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Alda Merini

Post n°44 pubblicato il 13 Aprile 2006 da marynga81
 
Foto di marynga81

Corpo, ludibrio grigio
con le tue scarlatte voglie,
fino a quando mi imprigionerai?
anima circonflessa,
circonfusa e incapace,
anima circoncisa,
che fai distesa nel corpo?

Chi è prigioniero, l’anima o il corpo? Chi soffre di più, chi sente di più? È il corpo che patisce e gioisce o è l’anima che ne trae giovamento o sofferenza? L’anima, distesa nel corpo, è incapace di contenerne tutte le voglie. E la felicità, imperfetta, mai completa, rimane comunque una felicità dei sensi, della carne, della follia. Alda Merini e la follia. Troppo semplice pensare al manicomio. Alda Merini è folle poiché «brinda alla sua follia». Perché quando si decide (ma si decide poi in un atto consapevole?) di seguire il corpo, si è esposti al vento, al dolore. Malata di tormento e perdizione, a piedi nudi, con dita vogliose d’amore, turbata, esasperata, con i ginocchi piagati dallo scrivere poesie sulle pietre. Queste alcune delle immagini di questa raccolta che contiene a sua volta raccolte di versi che la poetessa ha scritto dal 1951 al 1997. Da La presenza di Orfeo a La volpe e il sipario. In mezzo, liriche tratte da Nozze Romane (1955), dove compare la metafora della Maddalena nei confronti di Salvatore Quasimodo, il Maestro, ma dove soprattutto è il tema dell’angoscia a emergere. Uno stato di ansia, di buio. Ma anche Paura di Dio (1955) e La terra santa (1984) — vincitrice del Premio Librex Montale — dove è ancora il dolore a dominare, la solitudine delle mura fredde, le «notti insonni», un Dio che «ha due volti», come lei. Oscura e pura, sempre pronta ad amare, ad amare ancora:

Amo, e Tu sai che l’anima mi è stanca:
troppe volte abbattuto
fu il fantasma del vuoto delle mie case!

Tra i versi di questa raccolta intravediamo i nomi degli uomini che ha amato: Giorgio Manganelli, Michele Pierri. Ma anche i volti delle amiche scomparse, dei compagni di osterie — delle «osterie dormienti» —, gli uomini avuti, ma anche quelli sognati. I venti ritratti de La gazza ladra — inediti sino al 1991 — Saffo, Emily Dickinson, Silvia Plath, donne nelle quali si riconosceva, altre da cui prendeva le distanze. Alda Merini ha improntato la sua vita sulla sensualità. Ebbra, ivre d’amour, il desiderio le appartiene. Desiderare significa per lei attraversare, passare oltre, andare oltre. Altrove. A costo di morire, di impazzire. Accogliere i suoi amanti nel suo corpo, consapevole che le avrebbero lasciato una traccia addosso, una ferita, che le avrebbero scavato la carne con ferocia:
Mi scaverai fin dove ho le radici
(non per cercarmi, non per aiutarmi)
tutto scoperchierai che fu nascosto
per la ferocia di malsane usanze.
Verità e menzogne. Vino rosso da mescere, a volte la violenza, risa segrete, fantasmi e realtà. Dice bene nella prefazione all’opera Maria Corti: «[in Alda Merini] impossibile separare la vita vissuta da quella sognata». Emozioni, sentimenti, la parola della Merini arriva fino al corpo, goccia dopo goccia, suono dopo suono, il suo ritmo singhiozzante, implorante, distilla lentamente un liquido che a volte è velenoso altre gioioso. Da Per Michele Pierri:

Amore perdonami: sono brutale e vorrei ungerti d’olio,
ti perseguito e vorrei
che davanti a te io fossi un tappeto,
ti amo e mi recludo nel mio silenzio,
ma ho paura, paura di me stessa,
di questi gigli orrendi di fame e di fango
che crescono nella mia mente.

L’ossessione amorosa, la negazione dei sensi, l’isolamento dal mondo, l’umiliazione del proprio corpo, prostrato, il desiderio e allo stesso tempo la paura del silenzio, un giorno in cui è tutto fango, un altro in cui cavalca il suo destino, inni alla gioia i suoi, ma allo stesso tempo grida di morte e di paura — «… perdersi nella giungla dei sensi, asfaltare l’anima di veleno…» — È stato detto che Alda Merini non rientra in nessuna tradizione poetica, forse «Rilke e Whitman possono averle dato un avvio di canto ma non di pensiero», dice la Corti nell’introduzione. «Perché costringersi all’umano e, evitando il Destino, struggersi per il Destino?», cita la Nona Elegia a cui Alda Merini in un dialogo da distante sembra rispondere:
Troppo sciocco è piangere sopra un amore perduto
Malvissuto e scostante,
meglio l’acre vapore del vino
indenne,
meglio l’ubriacatura del genio,
meglio si meglio
l’indagine sorda delle scorrevolezze di vite.

Il Destino di questa donna fu, e continua a essere, quello di aver nuotato a lungo controcorrente, quello di aver amato, con passione, con ferocia, con rabbia e riposo, alternando lussuria a stanchezza. Sogni perturbanti e faticose veglie sicuramente hanno caratterizzato tutta la sua vita. Questa raccolta ne conserva il respiro.

http://www.italialibri.net/opere/fioredipoesia.html

 
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