.
Le nostre quinte erano dietro al portone: gli attori sostavano nel corridoio dentro casa per poi apparire aprendo la porta, mentre gli altri ancora dentro, la richiudevano prontamente.
Poi si iniziava, ed era tutto un gioco emozionante ed una risata. Gli spettatori intervenivano divertiti suggerendo azioni e parole, così poteva anche accadere che la storia venisse stravolta completamente.
Ma la cosa più bella che ricordo, oggi come allora, erano gli applausi finali dei nostri amici.
In un attimo l’ambiente si era trasformato in qualcosa che ci faceva amare e ridere della vita e noi ci sentivamo uniti come non lo eravamo mai stati.
Inviato da: pioggia_sottile0
il 17/01/2012 alle 11:56
Inviato da: antoniobigliardi
il 12/01/2012 alle 17:49
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il 12/01/2011 alle 20:25
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il 25/09/2010 alle 18:18
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il 25/09/2010 alle 11:39