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La rivoluzionaria del 490

Post n°120 pubblicato il 05 Agosto 2009 da chinasky2006
 
Tag: Cazzate

 Foto di chinasky2006

E' una storia triste, complicata, troppo lunga. Dovrei andare al nocciolo. Al sugo della questione. Ed a me manca la sintesi. La sintesi è tutto, me lo diceva il diceva il prof. Dopo avermi dato 5---. Poi, mi posava una mano sulla schiena, continuava: “tu sei fatto per le materie scientifiche, al limite la filosofia...”. Mi rimandarono in fisica, matematica e filosofia. All'università mi consigliarono un'altra facoltà, ma io non li ascoltai. A lavoro, sovente dicono che dovrei provare con qualcosa di differente. Faccio mille cose e ne penso altrettante, e finisco per non concluderne nessuna e rimirare il vuoto. Nessuno me lo dice apertamente, ma avrei dovuto fare il prete, sposarmi una monachella, inculare una gallina per dimostrare il mio estro. Ecco che divago, appunto. Ciò che pensavo di scrivere l'ho già dimenticato.
Ieri ho preso la corriera. Le corriere sono come i bar, una fucina inesauribile di talenti. Il teatro della realtà. Sicuramente c'è più vita che in un simposio di intellettuali femministe lesbiche, o in un convegno di poesia introspettiva. Storie, occhi, espressioni. Capita di guardare un vecchio ceppo con gli occhi rivestiti da una patina di sofferenza ed immaginarne la vita. Una specie di maurizio costanzo show senza domatore. Era il 490, il 492, 409 o il 49. Non mi ricordo. Di sicuro non “il 109 per la rivoluzione”, come cantava Rino. Ma su quella linea saliva una donna sui sessantacinque di età, coi capelli tinti di un nero corvino tendente al viola seppia, legati dietro la nuca, tutta truccata e pitturata in modo patetico. Guardava in modo circospetto, e si sedeva vicino a qualcuno. Sembrava calma, malgrado i vestiti sgargianti. D'un tratto cominciava un veemente gorgeggio. Intonava un'aria della Carmen a squarciagola. La guardavano attoniti. Qualcuno si copriva la bocca, ridendo con sobria compostezza. La svitata si faceva mica impressionare, continuava il canto da usignola storpia, con una vocina stridula e stonata. Mai sentita una voce più stonata. Si taceva qualche secondo. Poi s'alzava, apriva tutti i finestrini, in pieno gennaio, col freddo che trapanava le meningi. Lei mica lo avvertiva il freddo. Si risedeva e riprendeva il gorgheggio a squarciagola. Nessuno diceva nulla. Ed io impazzivo, la contemplavo. Pensavo che da giovane avesse amato qualcuno di potente, forse era stata una mignotta d'alto borgo o una professoressa di disegno artistico. Sicuramente qualcuno l'aveva lasciata, delusa in qualche modo. E quella si faceva tutto il tragitto tra liriche, pause e smoccolamenti urlati verso i politici, il governo, e gli uomini senza palle. Una fucina inesauribile di parolacce fantasiose. Scrutava un ignaro scolaretto nelle pupille, e gli strillava: “A regazzì, ai miei tempi si che gli uomini ce li avevano grossi come arance, i coglioni! Ah, si!”. Tutti ridevano all'adiaccio, e lei riprendeva ad intonare arietta. Poi s'alzava, guardava un tizio tutto d'un pezzo, in giacca e cravatta e terreo in volto, gli urlava in faccia: “Lavoratoooooriiiiii” e giù un pernacchione rimbombante, con annesso rumoroso gesto dell'ombrello, “eh si, continuate a piarlo 'nder culo, che si vede che ve piace. Sti froci senza palle.”. Era fissata con le palle. E rideva di gusto. I più turbati si lamentavano col conducente, e quello con l'aria flemmatica stroncava sul nascere ogni polemica: “Ah fosse per me, non farei salire nessuno.”.
Prendevo quella linea, anche quando non ne avevo bisogno, solo per assistere allo spettacolo. Chissà che fine avrà fatto quella donna. Se sarà finita in manicomio, o insegna filosofia all'università. Era pazza lei, erano pazzi quelli che la commiseravano, ridevano e volevano farla scendere. O più di tutti lo sono io che ne scrivo. Chi può dirlo. Nella sua mente aveva tutto chiaro. E quello le importava. Ed ancora non mi ricordo cosa volevo scrivere.

 
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