Post n°2772 pubblicato il
29 Marzo 2015 da
Praj
Non mi sento di rimproverare gli occidentali che udendo le storie di Buddha e dei siddha indiani che ricevevano gli insegnamenti sull’essenza della mente e sul ‘non fare’, pensano: “Siamo tutti uguali, in realtà non c’è nulla da fare. Tutto va bene com’è".
Onestamente non è facile arrivare a un punto di vista corretto. Occorre stabilire un rapporto con un vero maestro e avere la necessaria intelligenza, poi dedicarsi all’intero corso della pratica.
È molto più facile fissare i benefattori con gli occhi spalancati e guardarsi intorno con aria da dzogchenpa. La maggior parte delle persone che si comportano cosi sono, in realtà, ciarlatani. Spesso non possono fame a meno: senza una certa dose di disonestà sarebbe difficile cavarsela e raccogliere donazioni.
Mostrare di essere un semplice praticante e mantenere una posizione modesta non avrebbe successo; chi si accorgerebbe della nostra realizzazione?
Un lama di umili origini, con un debole per la fama e il benessere, deve mostrare una certa ostentazione, specificare quanti lignaggi e insegnamenti possiede, quanto tempo ha trascorso in ritiro, quanto è speciale la sua realizzazione, come ha sottomesso divinità e demoni, e cosi via. Allora tutto può accadere: si può essere circondati da sciami di benefattori e seguaci, come un pezzo di carne marcia coperta di mosche.
Sì, è vero, onestamente in Tibet c’erano più falsi lama che onesti praticanti.
dal libro: Dipinti di arcobaleno. L'essenza del Tantra, Dzogchen e Mahamudra.
Tulku Urgyen Rinpoche - Edizioni Astrolabio Ubaldini
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