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Post n°6 pubblicato il 17 Dicembre 2011 da pseudoanonimato
Esistono persone che avrebbero potuto intraprende strade molto diverse da quelle che si trovano a calcare se solo fattori indipendenti le avessero favorite. A volte però il caso ( avverto un certo pudore nel chiamarlo destino) è implacabile. Conduce comunque verso ciò a cui avrebbe condotto anche in tutt’altre circostanze. Vanja Bulov per esempio era falsario. Anzi faceva il falsario. La sua professionalità non assurgeva a condizione esistenziale. Era solamente un’attività nella quale era incappato ma che il fondo apprezzava. Si potrebbe obbiettare che “falsario” è una forma di esistenza. Non puoi fare il falsario senza esserlo nel cuore. Vero è che falsario è una categoria umana molto più vasta di quanto si possa ad una prima impressione immaginare. Falsario è colui nella cui personalità alberga una tale pochezza da non vivere che di riflesso, facendo l’imitazione di quello che immagina essere un uomo. Falsario è quello che propone una immagine, a sé e agli altri, grandiosa e ricca di padronanza, mentre la realtà intima è un bambinone frignoso, fragilissimo e incapace. Da questa opinabilissima –ma abbastanza solida- descrizione si intende che quella del falsario è una struttura della personalità molto, molto comune. Si annida soprattutto nei contesti burocratici, impiegatizi e strutturati gerarchicamente. Si potrebbe quasi osare, affermando che quella del falsario sia la struttura caratteriale del settore terziario. Sorrido scrivendo, ma ad una più attenta riflessione mi convinco che non dovrei. I falsari sono poi infiltrati in ampi comparti dell’esercito, della polizia, della politica. Un politico che si rispetti non può permettersi il lusso di essere un uomo, dotato di libero arbitrio. Deve sempre ossequiare quell’immagine senza la quale -a torto o a ragione- non verrebbe mai eletto. Avendo perso la capacità prima e intima di percepirsi e rappresentarsi in modo diretto e quindi originale, conduce una vita solo apparente. Salvo sbracarsi in festini licenziosi come rave-party per gente in giacca e cravatta, il cui scopo è sovvertire la sua condizione, farlo palpitare per qualche attimo nella pelle di essere umano che esce con tutta la sua carica bestiale. Il falsario è la caricatura del libero arbitrio. Tutto questo non era, Vanja Bulov. Lui non era falsario, lui faceva il falsario. Si potrebbe dire, non senza escogitare di nuovo un paradosso, che “fare” è molto peggio che “essere”, dato che per questo motivo in quel periodo si trovava in carcere. Evidentemente è così, per ragioni più contorte e indecifrabili di quanto siamo in grado di elaborare. Per la borghesuccissima società, fare il falsario è assimilabile al furto, mentre essere falsario, incarnare il carattere e spacciarlo al prossimo con soddisfatta arroganza, appartiene a quel decoro che anzi avvalora la rispettabilità. L’uno e l’altro deprecabili, l’uno e l’altro rispettabili. Le qualità etiche, se non più basse nel secondo caso, potrebbero apparire simili se solo la società, guidata dalle sue oscure ragioni, non ne indicasse una così marcata differenza. Ma questa è una storia, non un articolo di antropologia culturale sul giornale del liceo. Quindi dicevamo ,Vanja Bulov faceva il falsario.... |
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