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LA PIRAMIDE DEL POTERE

sabato 14 aprile 2012

LA PIRAMIDE DEL POTERE

 

Segui il denaro e troverai il colpevole. 
Quale miglior modo, in una società capitalistica basata sul consumismo e sul profitto, se non quello di seguire la via del denaro per arrivare a conoscere la stratificazione del potere?
Ormai è un dato di fatto che ci troviamo immersi in un contesto economico-sociale in cui il popolo subisce la dittatura (più o meno velata) dell'elite finanziaria, posta ai vertici della piramide del potere.

I diversi livelli della piramide del potere sono ripartiti come segue: 

 

ELITE FINANZIARIA - L'elite finanziaria globale - compresi i membri o dei rappresentanti delle famiglie Rockefeller, Rothschild e Morgan - tengono riunioni segrete e prendono importanti decisioni in gruppi chiusi, come il Council on Foreign Relations o il Bilderberg. Questi piani vengono poi attuati in tutto il mondo, consolidando ulteriormente la ricchezza materiale ed il controllo globale.
BANCA DEI REGOLAMENTI INTERNAZIONALI - La BRI è la banca centrale delle banche centrali con sede a Basilea, in Svizzera, controllata dall'elite finanziaria. Dispone di 60 banche centrali aderenti, ma è gestita principalmente da banchieri degli Stati Uniti, Inghilterra, Germania, Svizzera, Italia e Giappone. Funziona con poca trasparenza, è un organo sovranazionale non eletto da alcun cittadino, è indipendente dai governi nazionali, anche se ha un controllo significativo sul sistema finanziario globale, stabilendo i requisiti per la riserva monetaria, la somma di denaro che le banche di tutto il mondo devono avere in riserva.
In Ameria la Federal Reserve attua una riserva del 10%, in Europa la BCE applica una riserva del 2%. Il denaro posto a riserva è quello che esiste materialmente nei conti di deposito, tutta la restante percentuale rappresenta denaro creato dal nulla dalle banche.

BANCHE CENTRALI INTERNAZIONALI - i banchieri centrali utilizzano la Banca Mondiale e il Fondo monetario internazionale (FMI) per fare profitti e acquisire le risorse vitali dei paesi a cui concedono il prestito, i quali spesso finiscono per essere depredati delle loro risorse, portando la loro economia alla bancarotta. Per ogni dollaro che gli Stati Uniti conferiscono a queste banche, le società statunitensi - come ad esempio Halliburton, Exxon Mobil, o la Bechtel (controllate dalla élite economica) - ricevono più del doppio di tale importo nei contratti con queste banche internazionali.

LE BANCHE CENTRALI NAZIONALI - Quasi tutti i paesi hanno una banca centrale, di cui le banche commerciali sono membri. Le banche centrali fissano i tassi di interesse e determinano la quantità di moneta in circolazione. Inoltre prestano denaro ai governi in cambio di Titoli di Stato, gravati di una scadenza per il rimborso e di interessi da pagare. Tutto ciò tende a generare un debito pubblico infinito e matematicamente impossibile da sanare con l'attuale struttura economica. (N.B.: ogni anni l'Italia paga circa 80-90 miliardi di interessi solo sul debito).

LE GRANDI BANCHE COMMERCIALI - Le grandi banche offrono prestiti alle società a tariffe speciali, permettendo loro di fare affari. Ciò mette le banche in una posizione di potere, al di sopra delle corporazioni e del popolo, perché il finanziamento è ciò che permette alle aziende di andare avanti con i loro progetti e ai cittadini di finanziare il mutuo della casa o il prestito per comprare un'automobile nuova.

CORPORATOCRAZIA - Questo livello di potere riguarda le grandi multinazionali che, finanziate dalle banche, arraffano "pezzi di Stato", ossia nelle loro mani finisce la gestione di beni e servizi che prima erano in mano pubblica. Tutto ciò avviene grazie la complicità di banche e politici.

GOVERNO - I politici hanno il compito di fare da filtro tra le banchecorporations e la gente. Ogni partito politici è nella maggior parte dei casi finanziato dalle stesse banche e, quindi, una volta eletto è sottomesso al volere dell'oligarchia bancaria. Si spacciano per rappresentanti del popolo, ma in realtà rappresentano il diktat imposto dall'elite finanziaria.

LE PERSONE, IL PIANETA E TUTTI GLI ESSERI VIVENTI - al livello più basso della piramide troviamo la maggioranza delle persone su questo pianeta e tutte le altre forme di vita. A partire dal 2010, uno su sette individui sul pianeta non ha abbastanza da mangiare e la maggior parte degli ecosistemi stanno rischiando di scomparire.
Il popolo è costretto a SUBIRE il diktat imposto dai vertici della piramide: 
- lavorare per sopravvivere e consumare
- seguire le cure della medicina ufficiale che rappresentano solo un business per le case farmaceutiche, mettendo al bando cure di medicina alternativa che diano benefici sostanziali per la salute dell'essere umano e risultano essere dei rimedi naturali e dai costi contenuti;
- stile alimentare (codex alimentarius) che genere malattie per l'essere umano e provoca la morte di altri esseri viventi;
- utilizzo di risorse energetiche che generano inquinamento, danneggiano la salute e comportano sacrifici economici, ostacolando l'attivazione di processi basati sull'energia libera (free-energy), che può essere infinita, gratuita per tutti e atta a non danneggiare la nostra salute e l'ambiente circostante.

Viviamo in un sistema governato dall'elite finanziaria. Solo l'informazione potrebbe rendere libero il cittadino, permettendogli di conoscere il reale funzionamento del sistema economico, capire il problema ed proporre valide soluzioni (sovranità monetaria, democrazia diretta, energia gratis, reddito di cittadinanza, etc.) per rovesciare il sistema.
Vivere nella più completa armonia non sarebbe un'utopia, potrebbe essere una realtà concretizzabile in un futuro nemmeno tanto lontano.

Salvatore Tamburro

 
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Signoraggio, economista denuncia il silenzio dei giornali

Post n°61 pubblicato il 06 Aprile 2012 da a500er
 



L’economista e scrittore Salvatore Tamburro ha scritto una lettera aperta ai mezzi di informazione per chiedere il motivo del loro silenzio in merito allo strapotere bancario che sfrutta l’intera comunità. Di seguito il testo della lettera.

"Cari mezzi di informazione, chi vi scrive è un economista che da tempo cerca di denunciare pubblicamente, attraverso conferenze, libri, articoli e video, in maniera indipendente ed autonoma, il reale funzionamento del sistema economico. 

Rivolgo la mia domanda ai principali mezzi di informazione, sia della carta stampata, che della televisione e delle radio: perché continuate a tacere sul reale funzionamento del sistema economico, senza informare la collettività della grave truffa del signoraggio bancario, ossia il profitto che ottiene chi crea moneta (si distingue in primario e secondario a seconda che si tratti della creazione fisica di monete e banconote oppure della creazione elettronica di moneta), sulla perdita di sovranità monetaria da parte di un Paese privato del suo potere più importante, ossia emettere moneta e, ancora, continuate ad agire senza denunciare il diktat imposto da istituzioni sovranazionali, non elette da alcun cittadino, che decidono circa la nostra politica monetaria e, quindi, sugli aspetti della nostra vita? 

L'argomento del signoraggio è ampiamente discusso sul web, poiché almeno lì si ha ancora la facoltà di far circolare certe informazioni attraverso blog o siti indipendenti; sui mass-media nazionali, invece, c'è una forma di chiusura totale verso certi argomenti, a mio avviso per due motivi: il primo connesso al fatto che certi organi di informazione siano collusi con gli stessi artefici di questo sistema economico basato sullo sfruttamento dell'essere umano; il secondo motivo è l'ignoranza da parte di coloro che avrebbero il compito di informare i disinformati. Tendo a propendere per la prima ipotesi.

Produrre intere puntate televisive in onda in prima serata o scrivere intere pagine di quotidiani raccontando i disagi della disoccupazione giovanile, la lotta all'evasione, l'aumento dello spread, l'aumento del debito pubblico, il PIL che non cresce, significa discutere degli effetti, non della causa

Tutti i disagi connessi alla mancanza di lavoro, all'inefficienza dei servizi pubblici e alla riduzione sempre più drastica del benessere collettivo partono tutti dal fatto che uno Stato, soggiogato dallo strapotere dell'oligarchia bancaria e delle grandi corporations, non potrà mai esaudire azioni nell'interesse del popolo che dovrebbe, invece, godere della sovranità come afferma il primo articolo della nostra Costituzione: "L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione". 

Visto che la realtà è diversa riscriviamo allora l'art.1 della Costituzione, modificandolo in:  "L'italia è una repubblica anti-democratica poiché non tiene conto del volere del popolo, in quanto il potere è diretto da istituzioni sovranazionali non elette democraticamente da alcun cittadino. La sovranità appartiene alle banche centrali, ossia società private, che la esercitano per emettere moneta e prestarla agli Stati".

Anche i legislatori, come i mass-media, sono collusi o disinformati per non apportare una simile modifica a livello costituzionale?

Non è forse vero che un Paese privato della sovranità monetaria sarà sempre soggiogato ai mercati finanziari e alle banche? Per originare la spesa pubblica atta a produrre beni e servizi utili al soddisfacimento dei bisogni dei cittadini lo Stato non può emettere moneta, come sarebbe logico fare, ma dovrà emettere Titoli di Stato, gravati di interessi, e venderli alle banche in cambio di moneta. Moneta questa che viene stampata dalle banche a costi quasi nulli (valore intrinseco), ma addebitati al valore nominale; un sistema che genera il vortice senza fine del debito pubblico da cui non c'è via di scampo, dove lo Stato subisce il doppio diktat delle banche: da un lato quando deve chiedere denaro in prestito, pagando pure copiosi interessi (l'Italia sborsa ogni anno circa 80-90 milardi di euro solo di interessi), e dall'altro lato quando queste istituzioni sovranazionali impongono di ridurre il debito (creato dalle stesse banche) introducendo misure di austerità, quali tagli della spesa pubblica ed aumento delle tasse, favorendo in tal modo le privatizzazioni, da cui ne traggono benefici le grandi corporations.

Un sistema economico che così come strutturato sventra l'apparato statale a tutto beneficio di entità private, banche e corporations, e a tutto svantaggio della collettività che ne paga le nefaste conseguenze. 

E quale sarebbe l'utilità di quelle tribune politiche tradotte in ore di "comizi" televisivi in cui si discute di problemi marginali? Non sono forse una farsa atta a lobotomizzare le masse pur di non parlare del reale problema del signoraggio e della perdita di sovranità monetaria? 

Discutere degli effetti e non della causa sono "armi di distrazione di massa" che hanno lo scopo di dirottare l'opinione pubblica ad interessarsi di stupidaggini, pur di deviare l'attenzione dalla vera truffa di cui ne siamo tutti vittime.

Eppure il mondo del web ha ben sottolineato, attraverso fiumi di parole e video, la gravità di questa tematica ma, nonostante tutto, giornali, programmi tv e radio continuano a tacere. Quanto prima, quando una percentuale maggiore di persone verrà a conoscenza del reale funzionamento del sistema economico, così come strutturato oggigiorno, i mass-media, come del resto la magistratura e tutti quei politici che finora hanno censurato l'argomento, verranno condannati sul patibolo mediatico il cui giudice sarà il popolo, pronto a individuare corrotti e collusi del nefasto sistema economico di cui ne siamo parte.

Solo gli intelligenti si renderanno conto che è da folli continuare a innalzare barriere atte ad occultare la lotta al signoraggio, poiché esse si sgretoleranno quanto prima ed allora non ci sarà più tempo per ricorrere ai ripari, perché come si legge nelle aule dei tribunali "Ignorantia legis non excusat" (La legge non ammette ignoranza), anche il popolo non ammetterà l'ignoranza dei mass-media di fronte ad argomenti di importantissima rilevanza e la collettività, come un giudice pronto ad emettere la sua sentenza finale, arriverà a condannare i mezzi di informazione come collusi agli stessi corruttori, rappresentati questi ultimi dall'oligarchia bancaria, la quale verrà accusata di violazione degli art. del c.p. 241 (Attentati contro la integrità, l’indipendenza o l’unità dello Stato), 283 (Attentato contro la costituzione dello Stato), 648 bis ( Riciclaggio), 501 (Rialzo e ribasso fraudolento di prezzi sul pubblico mercato o nelle borse di commercio), 501 bis (Manovre speculative su merci), 416 (Associazione per delinquere), 61 (Circostanze aggravanti comuni), 580 (Istigazione al suicidio) ed altri di questi gravissimi delitti.

Il ladro continuerà ad agire indisturbato finché coloro preposti a diffonderne notizia ed a catturarlo non decideranno di compiere il loro dovere; ma se il popolo si accorgerà che "lo sceriffo" chiude non uno, ma entrambi gli occhi ai gravissimi reati compiuti dal ladro, allora lo sceriffo verrà ritenuto pienamente responsabile e colpevole quanto il ladro per i gravissimi reati che stanno mietendo numerose vittime in termini sia fisici che psichici, sia a livelli nazionali che internazionali. 

C'è un famoso aforisma di Henry Ford che cito: "È un bene che il popolo non comprenda il funzionamento del nostro sistema bancario e monetario, perché se accadesse credo che scoppierebbe una rivoluzione prima di domani mattina." Bisognerebbe chiedersi per chi sia un bene? Scommetto che molti sanno la risposta, ma ancora una volta si nasconderanno dietro le barriere dell'immobilismo e dell'oscurantismo, piaghe sociali queste di cui i mass-media ne sono emblematici portatori.

Le soluzioni per un sistema economico più equo ed in grado di garantire maggior benessere per i cittadini esistono, ma se non si offre la possibilità di capire il vero problema non ci sarà spazio per proporre le soluzioni più adeguate.

Tutti i mezzi di informazione che leggeranno questa mia lettera sono invitati a rispondere, enunciando il loro punto di vista su questa tematica scottante quanto grave circa la censura del problema del signoraggio bancario. Salvatore Tamburo"

 
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Tornare alla moneta di Stato ecco la soluzione che costò la vita ad Aldo Moro

Post n°60 pubblicato il 06 Aprile 2012 da a500er
 

signoraggio

 

di Marco Saba (15 Marzo 2012)

Se recuperassimo l’idea di Aldo Moro di emettere biglietti di stato a corso legale senza bisogno di chiedere banconote in prestito via Bankitalia-Bce, potremmo non soltanto assolvere i vari bisogni del popolo italiano, ma anche varare un bel corso gratuito di criminologia monetaria e bancaria.
Fu infatti così che i governi Moro finanziarono le spese statali, per circa 500 miliardi di lire degli anni ‘60 e ‘70, attraverso l’emissione di cartamoneta da 500 lire “biglietto di stato a corso legale” (emissioni “Aretusa” e “Mercurio”). La prima emissione fu normata con i DPR 20-06-1966 e 20-10-1967 del presidente Giuseppe Saragat per le 500 lire cartacee biglietto di Stato serie Aretusa, (Legge 31-05-1966). La seconda emissione fu regolata con il DPR 14-02-1974, del Presidente Giovanni Leone per le 500 lire cartacee biglietto di stato serie Mercurio, DM 2 aprile 1979.
Questa moneta di stato tra l’altro aveva l’importante funzione di immettere denaro senza debito che rendeva solvibile – almeno in parte – il sistema usuraio poiché serviva per pagare gli interessi per i quali il sistema bancario NON emetteva moneta e strozzava il paese (come invece ora fa). L’idea era stata copiata dal periodo fascista in cui tante opere pubbliche vennero finanziate a questo modo. Mentre l’analoga operazione di emettere Am-Lire da parte degli occupanti alleati fu una vera e propria opera di falsari che imposero la loro moneta a suon di bombardamenti addebitandola per lo più a debito pubblico (una perdita di circa 300 miliardi di lire dell’epoca 1943-1952, oltre a tutti i beni di cui si erano appropriati con questo denaro falso). Fu Giovanni Leone a firmare l’ultimo DPR con cui si emettevano le 500 lire. Sia Moro che Leone non ebbero gran fortuna e sappiamo come vennero ringraziati da Bankenstein… Ma ora c’è internet, ora sarebbe molto più facile impedire la reazione della bancocrazia totalitaria diffondendo la conoscenza della materia. Infatti, col senno di poi, non è difficile capire a cosa doveva portare il disegno del terrorismo nel nostro paese: gli anni di piombo si chiusero con due stragi nell’anno del Trattato di Maastricht, il 1992… Questo trattato è un papello tra “Stati” e banchieri mannari, il cui risultato oggi è sotto gli occhi di tutti. Ci ha portato al golpe morbido del governo Monti… Comunque, in seguito all’assassinio di Moro e alle dimissioni anticipate di Leone, l’Italia smise di emettere cartamoneta di Stato. La bancocrazia ci aveva anche provato prima a ricattare lo Stato, emettendo i famosi miniassegni per erodere il signoraggio che lo stato guadagnava con la propria moneta, ma poi, non essendo la “misura” sufficiente, ricorsero ai mitra e bombe. Ricordatevi che il terrorismo in Italia inizia con due attentati dinamitardi negli anni ‘60 contro due banche di Stato (all’epoca): Banca Nazionale dell’Agricoltura a Milano e BNL a Roma… Oggi lo Stato guadagna decisamente spiccioli con il conio delle monetine, dove i margini e la quantità di signoraggio sono niente rispetto all’emissione di cartamoneta e denaro virtuale, proprio una mancia per salvare le apparenze. Dobbiamo proporre di introdurre con vigore una cartamoneta complementare nazionale chiamata Biglietto di stato, con cui soddisfare i bisogni interni del paese. Questa cartamoneta non influirebbe sui parametri di Francoforte, non creerebbe debito e darebbe la libertà al paese di soddisfare tutte le esigenze di base della cittadinanza. La Moro-nomics è un’alternativa degna di essere seriamente presa in considerazione.FINE

 

In aggiunta a quanto scritto dall'autore dico che è per questo motivo che sono stati uccisi o deposti:

kennedy,Moro,Gheddafi,Mubarak 

 
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La veritò sul FMI

Post n°59 pubblicato il 30 Gennaio 2012 da a500er
 
Tag: FMI

TUTTA LA VERITA' SUL FONDO MONETARIO INTERNAZIONALE,LO STRUMENTO PREDILETTO DEI BANCHIERI MASSONI

lunedì 30 gennaio 2012

 

IL FONDO MONETARIO INTERNAZIONALE E' UN'ORGANIZZAZIONE NATA A SEGUITO DELLA CONFERENZA DI BRETTON WOODS CHE DOVREBBE PERSEGUIRE L'INTERESSE ECONOMICO MONDIALE.IN REALTA' E' UN'ISTITUZIONE NON DEMOCRATICA IN QUANTO IL SISTEMA DI VOTO PRIVILEGIA I PAESI PIU' RICCHI,MA SOPRATTUTTO PERCHE' E' MANOVRATA COME AL SOLITO DAI RICCHI BANCHIERI CHE ATTRAVERSO L'FMI IMPONGONO I LORO VOLERI AI GOVERNI DEMOCRATICAMENTE ELETTI..

di Salvatore Tamburo
Il Fondo Monetario Internazionale (International Monetary Fund, di solito abbreviato in FMI in italiano e in IMF in inglese) è, insieme al Gruppo della Banca Mondiale, una delle organizzazioni internazionali dette di Bretton Woods, dalla sede della Conferenza che ne sancì la creazione.
L'Accordo Istitutivo acquisì efficacia nel 1945 e l'organizzazione nacque nel maggio 1946. L 'FMI si configura anche come un Istituto specializzato delle Nazioni Unite (ONU).

I suoi obiettivi sono (dovrebbero essere):
- Promuovere la cooperazione monetaria internazionale
- Facilitare l'espansione del commercio internazionale
- Promuovere la stabilità e l'ordine dei rapporti di cambio, evitando svalutazioni competitive
- Dare fiducia agli Stati membri rendendo disponibili, con adeguate garanzie, le risorse del Fondo per affrontare difficoltà della bilancia dei pagamenti
- In relazione con i fini di cui sopra, abbreviare la durata e ridurre la misura degli squilibri delle bilance dei pagamenti degli Stati membri.

Ogni membro (attualmente 185 paesi) può accedere al credito del fondo (SBA ed EFF), in un anno, fino al massimo del 100% delle quote sottoscritte e, cumulativamente, fino al massimo del 300%; l'ammontare dei prestiti può essere elevato in casi eccezionali.
Il Fondo Monetario Internazionale è fortemente criticato dal movimento no-global e da alcuni illustri economisti, come il Premio Nobel per l’economia Joseph Stiglitz, che lo accusano di essere un'istituzione manovrata dai poteri economici e politici del cosiddetto Nord del mondo e di peggiorare le condizioni dei paesi poveri anziché adoperarsi per l'interesse generale.
Il sistema di voto, che chiaramente privilegia i paesi "occidentali", è considerato da molti iniquo e non democratico. Il FMI è accusato di prendere le sue decisioni in maniera poco trasparente e di imporle ai governi democraticamente eletti che si trovano così a perdere la sovranità sulle loro politiche economiche.

Il board esecutivo e il board dei governatori del FMI non danno a tutti i Paesi la stessa possibilità di essere rappresentati.
L’assegnazione del numero dei voti è basata sul sistema “un dollaro un voto”, che quindi antepone la ricchezza alla democrazia. I paesi più ricchi controllano il board esecutivo sia in termini di seggi che di voti, nonostante il Fondo sia quasi completamente impegnato in Paesi a basso e medio reddito. Questo sistema, creato durante il periodo coloniale e controllato dai governi dei Paesi sviluppati, è inadeguato e necessita di essere radicalmente modificato.
Perciò molti economisti, rappresentati del governo e associazioni chiedono una struttura del Fondo che sia realmente democratica, che abbia gli stessi standard di democrazia richiesti a livello nazionale. Per raggiungere questo obiettivo, si auspica l’adozione immediata di un sistema di voto a doppia maggioranza. Le decisioni dei board dovrebbero essere prese solo con il consenso della maggioranza dei governi membri e con la maggioranza dei voti a favore. Il sistema “un Paese, un voto” contro-bilancerebbe il sistema “un dollaro, un voto”. La combinazione dell’attuale sistema di voto con la richiesta di un accordo della maggioranza dei governi membri contribuirebbe a superare l’ineguaglianza che caratterizza il meccanismo decisionale del FMI.

Come espresso prima Joseph Stiglitz ha apertamente criticato l’operato del Fondo Monetario Internazionale.
Stiglitz ha rivestito ruoli rilevanti nella politica economica. Ha lavorato nell'amministrazione Clinton come Presidente dei consiglieri economici (1995 –1997); alla Banca Mondiale ha assunto la posizione di Senior Vice President e Chief Economist (1997 – 2000), prima di essere costretto alle dimissioni dal Segretario del Tesoro Lawrence Summers.
Stiglitz esprime il suo disappunto per la politica del FMI nel suo libro intitolato "Globalization and Its Discontents" 92 ("La globalizzazione e i suoi oppositori"), dove analizza gli errori del FMI e della gestione delle crisi finanziarie che si sono susseguite negli anni novanta, dalla Russia ai paesi del sud est asiatico all'Argentina. Stiglitz illustra come la risposta del FMI a queste situazioni di crisi sia stata sempre la stessa, basandosi sulla riduzione delle spese dello Stato, una politica monetaria deflazionista e l'apertura dei mercati locali agli investimenti esteri. Tali scelte politiche venivano di fatto imposte ai paesi in crisi ma non rispondevano alle esigenze delle singole economie, e si rivelavano inefficaci o addirittura di ostacolo per il superamento delle crisi.

Stiglitz critica il FMI su diversi punti.
Analizzando la crisi dell’Est asiatico, Stiglitz ricorda che il 2 luglio 1997 crollò il baht tailandese che segnò l’inizio della più grande crisi economica dai tempi della Grande depressione, una crisi che partendo dall’Asia sarebbe andata a colpire anche Russia e America Latina.
Il baht, che per dieci anni era stato scambiato con un rapporto di 25:1 rispetto al dollaro, dalla sera alla mattina subì una svalutazione di circa il 25 per cento.

Ormai la crisi è passata ma sfortunatamente le politiche imposte dal FMI durante quel periodo tumultuoso hanno peggiorato la situazione, e in molti casi hanno provocato addirittura l’inizio di una crisi: secondo Stiglitz una liberalizzazione eccessivamente rapida dei mercati finanziari e dei capitali è stata probabilmente la causa principale della crisi, sebbene vi abbiano condotto anche alcune politiche sbagliate condotto dai singoli paesi.
Oggi gli esperti del FMI hanno riconosciuto molti errori, ma non tutti.
Si sono resi conto, per esempio, di quanto possa essere pericolosa una liberalizzazione troppo rapida del mercato dei capitali, ma è un cambiamento di opinione che arriva quando ormai è troppo tardi per aiutare i paesi in difficoltà.

Nei tre decenni precedenti alla crisi, l’Est asiatico non era soltanto cresciuto più velocemente di qualsiasi altra regione del mondo, più o meno sviluppata, riuscendo addirittura a ridurre la povertà, ma aveva anche acquisto stabilità e si era salvato dagli alti e bassi che caratterizzavano tutte le economie di mercato.
Tanto che quei risultati positivi vennero descritti come “il miracolo asiatico”.
Quando scoppiò la crisi però il FMI e il Tesoro degli Stati Uniti fecero aspre critiche contro questi paesi, incolpandoli di avere dei governi corrotti e urgeva una riforma radicale.
Stiglitz però si interroga: “come è possibile che le istituzioni di questi paesi abbiano funzionato così bene per tanto tempo se sono marce e corrotte?” . La risposta si evinse chiaramente dalla relazione intitolata “The East Asian Miracle” realizzata dalla Banca Mondiale su pressione dei giapponesi: quei paesi asiatici avevano avuto successo non solo malgrado il fatto di non aver seguito il diktat del Washington Consensus, ma proprio perché non li avevano seguiti; fu così evidenziato l’importante ruolo svolto dai governi.

Mentre le politiche del Washington Consensus mettevano in risalto la privatizzazione, i governi asiatici a livello nazionale e locale davano contributi per la creazione di imprese efficienti che hanno svolto un ruolo decisivo nel successo di alcuni di questi paesi.
Quando cominciò la crisi, l’Occidente non ne colse la gravità.
Il FMI per risolvere la crisi impose un’impennata dei tassi d’interesse e tagli alle spese, nonché di introdurre nei paesi cambiamenti sia economici che politici.
Il FMI stava fornendo miliardi di dollari a questi paesi, ma a condizioni di così ampia portata che i paesi che accettavano i finanziamenti finivano per rinunciare a gran parte della loro sovranità economica.

Nonostante ciò, i programmi del FMI sono falliti: avrebbero dovuto arrestare la caduta dei tassi di interesse, che invece si sono mantenuti in discesa, senza che il mercato abbia minimamente dimostrato di aver preso atto che fosse arrivato il FMI a “salvare la situazione”. Imbarazzato dal fallimento della sua ricetta il FMI ha puntualmente incolpato il paese di turno di non aver attuato sul serio le riforme necessarie.
Con l’aggravarsi della crisi aumentò la disoccupazione: la percentuale di disoccupati era quadruplicata in Corea, triplicata in Thailandia e decuplicata in Indonesia.
Il rallentamento nella regione ha avuto ripercussioni globali:la crescita economica complessiva fu rallentata e, con questo rallentamento, sono crollati i prezzi delle materie prime.

Secondo il premio Nobel americano, a generare le crisi economiche dall’Est asiatico all’America Latina, dalla Russia all’India, ritiene che la colpa vada imputata alla liberalizzazione dei movimenti di capitali. Secondo Stiglitz essa può creare rischi enormi persino in quei paesi che hanno banche forti, borse valori mature e altre istituzioni che molti di quei paesi in crisi non possedevano. Nonostante egli esempi del passato, il FMI ripropone la sua ricetta di liberalizzazione dei capitali, nella bizzarra ipotesi che questa migliorerebbe la stabilità economica attraverso una maggior diversificazione delle fonti di finanziamento. Basterebbe però analizzare i dati relativi ai flussi di capitali per rendersi conto che essi hanno un andamento prociclico, cioè defluiscono da un determinato paese in tempi di recessione, proprio quando il paese ne ha più bisogno, e affluiscono verso il paese nel periodi di rapida espansione, esasperando le pressioni inflazionistiche.

Analizziamo due casi: la Corea del Sud dove è intervenuto il FMI e la Cina che scelse di non seguire le politiche del Fondo.

1. In Corea il FMI, nonostante conoscesse l’eccessivo indebitamento delle aziende, insistette che fossero aumentati i tassi di interesse e ciò aumentò il numero delle aziende in crisi e, di conseguenza, il numero delle banche che si trovarono a gestire “crediti in sofferenza”. In pratica il FMI era riuscito a congegnare una contrazione simultanea tanto della domanda quanto dell’offerta.
Il FMI si giustificava dicendo che le sue politiche avrebbero aiutato a riportare la fiducia nei mercati dei paesi colpiti. Ma chiaramente un paese in piena recessione non ispira alcuna fiducia.

2. Confrontando quello che è successo in Cina invece, che come la Malesia scelse di non seguire i programmi del FMI, vediamo chiaramente gli effetti negativi delle politiche del FMI.
La Cina , del resto come l’India, fu uno dei grani paesi in via di sviluppo che è riuscita ad evitare la devastazione della crisi economica mondiale introducendo dei controlli sui movimenti dei capitali.

Mentre i paesi in via di sviluppo con mercati dei capitali liberalizzati hanno registrato un declino dei redditi, l’India è cresciuta di oltre il 5% e la Cina quasi dell’8%. Questi risultati notevoli sono stati seguiti non certo seguendo le ricette del FMI, bensì quelle dell’ortodossia economica che gli economisti insegnano da più di mezzo secolo. La Cina ha colto l’occasione di associare ai suoi obiettivi a breve termine quelli di una crescita di lungo periodo, stimolando una domanda enorme di infrastrutture.
Conn Hallinan è analista in politica estera al Foreign Policy, ed insegnante di giornalismo all’Università della California a Santa Cruz. Hallinan scrive che l’ultima vittima in ordine di tempo del FMI sia stata appunto l’Argentina: la terza economia, per importanza, dell'America Latina è stata fatta deragliare dalle politiche del Fondo Monetario Internazionale che hanno già devastato popolazioni ed economie da Mosca a JaKarta riempiendo al contempo i forzieri delle banche e delle organizzazioni finanziarie.

Secondo Hallinan il mito più diffuso riguardo al FMI è che si tratti di un organismo “internazionale". Infatti, ha molti membri ma gli Stati Uniti ed i suoi alleati prendono tutte le decisioni. L'Olanda, ad esempio, ha più potere di voto della Cina e dell'India. "Internazionale" sarebbe quindi una comoda finzione che permette all'organizzazione di evitare il controllo del Congresso. Quello che il FMI fa è di fare un'offerta che non è possibile rifiutare.
Quando L’Argentina attraversò un periodo economico burrascoso all’inizio degli anni ’90, il Presidente Bush (senior) e il Fondo offrirono un prestito condizionato all’ancoraggio del Peso Argentino al Dollaro, alla totale privatizzazione di banche e servizi, alla rimozione di dazi doganali ed alla liberalizzazione della circolazione dei capitali.

L’Argentina ha abboccato e i capitali stranieri sono affluiti. Per alcuni (i benestanti) l’economia decollò, ma legare il peso al dollaro ha reso le esportazioni argentine proibitive mentre l’inondazione di importazioni estere a basso costo ha minato la base industriale del paese: chiusura di fabbriche, diffusione della disoccupazione ed implosione del debito. La libera circolazione dei capitali ha permesso a compagnie straniere di spillare profitti all’estero ed ha aperto le porte ai “vulture funds”, che hanno acquistato gran parte del debito per fare il colpo grosso con gli elevati tassi d’interesse.
Il fondo Toronto Trust Argentina98 ha avuto un ritorno del 79,25% sui debiti acquistati pari a trenta volte quello che avrebbe realizzato con i Bonds del tesoro statunitensi.

L’effetto delle privatizzazioni proposte dal FMI portarono una compagnia francese ad acquistare gli acquedotti del paese e aumentare le tariffe del 400%.
L'Argentina era guardata dal mondo come il paese dove il pensiero unico del F.M.I. e della Banca Mondiale aveva vinto. Un miracolo economico! Ma le privatizzazioni prima o poi finiscono, lo squilibrio commerciale resta, lo Stato deve drenare denaro sui mercati internazionali attraverso prestiti internazionali in valuta, ad ogni giro i tassi salgono e il rating diminuisce. I tassi alti scoraggiano l'economia e per tre anni l'Argentina va in recessione. Le Grandi Famiglie (3% della popolazione) incominciano a cambiare i pesos in dollari. Servono altri prestiti, sempre più cari.

A questo punto scoppia la crisi finanziaria.
Nessuno presta più soldi all'Argentina che è costretta a tagliare del 13% i salari pubblici e a bloccare totalmente la spesa pubblica. Neanche questo basta, ed ecco l'F.M.I., caritatevole, giungere in soccorso, prestando 8 miliardi di dollari . con una clausola, però, che l'Argentina aderisca al F.T.A.A. (Free Trade Area of the Americas) cioè si apra al libero scambio con gli USA.

Doppia trappola: il deflusso di dollari non potrà che aumentare, per il libero scambio e in più si mette in ginocchio il Brasile e si fa saltare il Mercosur (il Mercato dell'America del sud).
La crisi finanziaria argentina è solo rimandata di qualche mese: una boccata d'ossigeno per l'UBS, Citygroup e Chase Manhattan e altre grandi banche che hanno ancora qualche mese per “securizzare” i propri crediti, cioè farli scomparire nel risparmio gestito di fondi pensione. Quando la stessa cosa avvenne in Messico nel 1995 a rimetterci fu il Fondo Pensione degli Insegnanti della California! Ma ormai è fin troppo chiaro: le ricette virtuose del F.M.I. sono catastrofiche.
Dopo il Sud Est asiatico e la Russia hanno rovinato il Sudamerica. Ma la grande fornace di Wall Street ha bisogno di capitali esteri che tengano su i corsi azionari e quindi `mors tua vita mea'!

Meraviglie della globalizzazione dei mercati finanziari!
Ma a dicembre del 2001 la crisi esplode senza remissione. Prima l'annuncio del default sul debito, bonds sovereign e local market instruments collocati compiacentemente sui mercati internazionali per un valore di oltre 58 miliardi di dollari vanno in default. Il Ministro dell'Economia Domingo Cavallo tentò un ultimo colpo da presitigiatore finanziario: lo Swap del debito.
Tassi al 7% invece del 30% e più e allungamento delle scadenze. I mercati non accettano. Gli argentini così incominciano a dubitare che un dollaro valga un peso. Le banche sono prese d'assalto per cambiare pesos in dollari. I capitali defluiscono e con essi la possibilità di far fede agli impegni assunti con il F.M.I. In più la crisi riduce i profitti e i consumi. Crollano dunque anche le entrate fiscali e l'obiettivo del `deficit di bilancio zero torna ad essere quello che era sempre stato: una pura utopia. Si limita la possibilità di ritirare denaro a 1.000 dollari mese. I bancomat vengono presi d'assalto e presto vanno in Tilt. Ormai è crisi di liquidità. Il F.M.I. nega la `tranche' di oltre 1 miliardo di dollari dell'ultimo accordo di sostegno.

Anche loro sanno che sarebbe ormai solo una goccia in un mare di debiti. Iniziano gli assalti ai supermercati e la crisi che tutti conosciamo.
Il crac in Argentina non può essere imputato semplicemente alla corruzione nazionale ma al sistema “politico” del FMI che, invece di sostenere una partecipazione vera nello sviluppo della nazione, ha introdotto meccanismi monetaristici che hanno portato alla rovina economica il paese.
Tra Paesi che soccombono in crisi finanziarie, c’è invece un paese che si libera dal debito nei confronti del FMI e Banca Mondiale, ovvero il Venezuela del Presidente Hugo Chàvez.
Il paese sudamericano ha estinto il debito con il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale e adesso nutre come secondo obiettivo la costituzione del Banco del Sur.
Il Venezuela ha recuperato interamente la sua sovranità; le sue orme potrebbero essere seguite da tanti altri paesi sudamericani od europei. Naturalmente tutto dipende se al tavolo delle trattative si indossi la veste del finanziatore pro-lobby o del debitore.

FONTE

BIBLIOGRAFIA
http://bankitaliasignoraggioenwo.blogspot.com
http://www.imf.org
STIGLITZ J., La globalizzazione e i suoi oppositori Torino, Einaudi, Torino (2002)
www.foreignpolicy.com
http://www.aamterranuova.it

 
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Sulla Commissione Trilaterale

Post n°58 pubblicato il 30 Gennaio 2012 da a500er
 

I trent'anni di un'istituzione segreta

Gli opachi poteri della Trilaterale

Olivier Boiral

Dirigenti delle multinazionali, governanti dei paesi ricchi e sostenitori del liberismo economico hanno rapidamente compreso che dovevano agire di concerto se volevano imporre la propria visione del mondo. Nel luglio 1973, in un mondo allora bipolare, David Rockefeller lancia la Commissione trilaterale, che segnerà il punto di partenza della guerra ideologica moderna. Meno mediatizzata del forum di Davos, la Trilaterale è molto attiva, attraverso una rete di influenze dalle molteplici ramificazioni.

Olivier Boiral

Trent'anni fa, nel luglio 1973, su iniziativa di David Rockefeller, figura di spicco del capitalismo americano, nasceva la Commissione trilaterale. Cenacolo dell'élite politica ed economica internazionale, questo circolo chiusissimo e sempre attivo formato da alti dirigenti ha suscitato, soprattutto ai suoi inizi, molte controversie (1).

All'epoca, la Commissione si prefiggeva di diventare un organo privato di concertazione e orientamento della politica internazionale dei paesi della triade (Stati uniti, Europa, Giappone). L'atto costitutivo spiega: "Basata sull'analisi delle più rilevanti questioni con cui si confrontano l'America del Nord, l'Europa occidentale e il Giappone, la Commissione si sforza di sviluppare proposte pratiche per un'azione congiunta. I membri della Commissione comprendono più di 200 insigni cittadini impegnati in settori diversi e provenienti dalle tre regioni (2)".

La creazione di questa organizzazione opaca in cui a porte chiuse e al riparo da qualsiasi intromissione mediatica si ritrovano fianco a fianco dirigenti di multinazionali, banchieri, uomini politici, esperti di politica internazionale e universitari, coincideva all'epoca con un periodo di incertezza e turbolenza della politica mondiale.

La direzione dell'economia internazionale sembrava sfuggire alle élite dei paesi ricchi, le forze di sinistra apparivano potenti, soprattutto in Europa, e la crescente interdipendenza delle questioni economiche chiamava le grandi potenze a una cooperazione più stretta.

Rapidamente, la Commissione trilaterale si impone come uno dei principali strumenti di questa concertazione, attenta al tempo stesso a proteggere gli interessi delle multinazionali e a "chiarire" attraverso le proprie analisi le decisioni dei dirigenti politici (3).

Come i re filosofi della città platonica, che contemplano il mondo delle idee per infondere la loro trascendente saggezza nella gestione degli affari terrestri, l'élite che si riunisce all'interno di questa istituzione molto poco democratica si adopera nel definire i criteri di un "buon governo" internazionale. Veicola un ideale platonico di ordine e controllo, assicurato da una classe privilegiata di tecnocrati che mette la propria competenza e la propria esperienza al di sopra delle profane rivendicazioni dei semplici cittadini: "La cittadella trilaterale è un luogo protetto dove la techné è legge - commenta Gilbert Larochelle. E dove sentinelle dalle torri di guardia vegliano e sorvegliano. Ricorrere alla competenza non è affatto un lusso, ma offre la possibilità di mettere la società di fronte a se stessa.

Il maggior benessere deriva solo dai migliori che, nella loro ispirata superiorità, elaborano criteri per poi inviarli verso il basso (4)".

All'interno di questa oligarchia della politica internazionale, le cui riunioni annuali si svolgono in varie città della triade, i temi vengono dibattuti in una discrezione che nessun media sembra più voler disturbare. Essi sono oggetto di rapporti annuali (The Trialogue) e di lavori tematici (Triangle Papers) realizzati da équipes di esperti americani, europei e giapponesi scelti molto accuratamente. Questi documenti pubblici, regolarmente pubblicati da circa trent'anni, mostrano l'attenzione che la trilaterale rivolge ai problemi globali che trascendono le sovranità nazionali, come la globalizzazione dei mercati, l'ambiente, la finanza internazionale, la liberalizzazione delle economie, la regionalizzazione degli scambi, i rapporti Est-Ovest (all'inizio), il debito dei paesi poveri.

Contro "gli eccessi della democrazia" Gli interventi ruotano intorno ad alcune idee fondanti, ampiamente riprese dalla politica. La prima è la necessità di un "nuovo ordine internazionale". Il quadro nazionale sarebbe troppo angusto per trattare grandi questioni mondiali la cui "complessità" e "interdipendenza" vengono continuamente riaffermate. Un'analisi del genere giustifica e legittima le attività della Commissione che è sia un osservatorio privilegiato sia il capomastro di questa nuova architettura internazionale.

In tal senso, gli attentati dell'11 settembre hanno fornito una nuova occasione di ricordare, durante l'incontro di Washington nell'aprile del 2002, la necessità di un "ordine internazionale" e di una "risposta globale" a cui sono esortati a partecipare i più importanti dirigenti del pianeta sotto l'egida statunitense. Alla già citata riunione annuale della trilaterale erano presenti Colin Powell (segretario di stato americano) Donald Rumsfeld (segretario alla difesa) Richard Cheney (vicepresidente) e Alan Greenspan (presidente della Federal Reserve) (5).

La seconda idea fondante, che trae origine dalla prima, è il ruolo tutelare dei paesi della triade, in particolare degli Stati uniti, nella riforma del sistema internazionale. I paesi ricchi sono invitati a esprimersi con una sola voce e a unire i propri sforzi in una missione destinata a promuovere la "stabilità" del pianeta grazie alla diffusione del modello economico dominante. Le democrazie liberali sono il "centro vitale" dell'economia, della finanza e della tecnologia. Un centro che gli altri paesi dovranno integrare accettando l'ordine che esso si è dato. L'unilateralismo americano sembra tuttavia aver messo a dura prova la coesione dei paesi della triade, i cui dissensi si esprimono nei dibattiti della Commissione. Nel suo discorso del 6 aprile 2002, durante la già citata riunione, Colin Powell ha quindi difeso la posizione americana sui principali punti di disaccordo con il resto del mondo, ovvero rifiuto di firmare gli accordi di Kyoto, opposizione alla creazione di una Corte penale internazionale,analisi dell'"asse del male", intervento americano in Iraq, appoggio alla politica israeliana, e via dicendo.

L'egemonia delle democrazie liberali rafforza la fede nelle virtù della globalizzazione e della liberalizzazione delle economie espressa dal pensiero della trilaterale. La globalizzazione finanziaria e lo sviluppo degli scambi internazionali sarebbero al servizio del progresso e del miglioramento delle condizioni di vita di un gran numero di persone. Ma esse presuppongono la rimessa in causa delle sovranità nazionali e la soppressione delle misure protezioniste.

Questo credo neoliberista è dunque spesso al centro dei dibattiti.

Durante l'incontro annuale dell'aprile del 2003 a Seul è stata trattata in particolare la questione dell'integrazione economica dei paesi del Sud-est asiatico e della partecipazione della Cina alle dinamiche della globalizzazione. Le riunioni dei due anni precedenti avevano dato occasione al direttore generale dell'Organizzazione mondiale per il commercio (Wto) Mike Moore di professare devotamente le virtù del libero scambio. Moore, dopo aver ricoperto di improperi il movimento anti-globalizzazione, aveva anche dichiarato che era "imperativo tenere a mente ancora e sempre quelle prove schiaccianti che dimostrano che il commercio internazionale rafforza la crescita economica (6)".

La tirata del direttore del Wto contro i gruppi che reclamano una globalizzazione diversa - chiamati "e-hippies" - sottolinea la terza caratteristica fondante della trilaterale: l'avversione per i movimenti popolari, che si era espressa nel celebre rapporto della Commissione sul governo delle democrazie redatto da Michel Crozier, Samuel Huntington e Joji Watanuki (7). Questo rapporto, del 1975, denunciava gli "eccessi della democrazia", espressi secondo gli autori dalle manifestazioni di contestazione dell'epoca. Manifestazioni che, un po' come oggi, mettevano in causa la politica estera degli Stati uniti (ruolo della Cia nel golpe cileno, guerra del Vietnam) ed esigevano il riconoscimento di nuovi diritti sociali. Il rapporto provocò all'epoca molti commenti indignati che si scatenarono contro l'amministrazione democratica del presidente James Carter, essendo stato egli stesso un membro della trilaterale (come più tardi il presidente Clinton) (8).

Dall'inizio degli anni '80, l'attenzione della stampa per questo tipo di istituzioni sembra essersi rivolta più che altro su incontri meno chiusi e soprattutto più divulgabili tramite i media, come il Forum di Davos. L'importanza delle questioni dibattute nell'ambito della trilaterale e il livello di coloro che in questi ultimi anni hanno partecipato alle sue riunioni sottolineano però la sua persistente influenza (9).

Lungi dall'essere un "vecchio serpente di mare" che torni a galla per l'estasi di qualche adepto di esoterismo e di "teoria del complotto", la Commissione trilaterale è un'istituzione ben salda, la cui discrezione facilita la collusione tra responsabili politici e grandi imprese.

"Spero proprio che i punti di vista espressi da questa gente di grande esperienza abbiano un'influenza reale sulla politica internazionale!" ci ha detto un ex ministro canadese che ha partecipato a molti dei lavori della Commissione, facendo eco a ciò che si proponeva il fondatore David Rockefeller: "A volte le idee proposte dai rapporti della Commissione trilaterale sono diventate politiche ufficiali. Le loro raccomandazioni sono sempre state seriamente dibattute all'esterno del nostro circolo e hanno rivestito un ruolo nella riflessione dei governi e nella formulazione delle loro decisioni (10)".

Così si disegna la trama di un potere diffuso, opaco, quasi inafferrabile, che tesse le sue trame per mezzo di circoli chiusi e incontri internazionali di cui il forum di Davos rappresenta l'espressione più ostentata.

In questi luoghi di incontro, di scambio, di manovra, gravitano gli stessi protagonisti e si elaborano analisi e compromessi che spesso precedono le grandi decisioni. La Commissione trilaterale è uno dei tasselli di questo scacchiere polimorfo. Grazie a una rete di influenza le cui ramificazioni si estendono ai principali settori della società, essa consolida l'alleanza tra il potere delle multinazionali, della finanza e della politica.

 

 

note:

* Professore all'Università di Laval (Canada).

(1) Le Monde diplomatique ha dedicato molti articoli all'argomento nel corso degli anni '70. In particolare vedi Claude Julien, "Les sociétés libérales victimes d'elles-mêmes", e Diana Johnstone, "Une stratégie trilatérale", Le Monde diplomatique, rispettivamente marzo 1976 e novembre 1976. Vedi anche l'articolo di Georges-Albert Astre, "Réunifier l'Europe autour de l'Occident", in Manière de voir n° 72, "Le nouveau capitalisme" in vendita il 17 novembre.

(2) Il numero dei "distinti cittadini" ammessi all'interno della Commissione è stato in seguito allargato e oggi comprende più di 300 membri. Raymond Barre, Thierry de Montbrial, Denis Kessler hanno partecipato ai suoi lavori. De Montbrial è anche membro del "Gruppo Bilderberg".

(3) Sulle reti di "coloro che decidono" di questo genere, si legga Geoffrey Guens, Tous pouvoirs confondus, Epo, Bruxelles, 2003.

(4) Gilbert Larochelle, L'imaginaire technocratique, Montréal, Boréal, 1990, p. 279.

(5) I discorsi di questi intervenuti, così come numerose altre informazioni e pubblicazioni della Trilaterale, sono accessibili dal sito internet ufficiale della Commissione: http://www.trilateral.org/.

(6) Mike Moore, The Multilateral Trading Regime Is a Force for Good: Defend It, Improve It, Riunione della Commissione trilaterale dell'11 marzo 2001.

(7) Michel Crozier, Samuel Huntington et Joji Watanuki, The Crisis of Democracy: Report on the Governability of Democracies to the Trilateral Commission, New York University Press, 1975.

(8) Zbigniew Brzezinski era stato uno dei grandi architetti di questa organizzazione prima di diventare il principale consigliere del presidente Carter sulle questioni di sicurezza.

(9) Citeremo per esempio William Clinton, Georges H. Bush, Henry Kissinger, George Soros, Valéry Giscard D'Estaing, Ernesto Zedillo, Madeleine Albright. Ma a questi responsabili politici, conviene aggiunge numerosi dirigenti delle multinazionali Exxon-Mobil, General Electric, Daimler-Chrysler, Levi Strauss, Kodak, Xerox, ABB, Johnson & Johnson, Alcan, Power Corporation, etc.

(10) David Rockefeller, Georges Berthoin e Takeshi Watanabe (1978), Prefazione a Task Force Reports : 9-14, New York University Press, p. IX.

(Traduzione di P. B.)

Fonte: Monde Diplomatique 11/2003

 
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